Forse è un caso, forse no. Eppure la vita di Mateo Retegui sembra tutta un “caso”. Dall’Italia all’Argentina, da Buenos Aires all’azzurro, dal Genoa all’Atalanta alla consacrazione. Un susseguirsi di colpi di scena, spesso inattesi. Così come il poker al Verona in questa stagione magica per l’oriundo che segna e fa sognare la Dea terzo incomodo nella corsa scudetto nella scia di Inter e Napoli. A far da contraltare al lungo infortunio di Scamacca. Sliding doors se ce n’è uno.
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Uno di rapina, un diagonale chirurgico, un tapin vincente, una girata di prima. Alternando destro e sinistro. Stavolta niente colpi di testa, quello lo aveva riservato alla Juve qualche settimana fa. Uno dei tanti gol segnati in questa stagione magica. Il tassametro dice 23, per ora. Perchè corre proprio come Mateo Retegui. Che sta facendo ricredere a suon di perle chi lo aveva bollato come “discreto”, pazza idea di un allora ct Mancini sconsolato alla ricerca disperata di un attaccante per una Nazionale “spuntata”.
Argentino cresciuto a pane e hockey prato, sport di famiglia praticato anche ad altissimi livelli da mamma Maria e papà Carlos detto “El Chapa” per la fronte spaziosa. Lui Mateo è allora diventato “El Chapita”. Gol a grappoli nel Tigre in Argentina. Ma niente di più. Il classico buon prospetto. In lui Mancini ci ha visto qualcosa, oltre a quel passaporto che lo rendeva “azzurrabile” per via del nonno della madre, Enzo originario di Canicattì ma anche quello del padre, Angelo di Sestri Levante.
La Liguria, Genova, nel destino allora. Il Grifone lo riporta alle sue origini ma la sua prima stagione in Serie A è tutt’altro da ricordare. Sette gol il magro bottino per un bomber, solo sulla carta. Appunto “discreto” come in incipit alla sua prima chiamata azzurra. Poi l’estate e il ko di Scamacca che costringe l’Atalanta a tornare sul mercato. Chissà in quanti, forse pure Gasperini, avranno storto il naso sulla scelta della Dea di prendere lui.
Ed invece arrivano i primi gol. Un caso? Stavolta no, perchè le reti si susseguono, una dietro l’altra. Fino al poker al Verona. La Dea che schianta Giulietta. E continua a sognare in tricolore. Mentre Mateo capocannoniere sogna la Scarpa d’Oro. Come canta Ivano Fossati, guarda caso nativo di Genova: “E non svegliateci, no. Non ancora. E non fermateci. No, no, per favore no” (La mia Banda suona il rock).