Glielo chiesero per un programma tv andato in onda nel 2005, “La noche del Diez”. Diego, lasciaci qualche parola per il giorno in cui non ci sarai più. E lui, sorpreso, “Uuh, che direi?”. Ci pensò qualche secondo e disse: “Ringrazio per aver giocato al calcio, ringrazio per aver giocato al calcio. Perché è lo sport che mi ha dato più allegria, è come toccare il cielo con le mani. Grazie al pallone. Sì, metterei una lapide che dice: grazie al pallone”. E oggi che il mondo intero piange la sua morte, Maradona diventa l’icona simbolo di questo 2020 terribile che ha portato via star, cantanti, attori e celebrità oltre a più di un milione di persone comuni.
Maradona è morto oggi ma sarebbe potuto morire dieci, cento, mille volte per la sua vita da montagne russe. Mai grigio: o bianco o nero. Mai tiepido: o caldo o freddo. Mai a metà, sempre uno o 90. E sempre dieci, quella maglia che era la sua pelle. Nel Boca Juniors dove era diventato El Pelusa, il capellone che faceva impazzire tutti, come nella Nazionale argentina dove era il Pibe, il ragazzino monello che a 16 anni già era una star, o come a Napoli dove era il Dio del calcio.
L’amore folle con Napoli
Da quando, nel luglio del 1984 (per vederlo palleggiare al San Paolo nel giorno della presentazione si pagava il biglietto, mille lire le curve, 2000 i distinti e 3000 le tribune) Maradona si presentò a Napoli fu amore tossico e infinito. Uniti per sempre, nel bene e nel male. L’idolo che divenne emblema della rinascita e a cui tutto veniva perdonato da una città che però lo stritolava, l’avvolgeva e lo faceva scendere dal Paradiso agli inferni della droga e dell’alcol, perduto nelle notti perse di quella Napoli che pur di tenerselo stretto gli avrebbe concesso qualsiasi vizio.
Le frasi celebri di Maradona
Era solo un ragazzino quando le telecamere già lo immortalavano con interviste: sguardo da scugnizzo, faccia da indio. Rivelò subito i suoi sogni: ” Ho due sogni: il primo è giocare un Mondiale, il secondo è vincerlo”. Li realizzò tutti e due e fece anche di più.
Era già un uomo, che aveva conosciuto gioie e dolori con la Nazionale (la delusione dei mondiali ’82 dopo le lacrime per essere stato escluso da Argentina ’78) e con il Barcellona (la rottura della gamba dopo l’intervento killer di Goycoechea, le prime esperienze con la droga, le liti con il presidente Nunez), quando si rese conto di cosa era il calcio a Napoli: “Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires.”.
Era il più forte giocatore del Mondo quando osò mettersi contro l’uomo più potente al mondo: ” Sì, ho litigato col Papa. Ci ho litigato perché sono stato in Vaticano, e ho visto i tetti d’oro, e dopo ho sentito il Papa dire che la Chiesa si preoccupava dei bambini poveri. Allora venditi il tetto amigo, fai qualcosa!.”.
Aveva toccato invece uno dei punti più bassi della sua vita quando nel ’91, dopo essere scappato da Napoli e la positività alla cocaina con la squalifica, fu trovato drogato e con gli occhi allucinati dalla polizia che lo arrestò:”So di aver fatto del male prima di tutto a me stesso e quindi alla mia famiglia, alle mie figlie. Credo che in futuro imparerò a volermi più bene, a pensare di più alla mia persona. Non mi vergogno però. Non ho fatto male a nessuno, salvo a me stesso e ai miei cari. Mi dispiace, sento una profonda malinconia, soltanto questo”.
Della cocaina parlerà tante volte, si confesserà in pubblico per esorcizzare il demonio, assicurerà in migliaia di occasioni di esserne uscito. Ma la droga non era l’unico nemico di un semi-dio del pallone che nascondeva le più grandi fragilità umane. C’erano le cattive amicizie, l’alcol, la vita sbandata, i chili di troppo. Tante operazioni, tante cadute e altrettante risalite. Morto e risorto una, dieci, cento volte fino a oggi. E sulla bara, adesso, mettetegli pure il suo amato pallone.