Nella sua carriera ha vestito i panni prima di calciatore, poi, di allenatore e, infine, di dirigente. Oggi però ha lasciato il mondo del calcio dopo aver scritto pagine memorabili per i tifosi di Inter e Parma con le quali ha vinto la Coppa Uefa e la Coppa delle Coppe ed aver brillato anche nel Napoli con la sua fantasia e le sue giocate d’autore.
Fausto Pizzi era un calciatore dotato di un’ottima tecnica che si è formato crescendo nelle giovanili dell’Inter.
Fausto Pizzi oggi: che cosa fa l’ex Inter
“Oggi lavoro in un’azienda d’ingegneria chimica dove ci occupiamo di manutenzione e assistenza di macchine ospedaliere. Nel 2018 ho cominciato a lavorare per un Inter Academy in Cina, poi, per colpa del Covid quel progetto si è interrotto e ho colto l’opportunità di questo nuovo lavoro”.
Ha iniziato a farsi le ossa in serie C e in B a Parma dove trascina i ducali alla promozione in massima serie. Nell’Inter ha avuto come presidente Ernesto Pellegrini.
“Una persona fantastica, anche se l’Inter era un top club la vivevamo come una conduzione familiare – continua Pizzi -. Il presidente passava tanto tempo con noi, lo scorso inverno quando ha tenuto una festa ho rivisto lui e tanti ex miei compagni e questa è la dimostrazione che lui non ha mai smesso di volerci bene a distanza di tanto tempo”.
Fausto Pizzi esalta la figura di Trapattoni
Quando ritorna nelle fila nerazzurre nella stagione 1990-’91 ha la fortuna di avere come allenatore Giovanni Trapattoni.
“Altro incontro stupendo con una persona di grande qualità, le vittorie parlano per lui – continua l’ex giocatore -. Ma è sotto il profilo umano che mi ha lasciato un segno indelebile nella mia vita perché è una persona carismatica ma molto sensibile, molto vicino ai giocatori soprattutto a quelli che giocano meno con cui passava più tempo anche sul campo”.
E’ proprio il Trap che lo trasforma da attaccante a centrocampista.
“Venivo dall’anno precedente in cui giocavo da seconda punta nel Parma ed ero stato capocannoniere della squadra – afferma Pizzi -. Mi ritrovai in quell’Inter con tanti campioni come Matthaus, Klinsmann e Brehme. Trapattoni mi chiese un ruolo di sacrificio perché, comunque, c’erano oltre ai tedeschi anche Serena e Berti propensi ad attaccare e qualcuno doveva dare equilibrio. Però l’ho fatto con tanta determinazione e quel nuovo ruolo mi ha fatto crescere come giocatore. Vincemmo la Coppa Uefa, un trofeo europeo che mancava all’Inter da più di vent’anni. Arrivammo secondi in campionato perdendo lo scontro diretto con la Sampdoria che avrebbe potuto cambiare le sorti di quel campionato. Però la vittoria della Coppa Uefa in finale con la Roma con una cavalcata bellissima con altre 14 gare, in pratica un altro campionato, ci ripagò molto dei sacrifici fatti. Nella finale d’andata non ci fu partita vincemmo 2-0 dominando, con la gente che ci trascinò al successo. All’Olimpico trovammo un ambiente avverso ma riuscimmo a reggere subendo solo la rete di Rizzitelli nel finale”.
Il primo gol in A di Pizzi ha una storia particolare
Ma è il destino che gli mette sempre i colori giallorossi della Capitale sul suo cammino. Alla Roma ha segnato, infatti, la sua prima rete in serie A il 30 settembre del 1990.
“Segnai ribattendo un rigore che doveva tirare Brehme che nell’estate precedente era diventato campione del Mondo segnando il penalty contro l’Argentina – afferma -. Solo che il mercoledì precedente alla gara con la Roma, in Coppa Uefa, Andy sbagliò un penalty contro il Rapid Vienna. Io stavo giocando bene e probabilmente lui capì che ero in fiducia. Così presi la palla e andai verso Brehme per dargliela perché era il rigorista designato ma Andy mi dice, Fausto tiralo tu. Mi caricai di questa responsabilità. Tirai di piatto alla destra di Peruzzi che si allungò e deviò la palla con le dita sul palo. Poi, il pallone mi ritornò e io lo infilai in rete. Fu una gioia per me non solo perché era il primo goal in serie A ma anche perché segnai di destro. Giocare in prima squadra nell’Inter è stata la realizzazione di un sogno, negli anni delle giovanili facevo spesso il raccattapalle e adoravo Beccalossi, Scifo e Muller”.
Pizzi tra i consigli di Scala e le mozzarelle di Napoli
Un uomo che però ha segnato la carriera di Fausto Pizzi è stato, senza dubbio, Nevio Scala.
“Per me è stato più di un padre perché lo ho avuto a Perugia e a Parma e, poi, dopo il fallimento dei ducali è ritornato nelle vesti di presidente e mi ha dato la responsabilità di costruire il settore giovanile del Parma”, afferma in maniera ancora emozionata. Nella stagione 1995-’96 rientra nell’operazione che portò Fabio Cannavaro ai ducali. “Arrivai in prestito al Napoli insieme ad Ayala – afferma Pizzi -. Una piazza unica, il calore della gente mi faceva sentire importante e mi trascinava. E, poi, il sole, il mare e le mozzarelle che buone che sono”.
Nel suo cuore però un ricordo particolare lo ha per il Lanerossi Vicenza quando era appena ventenne.
“Ho segnato con i biancorossi il goal più importante della mia carriera in uno spareggio salvezza per non retrocedere in serie C2 – dice -. All’ultima giornata c’era la gara contro il Trento. Stavamo perdendo per 0-1 in casa ed eravamo retrocessi e all’ultimo secondo ci fu assegnato un calcio di rigore che mi incaricai di battere. Ero il più giovane del gruppo, in quella squadra c’erano atleti esperti come Cantarutti e Nicoletti. Misi la palla sul dischetto e segnai. Fui portato in trionfo”.
Pizzi, quando la barzelletta fa vincere le partite
Quell’anno Pizzi vinse anche il Guerin d’oro come miglior giocatore della serie C, segnando 16 reti.
“Il rammarico maggiore? Sicuramente la retrocessione con il Perugia nella stagione 1996-’97 – afferma -, sono stato male quell’estate e ho avuto una sorta di depressione calcistica”.
Una delle gioie più belle però la promozione in serie A con il Parma con una particolarità nella gara del 27 maggio 1990 allo stadio “Tardini” che sancì il salto di categoria dei ducali.
“Due settimane prima il giovedì facciamo un’amichevole con il Messina e mi infortunai stirandomi – conclude Pizzi -. Scala mi disse che anche con una gamba sola dovevo giocare e non potevo mancare perché la squadra si fidava di me. La domenica mi fascio la gamba e gioco il primo tempo. La partita successiva vincendo con la Reggiana in casa saremmo stati promossi in serie A matematicamente. Scala mi convince a giocare anche quella partita. In quella settimana c’era tanta tensione per quello che ci giocavamo naturalmente. Dopo il riscaldamento pre gara torniamo negli spogliatoi e Scala dice a tutti che ci ha visti molto preoccupati e tesi. Poi, io rivolgendomi a lui gli chiedo se potevo raccontare una barzelletta. Lui mi risponde, ma ti sembra il momento? Gli dissi che volevo farlo per sdrammatizzare e sciogliere la tensione. Alla fine tutti risero e, poi, andammo in campo: vincemmo 2-0 e fummo promossi in serie A”.
PASQUALE GUARDASCIONE