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Disastro Spagna ai Mondiali: gli errori di Luis Enrique e la fine di un'epoca

Quarta eliminazione di calci di rigore in un Mondiale per le Furie Rosse: ai nuovi talenti manca la personalità, il tiki-taka non serve se gli avversari si chiudono a riccio

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Gerry Capasso

Gerry Capasso

Giornalista

Per lui gli sport americani non hanno segreti: basket, football, baseball e la capacità innata di trovare la notizia dove altri non vedono granché

E sono quattro, come le volte in cui la Spagna è uscita al Mondiale dopo i calci di rigore. Le Furie Rosse hanno perso 4 volte ai rigori ai Mondiali: contro il Belgio nel 1986, contro la Corea del Sud nel 2002, contro la Russia nel 2018 e quest’anno contro il Marocco. Se aggiungiamo la semifinale persa con l’Italia all’ultimo Europeo, questa è la seconda volta consecutiva che gli iberici vengono eliminati ai rigori in un grande torneo internazionale. Erano Europei, ma i metri erano pur sempre undici.

Disastro Spagna, il record poco invidiabile

Eppure Luis Enrique aveva cercato di fare psicologia preventiva sui tiri dagli undici metri, ben presto il reale obiettivo del Marocco: “Non esiste nessuna insidia rigori, ormai è trascorso più di un anno dall’Europeo e dalla sfida persa dagli undici metri con l’Italia in semifinale. Ho detto ai miei calciatori di arrivare al Mondiale con 1000 rigori calciati in allenamento. Non sono una lotteria, si tratta di bravura”. Ma il record è stato messo: la Spagna è la prima nazione a perdere quattro volte alla lotteria dei rigori durante un Mondiale, la seconda nella storia del torneo iridato a non aver segnato nemmeno un rigore nella serie: ci era già riuscita la Svizzera nel 2006 contro l’Ucraina.

Spagna, la nuova generazione “troppo nuova”

Ma è ormai chiaro che dietro alla sconfitta contro il Marocco c’è però molto di più di una sorta di maledizione dagli 11 metri. Tra l’assenza di leadership e una generazione di nuovi talenti troppo acerbi, l’uomo simbolo di questa Spagna era l’unico che non scendeva in campo, oltre forse a Busquets. E questo, nel momento topico, si è sentito. Perché non basta avere talento in campo: la Spagna ne ha da vendere, ma non ha (ancora) leader del calibro di Iniesta, Xavi, Villa, Piquè, Ramos e compagnia bella. Uomini, prima ancora che grandi calciatori. Probabilmente questa eliminazione agli ottavi è soltanto una tappa del percorso che porterà questa Spagna ad essere grande, perché gente come Pedri e Gavi ha tutto per diventare fenomenale: ma ora è ancora presto.

La Spagna e la paura dagli undici metri

L’iniziale 7-0 alla Costarica aveva illuso tutti, ma già con la Germania il tiki-taka era risultato sterile, fino a quando l’ingresso di Morata aveva chiarito a tutti cosa significasse giocare con una prima punta di ruolo. Con il Giappone sembrava si potesse assistere allo stesso copione, poi quel gol “fantasma” e la strenua difesa dei samurai hanno fatto capire quante e quali fossero le difficoltà di questa Spagna. E con il Marocco, il naufragio è stato completo. Tre tiri dal dischetto, tre errori: tre conclusioni scariche, lente, facilmente leggibili.

Spagna, la fine di un’epoca

Il tramonto del tiki-taka? Forse sì: come ebbe a dire Max Allegri, l’errore di tutti è stato quello di voler inseguire il modello di quel favoloso Barcellona di Guardiola senza avere i giocatori adatti a farlo. Perché quella squadra era composta da fenomeni assoluti, che sapevano benissimo quando accelerare e quando tagliare in due le difese. Contro il Marocco la Spagna ha avuto il 76.8% di possesso palla, con 1019 passaggi effettuati di cui il 90.9% riusciti (dati Opta): tanti tocchi orizzontali, lenti, senza imbucate o improvvisi cambi di gioco. Risultato, un solo tiro in porta con Sarabia al 122′. Il calcio, in fondo, è una cosa semplice.

Disastro Spagna ai Mondiali: gli errori di Luis Enrique e la fine di un'epoca Fonte: Getty Images

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