Fabrizio Cornegliani è riuscito ad oscurare l’argento del portabandiera Luca Mazzone, con un risultato auspicato, cercato e meritato ma distante dall’essere ovvio in una giornata segnata fin dal mattino dall’intensità delle gare su strada. Il suo oro è un dono per il medagliere azzurro e per lui, che aveva pianificato ogni singolo dettaglio per creare i presupposti dopo i risultati di Tokyo.
Oro magnifico per Cornegliani
Cornegliani ha dominato la cronometro H1 di handbike, terminando in 34’50”45, circa 21 secondi davanti al belga Maxime Hordies (argento) e oltre 1’16” al campione paralimpico in carica, il sudafricano Pieter du Preez (bronzo).
L’azzurro migliora così l’argento dei Giochi di Tokyo 2020, e torna a conquistare un oro nella crono H1 a distanza di tre anni da quella vinta ai mondiali di Cascais.
Visibilmente provato, emozionato ai microfoni di Rai Sport il neo campione paralimpico ha epslicitato la propria soddisfazione: “Mi sono tolto la maledizione dell’argento – ha sottolineato l’azzurro -. Mamma mia, adesso è oro”. “Me l’aspettavo perché avevo preparato tutto al meglio, con due sopralluoghi e avevo tutto nella mia mente – ha evidenziato ancora -. Il lavoro, ancora una volta, paga” ha concluso Cornegliani che consente all’Italia di incrementare ulteriormente il suo medagliere.
La storia di Cornegliani
Al paraciclismo, Fabrizio (47 anni) è approdato dopo un incidente che ha determinato la privazione dell’uso delle gambe e delle braccia. Un inconveniente banale, quasi inimmaginabile per chi come lui frequentava una palestra di judo e che è rimasto coinvolto suo malgrado in un avvenimento assurdo, quanto imponderabile.
“Il ciclismo, nel momento in cui l’ho cominciato a praticare, era uno strumento di riabilitazione, per potenziare la respirazione e gli arti superiori. L’handbike era l’unico mezzo possibile, mi consentiva di restare sdraiato e al tempo stesso di muovermi, sentire l’aria in faccia, tornare per strada come piaceva a me”.
L’incidente di Fabrizio è avvenuto in palestra, a Lodi, durante un allenamento di arti marziali a causa di un urto accidentale: si è ritrovato travolto, suo malgrado, in un combattimento tra due persone che litigavano e che gli ha causato una lesione.
Come ha ricordato egli stesso al sito della Federciclismo: “Due stavano iniziando a litigare e mi hanno travolto, ho avuto una lesione che ha compromesso l’uso di mani e braccia”.
L’incontro con il paraciclismo
Le gare poi sono arrivate, ma per caso, perché non era il suo obiettivo: “Ho scoperto che questo sport mi veniva bene, così ho continuato e ora sono alla mia seconda Paralimpiade”.
Per Fabrizio, lo sport, però, è anche sofferenza, fatica. “Elementi che fanno parte di me. Non amo perdere, soffro troppo. E, soprattutto, la cosa che meno sopporto è vedere un atleta che non lavora, non si allena, non sacrifica il cuore per la maglia che porta”. Se non avesse intrapreso la carriera agonistica avrebbe fatto il pilota di linea. Nel futuro però si vede ancora in ambiente ciclistico: “Ho tanto da insegnare ai piccoli che stanno crescendo”.
Prima della vittoria dell’oro paralimpico a Parigi, il momento più bello della carriera era un altro”La vittoria a Maniago, una città cui sono legatissimo e dove ho vinto i primi due Mondiali, qui è salito sul podio anche mio figlio. Indimenticabile, ancora mi commuovo”.
Adesso avrà un ricordo altrettanto competitivo che farà la concorrenza, sul versante dell’emozione e della soddisfazione sportiva.