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Che fine ha fatto Gigi Piras, erede morale di Riva

L’ex bandiera del Cagliari ha raccolto l’eredità di Rombo di Tuono diventando un idolo

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Non era Gigi Riva, impossibile emulare Rombo di Tuono. Ma come Riva ha saputo far innamorare Cagliari e tutta la Sardegna. Gigi Piras è stata la seconda bandiera dei sardi: se il mancino terribile aveva detto no alle grandi del Nord per rimanere a vita sull’Isola anche Piras si è legato agli stessi colori per la vita. E se non è stato un fuoriclasse come Riva una cosa in più ce l’aveva. Era sardo anche di anagrafe, per quel che conta.

Piras disse no al Napoli per motivi familiari

A Cagliarinews rivelò che per un momento nella sua carriera ha tentennato anche lui: “Una volta Amarugi mi ha ceduto al Napoli. Gli ho detto che, anche per questioni familiari, non sarei andato. Potevo andare solo alla Samp, che mi aveva anche richiesto. Avevamo anche parlato dello stipendio, avrei guadagnato tre volte lo stipendio di Cagliari. Amarugi sparò oltre un miliardo per il cartellino e non se ne fece nulla e sono rimasto volentieri a Cagliari. Poi c’è stata la possibilità Genoa ma non ho accettato e sono rimasto cinque mesi senza giocare”.

Con 320 presenze e 87 reti (132 presenze e 31 reti in Serie A e 188 presenze e 56 reti in Serie B) Piras non ha vissuto gli anni d’oro (“Sono arrivato al cagliari negli anni in cui erano finiti i soldi. Sia la SIR di Rovelli e la SARAS smisero di finanziare il club. Il Cagliari si finanziava con le uscite: Virdis alla Juventus pagava l’anno successivo, così come Corti, Casagrande, Marchetti, Bellini e così via”) ma ha anche tanti bei ricordi, come confessò all’Unione Sarda: “Eravamo praticamente retrocessi in serie C1, ma in Coppa avevamo fatto strada. Tra noi e la semifinale contro il Napoli di Maradona c’era di mezzo soltanto la Juventus”.

Piras non dimentica uno storico gol alla Juve

“All’andata, in un Sant’Elia gremito da cinquantamila spettatori, era finita uno a uno grazie a un gol del nostro terzino, Marco Marchi. Al ritorno, contro Tacconi, Boniek e Platini, ci davano per spacciati senza troppi giri di parole. Invece la Juve di Marchesi non ci mise paura. Andò in vantaggio, pareggiammo con Bergamaschi. Poi segnarono di nuovo loro e io, che quel giorno ero nero perché volevo esserci, perché non potevo perdere l’occasione di giocare un’ultima volta contro la Juve e perché Giagnoni preferì tenermi in panchina, non vedevo l’ora di tornare negli spogliatoi. A venti minuti dal termine della partita l’allenatore mi disse di scaldarmi: la gente, in curva, appena mi vide iniziare gli esercizi di riscaldamento, esplose un boato che diventò assordante al mio ingresso in campo. Quel giorno non potevo non segnare: toccai tre palloni, tirai una volta in porta. Ma bastò: quel tiro, sporco, ciabattato, rabbioso, mandò in visibilio i nostri tifosi, quasi diecimila. Ricordo la gioia che provai nel correre verso la curva dei sardi, l’esultanza spontanea, l’urlo liberatorio della gente che per una notte avevamo fatto sentire più forte dei campionissimi bianconeri. La mia carriera nel Cagliari, di fatto, finisce quel giorno”. L’ultimo gol di Gigi Piras con la maglia del Cagliari è datato 7 giugno 1987: Cagliari-Pisa 2-1, Serie B.

Adesso che non è più giovanissimo si dedica ai nipoti, all’azienda di famiglia e alla politica: è consigliere comunale nella sua Selargius ma quando può, spulcia tra i ricordi: «Sia tecnici che calciatori li ho sempre giudicati come persone, oltre che sul lato calcistico. Come compagno ricordo sempre Brugnera, un maestro che veniva dallo scudetto: persona squisita e sempre disponibile. Di allenatori dico Mario Tiddia, è stato il miglior allenatore mai avuto. L’ho avuto dalle giovanili. E poi era sardo, questo ci aiutava a legare. Così come con Virdis e Valeri: quando dovevamo andare a battere un angolo per non farci capire parlavamo in sardo. Anche con Giagnoni parlavo in sardo».

 

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