Tanti auguri al Leone d’Inghilterra, il baffo più famoso del mondo dell’automobilismo (naturalmente dopo Tom Selleck di Magnum P.I.). Nigel Mansell compie 70 anni e un po’ tutti all’unisono gli rivolgono il tributo che merita, perché un pilota come lo è stato il britannico non è destinato a restare sottotraccia, sebbene siano passate ormai tre decadi da quando ha concluso la sua parabola nel dorato circus della Formula Uno.
- Il 1992, una stagione da record
- La folgorazione del 1962
- Gli incidenti che lo mettono a rischio
- La grande occasione
- Il passaggio alla Williams è la svolta
- Il sogno Ferrari e l'anno dei record
- Un posto nel cuore
Il 1992, una stagione da record
Impossibile poi dimenticare quanto fatto nella stagione 1992, quando mandò in archivio una annata da record con una Williams oggettivamente fuori portata per chiunque (9 vittorie su 16 gare e tre secondi posti, più 4 ritiri: mezze misure, queste sconosciute), vedendosi poi silurare da Frank Williams che non volle cedere alla richiesta (legittima?) di vedere raddoppiato il proprio ingaggio.
Una decisione che finì per aprirgli le porte della Indycar, con l’America che accolse un Leone ferito ma mai domo, capace di conquistare al primo colpo il campionato e di infiammare letteralmente i cuori degli appassionati americani, che certo non erano avvezzi ad ammirare piloti europei capaci di sbaragliare la concorrenza statunitense in così poco tempo.
Mansell però aveva imparato l’arte della vittoria, complice anche la pazienza mostrata negli anni, quando tutti lo consideravano un bravo pilota, ma non così vincente da poter essere considerato all’altezza dei più grandi di sempre.
La folgorazione del 1962
Curioso è il fatto che Nigel abbia dovuto attendere i 40 anni per raccogliere quanto seminato nel corso di una carriera che, a differenza di quella di molti suoi colleghi, non cominciò in età precoce.
La passione per i motori, narra la leggenda, è figlia di una folgorazione ricevuta nel 1962, quando vide alla tv Jim Clark conquistare il gran premio di Silvertsone.
Ma fino al 1978, quando arrivò a vendere la propria abitazione dell’epoca (ed era già sposato) per pagare le spese che gli avrebbero consentito di partecipare al campionato britannico di Formula 3 (in attesa che arrivassero sponsor), Mansell si fece notare soltanto in Formula Ford, vincendo un titolo nazionale nel 1977.
Gli incidenti che lo mettono a rischio
Un paio di incidenti rischiarono di porre fine ai suoi sogni prima ancora di diventare qualcuno (soprattutto uno nel quale si infortunò al collo, andando a un passo dalla tetraplegia), ma in suo aiuto accorse nientemeno che Colin Chapman, patron della Lotus, che nel 1979 gli offrì di fare un test per scegliere la seconda guida per la stagione successiva in Formula Uno.
L’attesa per Mansell si sarebbe protratta di ulteriori 12 mesi: nel 1980 Nigel venne assunto come collaudatore, pur trovando il modo per esordire in Austria quando la Lotus schierò una terza vettura. Dal 1981 sarebbe diventato pilota ufficiale accanto ad Elio De Angelis, cominciando la sua lunga storia in F1.
La grande occasione
Undici anni sarebbero dovuti passare prima di vedere il Leone d’Inghilterra conquistare l’agognato titolo mondiale. Mansell eccelleva per coraggio e determinazione, lontano anni luce dall’idea di mostrarsi “tattico” uno volta che abbassava la visiera.
La Formula Uno degli anni ’80 era un mondo in continua evoluzione, ma lui restava ancorato ai miti del passato: voleva vincere e non lesinava alcuno sforzo (suo e della vettura) per raggiungere l’obiettivo.
La Lotus non era più la macchina vincente di un tempo, eppure lui tra un guasto e l’altro in 4 stagioni riuscì a portarla 5 volte sul podio. E così facendo stuzzicò l’interesse di Frank Williams, che cercava un pilota britannico per consentire alla propria scuderia di dimostrare che loro, i figli della terra di Albione, sapevano andare più forti di tutti.
Il passaggio alla Williams è la svolta
Il passaggio alla Williams rappresentò la svolta della carriera di Nigel, che nel 1985 vinse le sue prime gare in carriera (a Brands Hatch e a Kyalami) e che nel 1986 andò a un passo dal conquistare il titolo mondiale, tradito da una ruota avvitata male nel corso dell’ultimo gran premio in Australia mentre viaggiava spedito verso il trionfo (era terzo dietro Prost e Piquet: quest’ultimo, compagno di Mansell, venne richiamato ai box per precauzione, e di fatto il titolo venne consegnato alla McLaren del Professore).
La trasformazione da “Mansueto” (il soprannome coniugato nei primi anni di carriera) a “Leone” era ormai completata, ma il titolo sfuggì a Nigel nel modo più beffardo. E nei due anni successivi, tra incidenti e problemi col motore, non si sarebbe più presentata l’occasione per portarlo a casa.
Il sogno Ferrari e l’anno dei record
La chiamata di Enzo Ferrari, una delle ultime fatte prima della scomparsa del “Drake” nell’agosto del 1988, gli aprì le porte della Ferrari. La rossa di fine anni ‘80’ non poteva competere realmente con le McLaren, ma restava pure sempre la scuderia più amata e ammirata.
Mansell al debutto vinse in Brasile e i tifosi di Maranello cominciarono a sognare ad occhi aperti, ma la scarsa affidabilità della vettura finì per consegnare al mondiale il “solito” duello tra Prost e Senna, rivali seppur compagni di box.
Nel 1990 proprio l’arrivo del francese in Ferrari finì per togliere spazio al buon Nigel, che prima annunciò il ritiro dalle corse, poi spiazzò tutti annunciando di voler tornare alla Williams, che nel frattempo aveva scelto i propulsori Renault per il rilancio dopo anni difficili. Dopo una prima parte di stagione segnata da problemi di affidabilità, l’estate del 1991 mise in mostra un potenziale enorme di una vettura che stava preparando il terreno ai trionfi degli anni successivi.
Mansell addirittura rimise in discussione un mondiale che Senna aveva già in pugno dopo le prime gare, preludio a un 1992 da record nel quale finalmente il Leone riuscì a mettere le mani su quel titolo iridato a lungo sognato e vanamente inseguito. La scelta di andare a correre in America ne confermò l’indole da lottatore senza bandiera, deciso unicamente a lanciarsi in nuove sfide.
Un posto nel cuore
Il suo posto nella storia Mansell se l’è creato con la forza di volontà e la generosità figlia di un modo di correre che non teneva conto dei calcoli, ma solo voglia di spingersi oltre i propri limiti. Un pilota allergico alla tattica, un pilota capace di correre col cuore, prima ancora che con la testa.
Forse è per questo che ancora oggi, a 30 anni ormai dalla fine della sua parabola in Formula Uno, ogni volta che si riaffaccia nel circus l’affetto che il pubblico e gli appassionati gli tributano è rimasto immutato.
Così come il rispetto dei colleghi nei confronti di una persona semplice ed educata, fiero rivale in pista, ma anche pronto a tendere la mano dopo una battaglia fatta senza esclusione di colpi. Un degno rappresentante di una Formula Uno nostalgica che ancora oggi sa essere attuale, ricordando figure che hanno lasciato questo mondo e che hanno contribuito a rendere grande ogni pilota che ha avuto la fortuna di correre in un’epoca dorata. L’epoca del Leone d’Inghilterra, che al netto delle “sole” 31 vittorie conquistate in 187 gran premi occupa un posto davvero speciale nel cuore degli appassionati.