A volte non bastano il prestigio, i titoli conquistati, il fascino del nome per convincere un giocatore a restare in una grande squadra.
È questo il caso di Cristian Romero, difensore che la scorsa estate, pur di crescere, giocare e non vedersi relegato in panchina, ha preferito emigrare dalla Juventus e cercare una soluzione alternativa che gli consentisse di disputare minuti importanti e migliorare.
“Quando mi lasciarono al Genoa sapevo di non essere ancora pronto per giocare con loro: dovevo accumulare altra esperienza, altre partite in Serie A. L’estate scorsa la Juve ha cambiato allenatore e ho capito che sarebbe stato difficile restare: ci speravo, ma c’erano tanti difensori centrali” ha raccontato a Sportweek l’argentino.
“Ho chiamato Ciro Palermo, il mio agente, e gli ho chiesto di cercare una soluzione dicendogli, più o meno ‘Qui non c’è spazio per me, cerchiamo un’opzione da qualche altra parte, non voglio stare fermo e perdere un anno’. A me non serve giocare cinque o sei partite a stagione. Sono giovane, per crescere ho bisogno di giocare. La Juve è la Juve, ma non voglio rimanere in panchina“, è stato il ragionamento del difensore nerazzurro che all’Atalanta ha trovato un tecnico che ha saputo valorizzarlo.
“Ai tempi del Genoa tanti compagni che erano stati allenati da Gasperini mi avevano parlato benissimo di lui. Se lo ascolti e ti alleni bene, ti sta dietro passo dopo passo e ti fa migliorare. Prima di conoscere lui ero tatticamente un disastro, non capivo niente. Oggi mi sento più maturo e prendo molte meno ammonizioni” ha rivelato Romero con grande sincerità.
Ad un certo punto della sua vita, Romero è stato davvero vicino a dire basta con il calcio: colpa di un contratto non rinnovato col Belgrano, suo ex club. L’approdo in Italia gli ha poi cambiato la vita, fino al goal realizzato con l’Albiceleste in Colombia tre giorni fa.
“Quando avevo 17 anni avevo deciso di lasciare il calcio. Al Belgrano per un anno e mezzo non ero sceso in campo, allenandomi da solo. A ogni tecnico che arrivava, il direttore sportivo diceva di non farmi giocare.
Perché non avevo voluto prolungare il contratto che mi sarebbe scaduto da lì a diciotto mesi. Da quel momento avevano cominciato a trattarmi male. Facevo giri di campo in disparte, non venivo più convocato. Ma non ho mai pensato di andarmene a parametro zero senza far guadagnare un soldo al club che mi aveva cresciuto. Per fortuna, a sei mesi dalla scadenza del contratto, il Belgrano ha finalmente detto sì all’offerta del Genoa, che già mi aveva chiesto due o tre volte. Al Genoa dirò sempre grazie perché mi ha portato in Italia e mi ha dato fiducia, ma lì ho giocato per non retrocedere e ho cambiato sei allenatori in due anni: così diventa difficile crescere.
Quel passato è decisamente lontano: “Ricordo le parole dei dirigenti del Belgrano quando mi lasciarono partire: ‘Fra tre mesi non tornare qui a chiedere lavoro, perché non c’è più posto per te’ – ha concluso Romero – Sono passati tre anni, e non tre mesi, da quando sono arrivato in Italia. Ho giocato la Champions, sono in una squadra forte come l’Atalanta”.