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Guerra Israele: la drammatica testimonianza del ct argentino che vive al confine con l'orrore

Gabriel Burstein allenava la nazionale femminile israeliana, il suo racconto da brividi dal fronte: la paura del figlio, l'orrore dei missili

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Fabrizio Piccolo

Fabrizio Piccolo

Giornalista

Nella sua carriera ha seguito numerose manifestazioni sportive e collaborato con agenzie e testate. Esperienza, competenza, conoscenza e memoria storica. Si occupa prevalentemente di calcio

Arrivò in Israele nel 1995, quando aveva 19 anni, in visita a suo padre, che si trovava lì per lavoro. Rimase talmente sorpreso da un Paese fiorente e in crescita, ed attratto dalla sensazione di trovarsi in un ambiente amichevole che decise di stabilirsi in Israele, pensando che fosse il miglior posto per vivere in pace. Gabriel Burstein, ex giocatore argentino ed ora allenatore, si confessa a La Nacion dalla sua casa a Ramat Hasharon, durante la guerra che il paese sta conducendo contro il gruppo terroristico palestinese Hamas, e dice: “Che paradosso: sono rimasto in Israele perché credevo che fosse un posto sicuro”.

Burstein scelse di vivere in Israele per continuare a giocare

La possibilità di giocare a calcio nel suo nuovo paese è stato un incentivo per Gabriel, che ha giocato nelle serie inferiori di diversi club argentini ma senza continuità. In Israele è riuscito a costruire una carriera che ha avuto diverse tappe: quella di portiere in squadre di seconda e terza categoria, quella di allenatore delle divisioni infantili e quella di direttore tecnico del calcio femminile.

Il Maccabi Holón – vincitrice di sei campionati e sette coppe locali tra il 2003 e il 2010 –gli diede la prima opportunità di allenare una rinomata squadra femminile. Burstein ha poi continuato la sua carriera al Ramat Hasharon, club dove ha ottenuto grandi successi: ha vinto campionato e coppa ed è stato premiato come allenatore dell’anno per tre volte consecutive.

Dal 2019 Burstein è il ct della nazionale femminile israeliana

Gli anni di lavoro e i buoni risultati lo hanno portato alla sua sfida più grande: nel 2019 ha assunto la guida della nazionale femminile israeliana, che ha guidato fino a pochi mesi fa. Oggi il calcio è fermo in Israele.

La terribile testimonianza di Burstein

Il ct racconta: “Siamo chiusi perché tutte le attività sono state sospese, compreso il calcio. Non ci sono scuole e vietano alle persone di riunirsi in grandi gruppi. L’altro giorno è stato pazzesco, perché è stata prospettata la possibilità di una lunga guerra, la gente è uscita per comprare cibo e ha svuotato i supermercati.

La maggior parte degli atleti stranieri se n’è andata durante il fine settimana dopo l’attacco iniziale di Hamas. Rimangono alcuni che non hanno ancora potuto viaggiare e aspettano un’opportunità per lasciare Israele. L’attacco iniziato venerdì scorso tiene il Paese (e il mondo intero) con il fiato sospeso.

“Per molto tempo ho viaggiato in tutto Israele per il calcio – continua il tecnico argentino Ero in città al confine con la Palestina in città a maggioranza musulmana, ma non ho mai avuto paura. L’idea che questo sia un luogo sicuro non esiste più; È scomparso venerdì. Mio figlio di dieci anni mi ha detto che non ha più paura delle bombe ma ha paura dei terroristi che possono entrare in casa. È molto duro sentirlo dire da un ragazzo”

Ramat Hasharon, dove risiede Burstein, è vicino a Tel Aviv e al Mar Mediterraneo, e rispetto al centro del conflitto dista 80 chilometri, un’ora di macchina. “Da qui si sentono i missili che esplodono contro l’Iron Dome. È come essere accanto a un vulcano che non erutta da molti anni. “Pensi che non accadrà mai, finché non accadrà”.

Durante la tournée della squadra femminile nella Macedonia del Nord, l’argentino ha vissuto una situazione piacevole per quanto riguarda la convivenza interreligiosa. “In Nazionale avevo due giocatori musulmani e loro indossavano con orgoglio la maglia israeliana.

Un tour ha coinciso con il Ramadan e la Pasqua ebraica. Le due donne musulmane digiunavano tutto il giorno senza abbandonare gli allenamenti, e il momento in cui andavano a mangiare coincideva con l’inizio della celebrazione da parte delle donne ebree. Aspettarono rispettosamente la fine della cerimonia e mangiarono solo quando lo facevano tutti. La tolleranza è possibile”.

Ma per ora c’è solo morte e distruzione, tra militari, civili ed anche nel mondo dello sport.

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