Sicurezza, consapevolezza e sfrontatezza sono tre aspetti che certamente non mancano nel bagaglio caratteriale di Carlos Alcaraz, talento a cui i successi e la rapida scalata in classifica stanno portando sempre più attenzioni e pressioni.
Sull’onda di questo crescente interesse nei suoi confronti, molti non hanno tardato ad accostare il giovane spagnolo a quella che, ancora oggi, è la stella polare del tennis iberico ovvero Rafael Nadal, un confronto che ad Alcaraz non dispiace affatto.
“Ho sempre detto che se sei paragonato a Rafa è perché stai facendo bene. Lui, in fin dei conti, è uno dei migliori della storia ed essere confrontato con un campione simile non può che essere un bene, in una certa misura. D’altra parte, se ti paragonano a lui, è perché ti tirano le pietre nello zaino, ma se tirano le pietre a me, io le tiro a loro. Ma sì, sto migliorando sempre di più” ha affermato a TennisWorldItalia.com Alcaraz il quale, oltre a non temere paragoni pesanti, riesce a convivere bene anche con la crescente notorietà
“Me la cavo abbastanza bene a gestire la fama. Dico a tutti che non mi considero ancora famoso. Quando la gente comincia a riconoscermi, è qualcosa che prendo nel modo più naturale possibile e mi piace, per me è un piacere che la gente ti conosca”.
Se la stella spagnola è in grado di relazionarsi in questo modo e assorbire le pressioni esterne lo deve però soprattutto ad un carattere molto forte.
“Questo è qualcosa che solo il mio team sa. Prima del match con De Minaur a Barcellona mi sono alzato con il piede sinistro: sono caduto dalle scale prima di giocare la semifinale e mi sono fatto male all’altezza del soleo. Mi chiedevo se potessi giocare bene, ma alla fine l’adrenalina mi ha fatto scendere in campo senza problemi” ha rivelato il nativo di El Palmar, cresciuto anche grazie al rapporto non sempre rose e fiori col suo coach Juan Carlos Ferrero.
“Lui e il team sono lì per dirmi le cose brutte, per farmi arrabbiare un po’ ma è la cosa migliore per me. Quando Juan Carlos Ferrero ha iniziato con me avevo quindici anni ed ero un ragazzo complicato. Mi mancavano un sacco di cose: ero molto disordinato, mi arrabbiavo, non controllavo bene le mie emozioni. Juan Carlos ha fatto un lavoro molto importante”.