Gigi Piras ha legato la sua carriera calcistica al Cagliari dove vi ha giocato dal 1973 al 1987. Quattordici anni conditi da 87 reti che gli hanno consentito di essere un grande simbolo della formazione rossoblù, amato al pari del grande Gigi Riva. Piras è stato l’erede di “rombo di tuono” in maglia rossoblù avendo indossato anche la maglia numero undici, anche se non ha ottenuto gli stessi successi. Il Cagliari lo ha inserito tra gli altri nella sua Hall of Fame.
Il Cagliari è stata la sua vita in pratica.
“Si è cosi, dopo essere cresciuto nelle giovanili del Selargius, città di cui sono nativo, sono passato al Cagliari e dopo una breve parentesi alla Torres ha giocato ben quattordici campionati, da metà degli anni Settanta fino alla fase un po’ più di declino”
C’è una partita che ricorda particolarmente?
“Il match di ritorno dei quarti di finale di Coppa Italia contro la Juventus al Comunale di Torino. Eravamo retrocessi in serie C1 ma in coppa riuscimmo ad andare avanti. All’andata la gara finì 1-1, nel match di ritorno ci davano per spacciati. Aprì le marcature la Juve con Soldà, poi, pareggiammo noi con Bergamaschi. Nel secondo tempo Platinì riportò di nuovo in vantaggio i bianconeri. Io stavo in panchina a venti minuti dalla fine Giagnoni mi disse di riscaldarmi, io ero arrabbiato perché non mi fece giocare dall’inizio. C’era il massaggiatore Domenico Turi che mi disse: “finiscila, entra in campo e spacca tutto”. Quando iniziai a riscaldarmi ci fu un boato dei nostri tifosi. Non potevo non segnare quel giorno, toccai tre palloni e intorno all’83’ pareggiai infilando Tacconi eliminando la Juventus. Ricordo ancora oggi la gioia nel correre sotto quella curva tutta rossoblù. Poi, la sera festeggiammo a Torino in un ristorante di un tifoso rossoblù. La mia carriera nel Cagliari di fatti terminò proprio lì. Questa vittoria ci permise di giocare la semifinale con il Napoli in casa, con la società in grande difficoltà, quell’incasso di oltre un miliardo di lire fu una boccata d’ossigeno per il Cagliari evitando un possibile fallimento”.
Lei è amato dai tifosi del Cagliari al pari di Gigi Riva.
“Lui è di un altro pianeta, non scherziamo. Mi fa piacere che ancora oggi i tifosi mi ricordano e mi danno tanto calore per strada. Sono sardo e per me che sono stato il capitano di quella squadra, sono cose che non riesci a raccontare”.
Se lo ricorda il suo esordio in serie A?
“Fu il 28 aprile 1974 nella partita interna contro la Fiorentina, entrai al posto del brasiliano Nenè che si infortunò e segnai alla mia prima partita in massima serie. Ci fu un calcio d’angolo, tutti andarono a marcare Gigi Riva, io ero invece completamente solo e segnai”.
Poi, il Cagliari puntò su di lei per ringiovanire la rosa.
“Dopo l’infortunio di Riva la società si affidò ai giovani e tra questi c’ero anche io e Virdis, ad esempio. Quel primo anno di serie B eravamo due ragazzini e facemmo 28 reti in due. Poi, Pietro andò a giocare subito alla Juventus, cambiò squadra dopo un anno e, poi, ritornò”.
Nel 1978-’79 c’è, poi, il ritorno in serie A con Tiddia in panchina.
“Tiddia è stato un tecnico che ha raccolto poco sotto l’aspetto sportivo per le sue conoscenze. Qualche anno dopo arrivammo sesti in serie A, fu il miglior risultato che il Cagliari centrò dopo la squadra dello scudetto. In quella rosa c’erano Corti, Selvaggi, Quagliozzi e molti altri ancora”.
Ricorda una rete particolare della sua carriera?
“In una partita contro il Bologna al Sant’Elia segnai a Zinetti spingendo la palla in rete con il basso ventre. Ricordo che il giorno dopo un quotidiano mi diede l’appellativo di Pube de Oro”.
Che differenza c’è tra il calcio di quegli anni e quello di oggi?
“Prima eravamo tutti amici e c’era attaccamento alla maglia, oggi è tutto un business. Dove calciatori baciano la maglia e dopo venti minuti se ne vanno in un’altra squadra”.
Ha qualche rimpianto della sua carriera calcistica?
“Nessun rimpianto, ho fatto delle scelte di vita. Potevo andare al Napoli o alla Roma in quegli anni ma per problemi familiari importanti mi sono dedicato ai miei affetti”.
Prima di chiudere la carriera da giocatore ci fu il La Palma.
“Fu un miracolo perché portammo in C2 un quartiere cagliaritano. C’erano degli amici che in quel periodo, siamo tra il 1988 e il 1989, volevamo rilevare il Cagliari ma non ci riuscirono e presero il La Palma. Mi chiesero di dargli un aiuto e, poi, l’anno dopo smisi di giocare”.
Quindi intraprende la carriera di allenatore.
“Ho fatto una carriera di tecnico tutta sarda allenando Tempio, Selargius, Progetto Sant’Elia tra gli altri. Ebbi anche la possibilità di potermi spostare ma alla fine non se ne fece nulla”.
Oggi che cosa fa Gigi Piras?
“Ho un’azienda di serigrafia con dei miei fratelli. Certo il calcio mi piace sempre ma ormai l’ho messo un po’ da parte”.
Pasquale Guardascione