Uno “Spadino” dal sinistro magico. Così amavano chiamarlo i tifosi della Fiorentina ad Anselmo Robbiati. Lui che ha risolto molte partite a favore dei viola grazie al suo talento e soprattutto alla sua fantasia. Cresciuto nelle giovanili del Monza per, poi, approdare in massima serie vestendo le maglie di Fiorentina, Napoli, Inter e Perugia.
Come mai il soprannome di Spadino?
“Me lo affibbiò Giovanni Stroppa quando giocavamo assieme al Monza. Allora c’era il telefilm Happy Days e io dopo l’allenamento mettevo sempre il gel nei capelli e il giubbotto di pelle marrone. Un giorno lui mi disse che assomigliavo a Spadino quello di Fonzie e da lì me lo sono sempre portato dietro nel corso della mia carriera. Quando mi trasferii alla Fiorentina credevo di perderlo, invece, tra i giornalisti se lo sono passati e mi è rimasto appiccicato per sempre”.
Si ricorda i suoi inizi al Monza?
“E’ stata la società a cui devo tanto perché mi ha fatto crescere. Entrai nel settore giovanile a dodici anni fino all’esordio in prima squadra al fianco di Casiraghi, Di Biagio, Ganz, Stroppa. Le giovanili del Monza erano molto organizzate. L’allenatore era Pierluigi Frosio, un tecnico semplice e umile, molto disponibile soprattutto con i giovani che li voleva aiutare e far crescere. Mi fece esordire a diciassette anni. Vincemmo due Coppe Italia di serie C. Ho molta riconoscenza nei suoi confronti”.
Poi, il passaggio alla Fiorentina.
“Nei primi anni ebbi Claudio Ranieri come allenatore, una persona con grande personalità che gestì un gruppo di giocatori importanti dopo la retrocessione dell’anno prima. Allestì una rosa con giovani di talento e giocatori esperti riuscendo a centrare subito la promozione in serie A. Con lui ho avuto un bellissimo rapporto. Gli anni successivi vincemmo la Coppa Italia, al ritorno da Bergamo all’aeroporto c’era un corteo di tifosi che ci scortò fino allo stadio dove c’erano 50mila spettatori alle 3 di notte, e la Supercoppa Italiana. Riuscì a sfruttarmi in tutte le mie caratteristiche tecniche. Il mio rapporto con la tifoseria viola è stato straordinario, ero uno di quei giocatori che entravo e facevo bene. Ancora oggi quando vado a Firenze e mi riconoscono per strada mi ricordano quando nella semifinale di andata di Coppa delle Coppe al Camp Nou l’arbitro fischiò la fine della partita al 90’ quando io ero lanciato da solo verso la porta, sull’assist di Batistuta, per andare a segnare. Che rabbia ancora oggi. Allora il recupero non era obbligatorio”.
Nei viola ha giocato assieme a Stefano Pioli, oggi tecnico del Milan…
“Lui era un difensore, quasi a fine carriera allora, che sapeva già guidare la squadra. Era di grande personalità e carattere. Anche lui molto umile e semplice, sempre a disposizione di noi giovani a cui dispensava consigli di continuo”.
Le faccio un nome: Gabriel Batistuta. Che cosa le viene in mente?
“Per i più giovani era un esempio. Non saltava mai un allenamento, sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Un capitano da seguire. Un grande campione e un leader in campo. Era un piacere ogni giorno stargli vicino e imparare”.
Poi, qualche anno dopo alla viola arriva Manuel Rui Costa.
“Atleta di altissimo livello con una forte personalità. Sapeva gestire i momenti di ogni partita come pochi. Era sempre d’aiuto e vicino alla squadra”.
Nella Fiorentina di quegli anni c’era la sua fantasia e quella di Francesco Flachi.
“Io e Francesco eravamo i giovani ma c’era anche Ciccio Baiano. Nel nostro piccolo, comunque, io e Flachi dovevamo portare un po’ di fantasia alla squadra. Ma voglio ricordare anche Effenberg, quell’anno che ho giocato con lui mi sono divertito molto”.
Le dico una data: 31 ottobre 1996. Cosa le viene in mente?
“Il giorno in cui segnai forse uno dei goal più importanti della mia carriera in casa dello Sparta Praga negli ottavi di finale di ritorno della Coppa delle Coppe. Quelle rete ci permise di qualificarci al turno successivo. Una serata magica e che ricordo con piacere che ci permise, poi, di giocare contro il Benfica e il Barcellona”.
A Firenze arrivò alla guida tecnica anche Giovanni Trapattoni
“Un allenatore che come pochi sapeva gestire un gruppo di livello. Gestì quel gruppo in maniera perfetta, riuscimmo ad essere campioni d’inverno quell’anno con lui in panchina e alla fine del campionato chiudemmo al terzo posto dove raggiungemmo la Champions League”.
Poi, ecco il Napoli
“A Firenze non avevo più spazio e presi la decisione di scendere di categoria perché Napoli è una piazza importante. Mi cercò Walter Novellino. Riuscimmo a centrare la promozione in serie A. Ricordo che all’inizio della stagione c’era una città triste per quanto riguarda il calcio, lo stadio era vuoto, e alla fine siamo riusciti a riportare 80mila persone al San Paolo a fine stagione, cosa che ci dava grandi motivazioni ed entusiasmo. Vivevo a Posillipo insieme a gran parte dei miei compagni di squadra”.
Quindi, arriva l’esperienza all’Inter
“Nel calciomercato di inizio stagione il Napoli voleva Moriero e ci fu questo scambio e io andai a Milano. Per me fu solo un passaggio, feci solo sei mesi, ma lo sapevo dall’inizio. Poi, a gennaio andai al Perugia per, poi, ritornare alla Fiorentina e, quindi, all’Ancona”.
Prima di chiudere la carriera l’esperienza con il Figline Valdarno
“Mi sposai a Firenze e andai a vivere in campagna vicino a Figline. Io volevo smettere di giocare e mi allenavo con una squadra dilettanti. In quel periodo mi si ruppe la parabola con un fulmine. Venne l’antennista a casa che nello stesso periodo stava effettuando dei lavori di manutenzione al presidente del Figline. Questo antennista mi chiese: ma cosa fai ora? Gli dissi che mi allenavo e non sapevo se volevo smettere. Lui mi disse che se volevo lui poteva parlare con il presidente del Figline a cui avrebbe detto che io era alla ricerca di una squadra. Poi, parlò con il presidente a cui disse che c’era Anselmo Robbiati era libero. Il presidente del Figline era tifoso della Fiorentina e il giorno dopo mi chiamò e andai a parlare con lui e da lì ci fu questo matrimonio. Giocai due anni in serie D dove il secondo vincemmo il campionato. Poi, l’anno dopo vincemmo il campionato di Lega Pro Seconda Divisione e arrivò anche Enrico Chiesa. In Prima Divisione sempre a Figline ho fatto anche l’allenatore in seconda al fianco di Moreno Torricelli”.
Oggi cosa fa Anselmo Robbiati?
“Sono il responsabile della scuola calcio del Valdarno Football Club, ho preferito insegnare il calcio ai più piccoli. Un’esperienza affascinante. I bambini in realtà di provincia riescono ad arrivare spesso nei professionisti. Il percorso inizia sempre così, come lo feci anche io con la scuola calcio del mio paese. Poi, è chiaro che chi ha delle capacità riesce a trovare spazio e soprattutto a farsi strada”.
Intervista di:
Pasquale Guardascione