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Matías Almeyda: la sua carriera e il cuore al River Plate

Matías Almeyda ha dedicato la sua vita al River Plate, sia come giocatore e poi come allenatore, ma ha giocato anche in Italia. Scopri la sua carriera

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Simone Biancofiore

Simone Biancofiore

Giornalista

Laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Bologna. Il calcio è da sempre una grande passione. Scrivere di calcio? Merito di mio nonno, gli devo tanto.

Matías Almeyda: la sua carriera e il cuore al River Plate Fonte: Imago Images

Matías Almeyda è stato un centrocampista di spessore e di quantità. Sicuramente non uno di quelli capaci di segnare gol e confezionare assist in maniera continua ed esponenziale. È stato un giocatore che si è sempre fatto rispettare. Così come la maggior parte degli atleti sudamericani si è identificato in un giocatore molto coraggioso e grintoso. Un combattente che ogni allenatore vorrebbe avere nella propria squadra, Almeyda ha costruito la sua carriera su corsa, gamba e agonismo.

Chi è Matías Almeyda

Almeyda nasce ad Azul, una cittadina argentina della provincia di Buenos Aires e in una famiglia molto semplice. Giocare a calcio è un sogno che si realizza molto velocemente visto che inizia a giocare nelle giovanili del River Plate. A 18 anni, nella stagione 1991/92, ha già modo di esordire in Prima squadra. Il suo è un percorso in ascesa diventando titolare in pochissimo tempo. Viene soprannominato El Pelado, per via dei suoi capelli corti. Un paradosso perché quando è arrivato in Europa tutti quanti lo ricordano per la folta e lunga capigliatura.

In cinque anni conquista ben tre campionati (1993, 1995 e 1996) e conquista una Copa Libertadores. Quella del 1996, quella del doppio confronto contro l’America de Cali. La partita di andata si mette male visto che allo Stadio Pascual Guerrero i padroni di casa si impongono per 1-0. Al Monumental la storia è diversa e una doppietta di uno sconosciuto Hernan Crespo regala al River la coppa. Sarà l’unica per Almeyda nel suo percorso da giocatore.

Almeyda conquista tutti, anche il ct della nazionale argentina Daniel Passerella. Viene selezionato per la spedizione olimpica ad Atlanta ‘96. Una competizione in cui Matías conquista la medaglia d’argento, dietro alla Nigeria e davanti al Brasile. El Pelado in pochissimo tempo ha già un ottimo palmares che indubbiamente fa drizzare le antenne dei club europei.

Il River Plate però, sarà anche la sua ultima squadra da calciatore. Dopo una lunga carriera, ci torna nel 2009 e disputa due stagioni. È stato un viaggio molto intenso quello di Almeyda, contraddistinto da gioie ma anche di malesseri personali. Spesso i suoi comportamenti lo hanno reso protagonista di episodi non memorabili.

Per un periodo non ha avuto un rapporto facile con l’alcool, lo racconta così nella sua autobiografia intitolata ‘Almeyda, Anima e Vita‘: “Una volta ad Azul, il mio paese, ho bevuto cinque litri di vino, come fosse Coca Cola, e sono finito in una specie di coma etilico. Per smaltire, ho corso per cinque chilometri, finché ho visto il sole che girava. Un dottore mi ha fatto 5 ore di flebo. Sarebbe stato uno scandalo, all’epoca giocavo nell’Inter. Quando mi sono svegliato e ho visto tutta la mia famiglia intorno al letto, ho pensato che fosse il mio funerale”.

Matias Almeyda con la maglia del Parma Fonte: Imago Images

L’arrivo in Europa: prima tappa Siviglia

Dopo 67 presenze e 3 gol con la maglia del River Plate, Matías Almeyda sbarca in Europa. Un passaggio quasi scontato per quello che aveva fatto vedere in Argentina. Il Siviglia, per strapparlo alla concorrenza, versa nelle casse del River 22 miliardi di lire.

Ci va rispettando una promessa: “Come giovane cresciuto nel River, mi volevano diverse società in Europa. Non volevo andarmene ma accettai una proposta del Siviglia: Offrirono 500mila dollari, il Real Madrid 1 milione, il Siviglia rilancia a 1,5. Così arrivarono a 9,3 per un volante argentino, era una sfida. Il mercato esplose, non pagarono tanto perché li valevo. Il presidente del River mi disse “Hai deciso dove andare?”. “A Siviglia, gli ho dato la mia parola“. E lui mi disse: “Ehi, tu sei pazzo, Che Siviglia? Il Real è il Real!”. Risposi: “La mia parola vale”. Alla fine il Real fu campione e il Siviglia retrocesso. Ma lo rifarei”.

Una prima stagione in Europa da dimenticare per Almeyda. Il Siviglia esce al 3° turno di Coppa del Re e addirittura retrocede nella cadetteria spagnola. Per il centrocampista 28 presenze complessive ma dimostra di essere il fratello gemello di quello visto in Argentina. Matías non incide, non riesce probabilmente a cimentarsi in un calcio diverso da quello sudamericano. Ma è anche normale perché un periodo di adattamento è sempre necessario ma inevitabilmente le strade con il Siviglia si separano.

Il passaggio alla Lazio di Almeyda

Nell’estate del 1997 Sergio Cragnotti lo porta nella Lazio. Ci arriva forse con un po’ di scetticismo visto che era reduce dalla retrocessione con il Siviglia e una stagione sicuramente non all’altezza. Si rivelerà un acquisto azzeccato.

La prima sarà un’annata di rodaggio, di ambientamento vero e proprio, dove cercherà di capire i meccanismi della Serie A e le richieste di Sven-Göran Eriksson. Vince comunque una Coppa Italia, anche se non da protagonista. In 11 partite totalizza appena due presenze e non scenderà mai in campo nella doppia finale contro il Milan. In campionato appena 19 le presenze, in una stagione in cui la Lazio terminerà al 7° posto in classifica a quota 56 punti.

La seconda stagione è quella che probabilmente si può definire della svolta. L’argentino riesce ad acquisire spazio e minutaggio ma è anche una squadra totalmente diversa, più forte. Il campionato 1998/99 è il preludio di un qualcosa di meraviglioso. I biancocelesti ad agosto battono la Juventus e conquistano la Supercoppa Italiana. Un altro trionfo.

Ma non finisce qui. Almeyda e compagni si rendono assoluti protagonisti dell’ultima Coppa delle Coppe della storia (dal 1999/2000 viene introdotta la Coppa Uefa). Un cammino in cui El Pelado sarà uno dei protagonisti di quella meravigliosa cavalcata che si conclude nella finale vinta 2-1 a discapito del Mallorca di Hector Cuper. Anche in campionato le cose vanno meglio, i biancocelesti sfiorano lo scudetto concludendo al 2° posto a -1 dal Milan campione d’Italia.

La terza annata di Almeyda in maglia biancoceleste si apre con un successo a sorpresa. La Lazio, dopo aver trionfato nella Coppa delle Coppe, sfida il Manchester United, squadra vincitrice dell’ultima Champions League. Allo Stade Louis-II la squadra di Eriksson conquista il secondo titolo continentale grazie ad una rete di Marcelo Salas. Almeyda sarà uno dei protagonisti di quel magnifico trionfo. Ma non finisce qui. Oltre alla Coppa Italia vinta a discapito dell’Inter, i biancocelesti nella stagione 1999/2000 vinceranno anche lo Scudetto. Un successo che si materializza nell’ultima giornata, scavalcando la Juventus.

Dopo tre magnifiche stagioni contraddistinte da uno Scudetto, 2 Coppe Italia, 1 Supercoppa Europea, 1 Coppa delle Coppe e 1 Supercoppa italiana El Pelado lascia la Lazio. Saluta la Capitale con appena 2 reti in 63 presenze. Memorabile quella messa a segno al Tardini contro il Parma nell’anno dello scudetto. Sul risultato di 1-1 il difensore di casa Lassissi spazza via il pallone dopo un traversone e Matías, da una posizione quasi impossibile, realizza un gol pazzesco.

Parma, Inter e Brescia: le ultime tappe italiane

Dopo un triennio da incorniciare, Almeyda sposa il progetto del Parma. Ci arriva in un affare di mercato che porta Hernan Crespo alla Lazio. Ci resta per due stagioni, perde una Coppa Italia nel 2001 contro la Fiorentina ma poi la vince l’anno successivo contro la Juventus di Marcello Lippi. In totale saranno 47 le presenze e 1 gol messo a segno.

Nella sua autobiografia, però, c’è un tema che l’argentino tocca senza troppi giri di parole. È quello del doping: “A Parma ci facevano una flebo prima delle partite. Dicevano che era un composto di vitamine, ma prima di entrare in campo ero capace di saltare fino al soffitto. Il calciatore non fa domande, ma poi, con gli anni, ci sono casi di ex calciatori morti per problemi al cuore, che soffrono di problemi muscolari e altro. Penso che sia la conseguenza delle cose che gli hanno dato”.

Però c’è anche un altro passaggio che fa capire meglio Almeyda come uomo: “Sul finire del campionato 2000-01, alcuni compagni del Parma ci hanno detto che i giocatori della Roma volevano che noi perdessimo la partita [Roma-Parma]. Che siccome non giocavamo per nessun obiettivo, era uguale. Io ho detto di no. Sensini, lo stesso. La maggioranza ha risposto così. Ma in campo ho visto che alcuni non correvano come sempre. Allora ho chiesto la sostituzione e me ne sono andato in spogliatoio […]”.

Poi il passaggio all’Inter per una cifra pari a 22 milioni di euro. Non fu di certo una parentesi memorabile, anche perché sarà protagonista in negativo di diversi infortuni e con l’aggravante di una depressione che inizia ad essere presente nella sua vita.

Anche in questo caso diventa fondamentale leggere con molta attenzione le dichiarazioni presenti nell’autobiografia sulla sua esperienza in maglia nerazzurra: “Due infortuni, troppo tempo senza giocare. Pensavo e pensavo. Un giorno non sentivo più la mano, quello dopo avevo perso la sensibilità nella metà del corpo. All’Inter c’era una psicologa. Mi diagnosticò attacchi di panico e prescritto una cura, ma non le ho dato retta. Ho capito che dovevo fare qualcosa quando mia figlia mi ha disegnato come un leone triste e stanco. Da allora tutti i giorni prendo antidepressivi e ansiolitici. Le chiamo le pillole della bontà, mi fanno essere più buono”.

Dopo prestazioni al limite della sufficienza avrà una breve esperienza al Brescia, da agosto del 2004 fino a dicembre. Totalizza appena 5 presenze.

Matias Almeyda allenatore del AEK Athen Fonte: Imago Images

L’addio al calcio di Almeyda e la vita da allenatore

Dopo l’altra esperienza in terra lombarda, Almeyda in un anno e mezzo cambia ben quattro società. Tra queste West Bromwich, Universidad de Chile, Quilmes e River Plate. A 31 anni annuncia l’addio al calcio ma dopo due anni di inattività in cui si era dedicato alla sua azienda agricola, firma un contratto prima con il Lyn Oslo e, poi, con il Fénix, squadra argentina di quarta serie. Poi il ritorno al River, dove tutto era iniziato. Dopo due stagioni dice stop in maniera definitiva.

Non lascia definitivamente il River che, nel 2011, ottiene la prima storica retrocessione in Primera B Nacional. Ci resta nelle vesti di allenatore. Un nuovo inizio per Matías. Almeyda centra subito la promozione, riportando così la sua squadra in Primera Division. A giugno del 2012 viene però esonerato e nell’aprile del 2013 viene nominato allenatore del Banfield. Anche qui dimostra di essere molto predisposto nel rilanciare i club dato che vincerà nuovamente la Primera B Nacional.

Dopo due stagioni in Argentina, Almeyda viene chiamato in Messico e si mette alla guida del Chivas di Guadalajara. Un’altra magnifica esperienza per El Pelado che in 147 panchine vince praticamente tutto quello che c’è da vincere: un Campionato Messicano, due Coppa del Messico ed una Supercoppa Messicana. Nel 2018, ad ottobre, si trasferisce in America. Firma con il San Jose Earthquakes. Non ha gli stessi risultati ottenuti in passato e ad aprile del 2022 firma la rescissione del contratto. Lo scorso 1° luglio 2022 Almeyda ha iniziato la prima esperienza da allenatore in Europa con l’AEK Atene. Un nuovo percorso, una nuova vita per Almeyda che sembra promettere davvero bene.

Matias è stato un calciatore di grandissimo spessore che è riuscito a farsi strada vincendo molte battaglie. Non solo quelle a centrocampo e con avversari ostici e di altissimo livello ma soprattutto quelle personali e mentali che hanno condizionato e non poco la sua ottima carriera. La storia di El Pelado è quella che caratterizza molti argentini e sudamericani che molto spesso arrivano in Italia oppure in Europa, con la voglia di farcela e di arrivare il più in alto possibile. Spesso hanno dei finali felici, mentre in altri casi no. Ma c’è una cosa che accomuna tutte queste vicende: la perseveranza. Un atteggiamento che molto spesso sembra essere difficile da emulare.

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