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L’azionariato popolare vuole cambiare il mondo del calcio italiano?

L'azionariato popolare per l'Inter, promosso da Interspac e Cottarelli, ha coinvolto gran parte dei tifosi. Ma come funziona all'estero?

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Marco Pino

Marco Pino

Sport Economy Specialist

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La prospettiva da cui il tifoso osserva e vive il calcio nella maggior parte dei casi è influenzata da passione e coinvolgimento. Due caratteristiche di cui il mondo dello sport in generale deve nutrirsi, permettendo agli attori principali (i tifosi e non i calciatori) di accorciare le distanze e rompere determinate barriere.

In qualche modo, l’avvento dei social network e l’evoluzione digitale hanno infranto alcune sovrastrutture permettendo ai fan di avvicinarsi ancora di più al quotidiano di calciatori e club, aumentando notevolmente il coinvolgimento degli appassionati e creando nuove forme di engagement molto diverse rispetto al passato.

Mutuando questo discorso, relativo ad un maggiore coinvolgimento dei tifosi nella vita dei club, in un campo economico oltre che digitale, l’iniziativa di azionariato popolare portata avanti da Carlo Cottarelli, Presidente di Interspac, può permettere ai fan di essere non solo presenti ma (anche solo in piccolissima parte) coinvolti nella realtà societaria.

Azionariato popolare: Intervista esclusiva a Carlo Cottarelli su QuiFinanza

Grazie all’azionariato popolare il tifoso entra realmente dentro la società, determinando una capillare diffusione della proprietà delle quote del capitale sociale aziendale e diventando direttamente azionista. Ottiene, inoltre, tutti i diritti derivanti dal detenere anche solo una piccola quota esprimendo, a seconda dei casi, parere in assemblea soci. Nel parlare dell’iniziativa di azionariato popolare promossa in prima persona dal Professore Carlo Cottarelli in favore dell’Inter tramite il veicolo Interspac, si sono citati diversi casi di altre squadre europee. A seconda dei contesti, l’azionariato popolare ha trovato diffusione anche con esempi virtuosi di potenze del calcio mondiale, come Bayern Monaco e Barcellona, per le quali però esistono delle differenze che è giusto analizzare per poter capire le reali potenzialità dell’azionariato popolare nel calcio.

Azionariato popolare: il modello tedesco

L’esempio più importante in Germania è senza dubbio il Bayern Monaco, pur essendo l’azionariato popolare comunque diffuso nelle compagini societarie delle squadre tedesche. Per parlare dei bavaresi è prima necessario spiegare come sono suddivise le quote sociali e quindi capire il peso dell’azionariato popolare per i campioni della Bundesliga. Il 75% delle quote del club è in mano ai piccoli azionisti (che annualmente versano una quota di circa € 60), mentre il restante 25% è diviso equamente (8.33 %) tra Adidas, Audi e Allianz, le cosiddette “tre A”. Nel caso di specie stiamo parlando di tre realtà non solo tedesche ma addirittura bavaresi, e questo dimostra il forte legame che si manifesta nei confronti del territorio nel calcio tedesco. Oltre il Bayern troviamo ovviamente altri esempi che ci aiutano a spiegare il perché del diffondersi dell’azionariato popolare in Germania. La regolamentazione tedesca non permette infatti a nessun socio unico di possedere il 50%+1% del capitale sociale, un qualcosa che consentirebbe di esercitare un controllo diretto sulla società ad un singolo soggetto. Le uniche situazioni in cui si è derogato a questa regola fanno riferimento a Hoffenheim, Bayer Leverkusen, Wolfsburg e RB Lipsia. Il Bayer, infatti, prende il nome direttamente dalla casa farmaceutica tedesca che è principale azionista, Volkswagen e Red Bull sono rispettivamente proprietarie di Wolfsburg e Lipsia, mentre l’Hoffenheim è detenuto per il 96% da Dietmar Hopp, imprenditore tedesco molto legato proprio alla città di Hoffenheim.

Per la tradizione calcistica teutonica, come dimostrano anche i casi Wolfsburg e Bayer, oltre che Bayern Monaco e altri possibili esempi, il legame con il territorio è una caratteristica non trascurabile quando si parla di azionariato popolare sul modello tedesco, che presenta un contesto in cui non solo i tifosi ma anche le aziende domestiche investono e sono presenti nel mondo del calcio. Importante differenza rispetto ad un contesto come quello del nostro Paese in cui negli ultimi anni è addirittura diminuita la presenza di imprenditori italiani e conseguentemente aumentata la presenza di investitori stranieri disposti ad investire per garantirsi in primis un ritorno di immagine.

Il modello del Bayern conta 293 mila soci che formano appunto il già citato 75% della società e che scelgono in assemblea il Presidente. Ciò che davvero conta per i bavaresi però è sicuramente la gestione economico-finanziaria del club che ha permesso di ottenere utili da 29 anni a questa parte. Sulla ricerca di una virtuosa gestione economica, anche negli anni precedenti all’introduzione del Financial Fair Play, ha influito certamente l’assenza di un mecenate disposto annualmente a coprire le perdite. Un qualcosa a cui siamo stati abituati in Italia, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio.

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Azionariato popolare: la situazione della Liga

In Spagna, invece, la situazione è ben diversa. Prendendo in esame il caso Barcellona, più volte citato sul tema dell’azionariato popolare collegato all’Inter, possiamo cominciare a capire le prime differenze rispetto a quanto abbiamo visto accade in Germania. Le modifiche normative di inizio anni ’90 in Spagna, hanno permesso alle società di trasformarsi in associazioni a scopo di lucro per permettere l’ingresso di nuovi capitali. Solo quattro squadre, dimostrando l’esistenza degli ultimi 5 bilanci in utile, mantennero lo stato di associazione non a scopo di lucro: Athletic Club, Barcellona, Osasuna e Real Madrid. Proprio i blaugrana sono un esempio di azionariato popolare in Spagna con un funzionamento un po’ diverso rispetto al Bayern Monaco. I soci del Barcellona, infatti, versano annualmente una quota nelle casse del club ottenendo la possibilità di partecipare alle elezioni che ogni 4 anni si svolgono per nominare il Presidente.

Ma quanto vale annualmente questa cifra? Nel bilancio 2019/2020 l’importo relativo alle quote dei soci era pari a 19 milioni su 855 milioni di fatturato totale del club. Un’incidenza del 2,22% come riportato dai dati ufficiali presenti nel bilancio della squadra blaugrana e che quindi risulta essere una cifra non significativa sul totale del fatturato. Il mantenimento di questa formula è legato alla grande tradizione dei catalani e al legame (anche in questo caso) con la città. Essere socio del Barça ha un significato culturale per i tifosi (“Més que un club”) e pertanto prescinde dall’incidenza economica sul totale del fatturato annuale della squadra.

Nel parlare dunque di modello spagnolo, ipotizzandone la possibilità di mutuarlo nel contesto italiano, è necessario capire quanto influirebbe sulle casse di un’ipotetica squadra di Serie A. Utilizzare una struttura di azionariato popolare similare a quella del Barcellona significherebbe creare solo ulteriori gerarchie decisionali interne piuttosto che risolvere realmente il problema di liquidità per cui in tanti lo invocano come soluzione.

L’iniziativa promossa da Cottarelli per l’Inter (e non solo)

Si apre oggi una fase molto importante dell’iniziativa che stiamo promuovendo. I tifosi delle squadre di calcio potranno esprimere il proprio interesse a partecipare in una iniziativa di azionariato popolare per diventare proprietari del loro club, qualora ce ne fosse la possibilità”, con queste parole Carlo Cottarelli, lo scorso 22 giugno, aveva annunciato il lancio dell’iniziativa di azionariato popolare in favore dell’Inter. Il tutto, come detto, tramite Interspac, società di cui è Presidente lo stesso Cottarelli. Interspac nasce nel luglio 2018 da un gruppo di celebri tifosi dell’Inter interessati a rilevare una quota di minoranza delle azioni del club, in un momento in cui era in corso la negoziazione tra Thohir e Suning per il passaggio di proprietà. Mentre in quella fase la famiglia Zhang non si mostrò fino in fondo interessata all’iniziativa promossa da Cottarelli, adesso la proprietà nerazzurra potrebbe accogliere di buon grado nuova liquidità a costo zero dai tifosi.

L’idea del Professore Cottarelli non riflette però la volontà di “assistere” le casse del club, bensì di costruire un percorso di medio lungo termine nel quale affiancare la crescita dentro e fuori dal campo della squadra. Il coinvolgimento di importanti personalità e celebri personaggi annunciato negli scorsi giorni ha portato entusiasmo tra i tifosi, ma l’iniziativa non riguarda solo Inter nell’idea dell’economista, che ha più volte ribadito il concetto secondo cui il modello di azionariato popolare possa essere ripreso anche per altre squadre italiane.

Certamente le casse nerazzurre, considerato il momento di difficoltà, accoglierebbero di buon grado nuovi capitali (senza interessi) provenienti dai tifosi, ma di che cifre parliamo?

Non si parla di qualche decina di milioni, ma di cifre rilevanti. Non si fa un’operazione simile per entrare con 30 milioni e basta. L’Inter ha circa 4 milioni di tifosi, dipende da quanto ci mettono. Non c’è un limite massimo, ma ce n’è uno minimo. Ci sono fasce dai 500 euro ai 1.000, dai 1.000 ai 5.000 e così via”. Questi i tagli d’ingresso stando alle parole di Cottarelli. L’obiettivo di Interspac è ambizioso considerato che si vorrebbe raggiungere la raccolta di una cifra di circa 300/350 milioni che servirebbero ad acquistare il 30%-35% del club nerazzurro. Oltre a garantire come detto liquidità ad una società che, come risulta dall’ultimo bilancio approvato disponibile (30 giugno 2020) presenta una perdita consolidata di 102 milioni di euro e una necessità di fabbisogno finanziario che ha portato l’Azionista di Riferimento (Suning), nei mesi di marzo e giugno 2020, ad effettuare rinunce a finanziamenti Soci rispettivamente per € 60 milioni e per € 10 milioni consentendo al patrimonio netto della Controllante, che è il patrimonio netto considerato per misurare i parametri di capitalizzazione previsti dal codice civile, di rimanere positivo al 30 giugno 2020. Oltre a rendere necessaria la dolorosa cessione di Hakimi al PSG che consentirà di ripianare tramite ricorso al player trading ( e quindi alle plusvalenze, che non dovrebbero essere la fonte di finanziamento primario di un club di calcio) la situazione contabile al 30 giugno 2021.

Restano però da capire, a proposito del progetto Interspac, diversi aspetti relativi alla regolamentazione: i soci verseranno una quota una tantum o saranno tenuti a versare la stessa quota ogni anno? I finanziamenti saranno vincolati a determinati investimenti? Tante domande a cui ancora dover rispondere mentre l’unica certezza resta quella di dover costruire un modello che può prendere solo spunto da quanto accade in Germania e Spagna, ma che necessariamente deve essere adattato al contesto italiano. L’assenza di imprenditori nazionali disposti ad investire nel calcio, cosa a cui siamo stati storicamente abituati con il picco massimo raggiunto ad inizio anni duemila, sta rendendo necessaria la raccolta tra più soggetti disposti ad investire piccoli tagli per rendere romantica la presenza dei tifosi all’interno dell’assetto societario del club.

Il progetto Interspac, che risulta ancora essere in una fase embrionale, può essere una nuova chiave per ottenere un maggiore coinvolgimento dei tifosi da un lato e risolvere, anche solo in minima parte, i problemi finanziari del club raccogliendo nuovi capitali ad interessi zero. Il tutto deve essere però supportato da una corretta gestione economico-finanziaria capace di garantire stabilità e continuità, caratteristiche che dovrebbero essere alla base di ogni sistema economico. Pensare all’azionariato popolare come alla panacea per tutti i mali del calcio italiano è una visione utopistica e illusoria. Risulta essere maggiormente contestualizzabile, invece, un modello in cui si ottiene un coinvolgimento diretto del tifoso nella vita del club per garantire una base di liquidità utile ma non sufficiente, oltre ad una più elevata partecipazione alla vita del club.

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Articolo a cura di Marco Pino

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