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NFL Super Bowl LVIII, il pagellone: Mahomes è già leggenda, Moody e quell'unico errore chiave, la Swift eclissa Usher

La vittoria all'overtime di Kansas City celebra nel migliore dei modi una stagione unica: Mahomes è già leggenda, Kelce e Swift la coppia dell'anno, i 49ers affogano nei rimpianti

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Alla fine il football è un gioco semplice: giochi 60’ e magari pure l’overtime, ma tanto alla fine vincono sempre i Kansas City Chiefs. Citazione liberamente presa in prestito da Gary Lineker, che così si esprimeva riguardo alla innata capacità dei tedeschi del calcio di volgere la contesa a loro favore, tanto simile a quella che Pat Mahomes e compagni hanno saputo vendere al mondo NFL, con il terzo Super Bowl in bacheca negli ultimi 5 anni.

Le lacrime amare di San Francisco hanno ragione d’esistere: la terza finale persa negli ultimi 29 anni (la seconda contro KC) è figlia anche della capacità dei Chiefs di far emergere tutto il loro talento anche quando tutto sembra perduto. A Natale avevano un piede e mezzo nella fossa, 47 giorni più tardi alzano di nuovo il Vince Lombardi Trophy. Lasciando intendere che non sarà nemmeno l’ultima volta.

La favola ha il suo lieto fine: Pat, Travis e… Taylor Swift

Il Super Bowl LVIII, il primo di sempre disputato a Las Vegas, non ha tradito le attese. Forse nel primo quarto si, con le difese dominanti e gli attacchi anestetizzati a dovere. Ma nel secondo tempo la musica è cambiata, fino a sfociare in un overtime appassionante e vissuto sempre sul filo del rasoio, risolto a soli 3 secondi dallo scadere dall’ennesima invenzione di Mahomes.

Alla fine tutti i pianeti si sono allineati: il terzo anello della dinastia Chiefs, la solita rimonta spalle al muro del quarterback più pagato al mondo, la favola a lieto fine di Taylor Swift che raggiunge il fidanzato Travis Kelce sul gridiron e lo bacia, con addosso decine di flash e telecamere pronte a immortalare la scena. Per chi è rimasto sveglio fino alle 5 (ora italiana), comunque una bella ricompensa. E anche per chi se lo fosse perso, ecco un bel pagellone, utile a capire cosa è successo e perché le cose sono andate in questo modo.

I top del Super Bowl LVIII: Butker, il piede del destino

  • PATRICK MAHOMES 10. Alla fine la differenza l’ha fatta ancora una volta lui. Che per due terzi di serata è stata la brutta copia di se stesso, versione peraltro spesso e volentieri ammirata nel corso della stagione. Ma che sotto pressione, col cronometro a scandire l’approssimarsi del precipizio, ha ribaltato ancora una volta il mondo. Ha sfruttato ogni occasione che i 49ers gli hanno concesso dal terzo quarto in poi, trascinando la gara all’overtime con un drive giocato rapidamente e chiuso a 3 secondi dallo scadere con il field goal di Butker. Poi, ancora una volta costretto a vivere o morire, ha guidato i Chiefs nel supplementare correndo su un quarto down e poi risalendo campo senza che nessuno potesse fermarlo, fino al passaggio da 3 yards per Hardman che con 3 secondi da giocare ha chiuso la contesa. A 28 anni è già nella leggenda, e non è mica finita qui…
  • ANDY REID 9. Che volete dire a questo “giovanotto” che alle soglie dei 66 anni continua a vincere come se non ci fosse un domani? Reid è impassibile e sicuro di sé: fa tutto quello che c’è da fare, lasciando che i suoi imparino dai propri errori per poi rimetterli subito sul binario giusto. Dispensa tranquillità e sicurezza e non si fa intimorire nemmeno quando Kelce gli urla in faccia a brutto muso, chiedendo di essere coinvolto nel gioco. Lui nemmeno lo guarda, ma alla fine lo abbraccia. Perché sapeva, Reid, che alla fine i conti li avrebbe fatti tornare.
  • TAYLOR SWIFT 8,5. Debita è la premessa: ha inquinato il pianeta per tornare da Tokyo in tempo per la partita, seppur non è stata la sola (3.500 jet sono atterrati a Las Vegas nel fine settimana: la Cop28 di Dubai ha nulla da dire?). Alla NFL però tutto questo è piaciuto lo stesso, così come alla cantante che ha perso la testa per Travis Kelce, e che ha vissuto con trasporto tutte le fasi di una gara destinata a essere tramandata ai posteri. Taylor Swift ha portato nel football una ventata di glamour e i suoi riflettori se l’è presi con sobrietà e semplicità. La speranza è che dopo aver baciato a più riprese il suo Travis ora possa decidere di “salvare” anche l’halftime show negli anni a venire. Intanto però c’è già il lieto fine
  • HARRISON BUTKER 8. Facile dimenticarsi del kicker di Kansas City, ma il suo piccolo angolo di cielo se lo guadagna segnando il field goal più lungo di sempre nella storia di un Super Bowl (57 yards), quello col quale rimette definitivamente in carreggiata i Chiefs dopo l’orrendo primo tempo, nel quale peraltro era stato l’unico dei suoi a segnare. Ne mette dentro altri due di field goal, soprattutto quello da 29 yards ma col pallone pesante come un macigno a soli 3 secondi dalla fine del quarto periodo. S’è fatto trovare pronto, ed Andy Reid sentitamente ringrazia.
  • CHRIS McCAFFREY 7,5. Se San Francisco sogna di interrompere l’incantesimo che dura da 29 anni è grazie soprattutto alle qualità di corsa di McCaffrey, che a un certo punto va a sbattere contro ogni uomo in maglia rossa che esista sul pianeta. Non sbaglia nulla, Chris, segnando il primo touchdown di serata e macinando yards con una resilienza e una capacità di soffrire lodevoli. Specie nell’overtime, quando Purdy gli affida tanti palloni buoni per rosicchiare secondi e risalire il campo. Lui è sfinito, ma lascia sul campo tutto quello che ha. Ed è quello che più di tutti avrebbe meritato un epilogo diverso.
  • TRAVIS KELCE 7. A lui l’NFL deve fare un monumento: strappando il cuore alla bella Swift ha permesso alla lega di accrescere ulteriormente la propria popolarità, con numeri da capogiro che la renderanno ancora più ricca, bella e famosa agli occhi di un pubblico altrimenti concentrato su soap opera e gossip da quattro soldi. Kelce, come Mahomes, ci mette un po’ a ingranare. A un certo punto va persino a brutto muso da Reid, rischiando la pelle e pure il posto (era già successo in regular season, venne panchinato senza fronzoli: stavolta l’head coach ha lasciato correre…) perché la palla non arrivava mai tra le sue braccia. Nel finale però Pat è tornato a cercarlo e Travis ha fatto tante piccole cose buone e utili che hanno permesso ai Chiefs di cucinare perbene la difesa dei 49ers. L’essenziale è invisibile agli occhi, e come cantante (sul palco intona “Viva Las Vegas” di Elvis) sa il fatto suo.
  • BROCK PURDY 6,5. Esordiente al Super Bowl, due anni dopo essere stato scelto alla numero 262 del Draft, ha giocato una partita dignitosissima. Zero intercetti o sack, qualche forzatura al terzo down giocata bene, una visione di gioco sempre lucida. Gli è mancato il guizzo alla Mahomes in un paio di drive dove San Francisco s’è accontentata di piazzare, ma tutto sommato ci poteva stare. Ha perso solo perché ha trovato di fronte il più forte del villaggio, e forse anche perché la sorte gli ha tolto di mezzo Samuel Deebo (che c’era, ma acciaccato) nel momento decisivo. Di più: ha perso perché lo Special Team ha regalato 8 punti agli avversari. Ma a questo livello, Purdy ha dimostrato di saperci stare.

I flop del Super Bowl LVIII: Moody, un errore fatale

  • KYLE SHANAHAN 5,5. La differenza tra l’inferno e il paradiso a volte si misura su pochi dettagli. Shanahan l’ha scoperto una volta di più sulla sua pelle: il terzo SB perso in carriera, il secondo da head coach (sempre contro i Chiefs), dimostra che quel filo sottile che divide gioia e dolore sa essere cinico e beffardo. Cosa rimproverargli? Forse un po’ di coraggio venuto meno nei due quarti down dove s’è accontentato di piazzare, tenendo in vita Mahomes e consentendogli di non forzare eccessivamente nell’ultimo drive dei tempi regolamentari (poi tanto ha risolto con quello dell’overtime, ma con 5’ in più sul cronometro). Gli errori e i rimbalzi che hanno segnato la serata dello Special Team sono episodi imponderabili, ma che lasciano scorie nella testa. Il rimpianto più grande? L’uscita per infortunio (rottura del tendine d’Achille) di Dre Greenlaw, pedina chiave nel sistema difensivo, infortunatosi per correre verso il campo (nemmeno in un’azione). La sfortuna è cieca, ma quando si tratta dei 49ers ci vede benissimo.
  • JAKE MOODY 5. Fa male dover mettere dietro la lavagna il giovane Jack, scelto alla numero 99 nell’ultimo Draft, il quale ha commesso solo un errore, pagato però a carissimo prezzo: la mancata conversione del touchdown di Jennings, un punto che avrebbe consentito ai 49ers di scappare sul +4 e obbligare subito Mahomes a cercare a sua volta il touchdown, anziché accontentarsi di due field goal per portare la partita all’overtime. Moody era 68/68 in stagione: chiude con 69/70, ma tutti ricorderanno unicamente quell’errore.
  • HALFTIME SHOW 4. Chi ha visto in diretta gli spot dei vari network si sarà divertito a rivedere tanti volti noti (anche una mini reunion di Friends, che non guasta mai). Chi aspettava il consueto show dell’intervallo invece è rimasto un po’ deluso: Usher è il re dell’R&B, ma forse questo non era il suo palcoscenico prediletto. Lo show non è mai davvero decollato, con canzoni solo accennate per pochi secondi e troppa frenesia di cambiare. Rispetto a Rihanna di un anno fa, un deciso passo indietro. Ma tanto ormai ci penserà Taylor Swift a salvare (anche) l’halftime show… vero NFL?…
Fonte: Getty

Usher protagonista dell’Half Time Show, con lui anche Alicia Keys

  • RAY RAY McLOUD 4,5. Anche per lui vale quanto detto sopra: una sola sbavatura in tutta la partita, ma dal peso specifico enorme. Sul ritorno di punt che di fatto rimette definitivamente in corsa i Chiefs, McLoud si fa sorprendere dal rimbalzo malandrino della palla sul piede di Luter, con Jaylen Watson lesto a riconquistare il possesso e consegnare a Mahomes un comodo drive, poi trasformato nel touchwodn di Valdes-Scantling. Anche qui la malasorte ci mette eccome lo zampino, ma la presa mancata è di quelle da segnare col circoletto rosso. E inaugura la serie di accadimenti che porterà San Francisco a restare ancora una volta a bocca asciutta.

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