Sono trascorsi più di dieci giorni dalla morte improvvisa di Davide Astori, il capitano della Fiorentina. La sua scomparsa totalmente inattesa, apparentemente inspiegabile per uno sportivo di 31 anni costantemente sottoposto a controlli medici, ha colpito e scosso tutti. In questa ultima settimana si è spesso parlato di morte senza “segni premonitori”, di assenza di sintomi o segni che potessero fare presagire qualche problema di salute in Astori. L’opinione pubblica si è dunque interrogata anche sul fatto se sia possibile che simili eventi tragici si possano verificare in giovani sportivi che, di norma, dovrebbero essere controllati e seguiti più di altri. Ma è possibile saperne di più? Ci sono ricerche in corso che possano aiutarci per il futuro? Peter Schwartz è il medico, cardiologo, scienziato, a cui porre questi interrogativi. Studia da sempre, sia sotto il profilo clinico che genetico, la morte cardiaca improvvisa. Tanto da essere oggi riconosciuto, a livello internazionale, come uno dei massimi esperti. Peter Schwartz ha diretto per venti anni l’Unità di cardiologia dell’Università di Pavia presso il Policlinico S. Matteo e attualmente è direttore del Centro per lo studio e la cura delle aritmie di origine genetica dell’Istituto Auxologico Italiano di Milano. Ha sempre lavorato a livello internazionale, soprattutto negli Stati Uniti e in Sud Africa, ed è l’unico ricercatore europeo le cui ricerche sono state finanziate dal governo americano ininterrottamente, proprio per la loro importanza, per oltre quaranta anni.
Professor Schwartz che idea si è fatto sulla causa della morte di Astori?
Attraverso i media si è parlato di “morte per bradiaritmia” (cioè per rallentamento progressivo della frequenza cardiaca fino all’arresto). Personalmente sono molto scettico su questa interpretazione. Sono rarissimi i casi (alcune malattie genetiche familiari) nei quali una grande riduzione della frequenza cardiaca porta a morte, in assenza di altre patologie. Il fatto che negli atleti la frequenza cardiaca di notte scenda a livelli molto bassi (intorno ai 30 battiti/minuto) può aver spinto le ipotesi in questa direzione, ma non si muore per questo. Sembrerebbe che dall’autopsia gli esperti periti abbiano dedotto che la morte è stata lenta; un elemento che potrebbe supportare questa ipotesi di solito è la presenza di un imponente edema nei polmoni. Tuttavia quest’ultimo può verificarsi anche con una morte da tachiaritmia (cioè da aritmia ad alta frequenza cardiaca), che è la causa più frequente di morte improvvisa. Pur non avendo alcun dato sull’autopsia è questo il meccanismo che io ritengo più probabile. La morte improvvisa è dovuta a fibrillazione ventricolare (il cuore passa di colpo da 60-70 battiti/minuto a 4-500 battiti/minuto e non riesce più a espellere il sangue nelle arterie, la pressione arteriosa crolla a zero e dopo pochi minuti vi è la morte cerebrale). In molte malattie cardiache genetiche, e tipicamente negli atleti, questa fibrillazione ventricolare è preceduta da una aritmia meno veloce (circa 170-250 battiti/minuto), la tachicardia ventricolare, che fa scendere di molto la pressione arteriosa ma, se il soggetto è in posizione orizzontale (come quando si dorme), non sotto a 40-50 mmHg di pressione arteriosa. A questi livelli si perde la coscienza ma non si muore e il cervello continua a ricevere un po’ di ossigeno. Senza un pronto intervento esterno, dopo un tempo variabile da pochi a parecchi minuti, la tachicardia evolve in fibrillazione ventricolare e la persona muore. Questo tempo, relativamente lungo, può benissimo causare un importante edema polmonare. In questa fase il paziente emette dei suoni preagonici (“gasping”) che svegliano l’eventuale compagno/a di camera e che spesso permettono di salvargli la vita.
Ha in mente qualche malattia specifica che possa aver causato la sua morte?
Senza aver visto gli esami clinici fatti negli anni ad Astori, e soprattutto gli elettrocardiogrammi (ECG), è poco cauto pronunciarsi. Due malattie associate a morte improvvisa nel sonno sono la sindrome del QT lungo tipo 3 e la sindrome di Brugada. Mi sembra però improbabile che i cardiologi che controllano tutti gli atleti professionisti come Astori non se ne fossero accorti. L’esame genetico potrebbe portare le risposte giuste.
Quali sono le ricerche su questo argomento che lei e il suo team state conducendo?
Io mi sono sempre occupato della morte improvvisa, nei bambini, negli adulti, e negli atleti. Recentemente abbiamo ricevuto dal Ministero della Salute un importante finanziamento per studiare, insieme a due grandi esperti di cardiologia dello sport quali il prof. Pelliccia di Roma e il dott. Sarto di Treviso, 1000 atleti con l’obiettivo di identificare malattie genetiche associate a rischio di gravi aritmie. Lo studio è nato anche dalla nostra scoperta che alcuni giovani sportivi mostrano delle alterazioni dell’ECG che fanno pensare ad una malattia pericolosa come la sindrome del QT lungo ma che invece sono dovute soltanto ad una predisposizione genetica per cui il training fisico allunga l’intervallo QT. Queste alterazioni sono spesso reversibili con il “detraining” (una importante riduzione nella frequenza e intensità degli allenamenti) e portano ad escludere la malattia evitando devastanti danni psicologici. Allo stesso tempo questo studio permette di identificare i giovani realmente a rischio.
Quali sono i controlli più utili da fare nei giovani atleti?
I controlli periodici dell’ECG sono essenziali, ma il medico sportivo deve sapere bene cosa cercare; la prova da sforzo è indispensabile; un grande aiuto alla diagnosi, soprattutto di alcune malattie di origine genetica, viene dalla registrazione Holter per 24 ore con ECG a 12 derivazioni. Nei casi sospetti l’analisi genetica aiuta moltissimo. Il nostro laboratorio di biologia molecolare scopre mutazioni che causano malattia in circa l’85% dei casi, una delle percentuali di successo più alte al mondo.
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