Se ne va un gigante del ciclismo italiano: Gianni Savio ha percorso l’ultimo chilometro, quello che a 76 anni l’ha sottratto all’affetto dei cari e dei tanti amici che per tanti anni ne hanno accompagnato la carriera da dirigente nel mondo del pedale. Un male incurabile non gli ha permesso di vincere la battaglia più feroce, ma non ne ha fiaccato il coraggio e l’intraprendenza, oltre alla fantastica intelligenza che l’ha portato a scoprire talenti in giro per il mondo, con quel legame unico e indissolubile con la Colombia, da dove ha saputo attingere fuoriclasse capaci di arrivare anche a imporsi nei grandi giri.
- Quanti campioni: da Tafi a Scaproni, fino a Bernal
- La passione ereditata dal nonno, gli ultimi mesi difficili
Quanti campioni: da Tafi a Scaproni, fino a Bernal
L’ultima scoperta, forse quella più sensazionale, è stata quella di Egan Bernal, capace di conquistare un Tour de France (2019) e un Giro d’Italia (2021) prima di dover fare i conti con un terribile incidente in allenamento che sin qui ne ha condizionato gli ultimi tre anni di carriera. Savio l’aveva scoperto quando non era ancora ventenne, e l’aveva lanciato nell’Androni Giocattoli nel 2016, andando a prevedere nel futuro la possibilità di conquistare una vittoria in una delle tre corse a tappe di tre settimane.
Pochi mesi dopo, per consentirgli di spiccare definitivamente il volo, lo avrebbe “consegnato” alle cure del Team Sky, all’epoca superpotenza del ciclismo mondiale, e non a caso nel quadriennio successivo sarebbero arrivati i trionfi che il manager piemontese aveva prefigurato.
Bernal però fu soltanto l’ultima grande scoperta: da Andrea Tafi a Michele Scarponi, da Franco Pellizzotti a Jose Rujano, da Fausto Masnada a Mattia Cattaneo, tantissimi sono stati i prospetti che Savio ha preso sotto la sua ala, consegnandoli poi al palcoscenico del ciclismo che conta. E difficilmente sbagliava a lanciare talenti: se passavano sotto le sue mani, allora voleva dire che di stoffa ce n’era da vendere.
La passione ereditata dal nonno, gli ultimi mesi difficili
Savio aveva il nonno (Giovanni Galli) che a inizio ‘900 era un corridore “indipendente”, capace di laurearsi anche campione italiano. E fu lui a trasmettergli la passione per il ciclismo, che a metà degli anni ’80 lo portò a sostenere un corso per direttori sportivi.
Quando nel 1992 rilevò da Dino Zandegù la ZG Mobili-Selle Italia, lì cominciò la sua avventura in prima linea nel mondo del pedale: il legame con il Sudamerica, principalmente con la Colombia, gli permise di diventare in fretta uno dei manager con più “occhio” per i giovani talenti, fungendo anche da “cantera” per le squadre più blasonate che non potevano permettersi di fare troppi esperimenti sui corridori più futuribili.
A inizio 2024, a seguito di una caduta, si era fratturato due vertebre e una costola, ma quello fu solo l’inizio di un calvario che è proseguito poi con la scoperta di un brutto male, motivo per cui quest’anno non s’è mai visto in giro per le corse. Tra l’altro lo sponsor principale (Drone Hopper) aveva saltato un po’ di pagamenti e per lui sarebbe stata dura ripartire nel 2025, ma la vita ha avuto altre idee. Lo chiamavano “Il Principe”: manca già a tanti, perché di persone come Savio in giro nell’ambiente se ne vedevano poche, sempre pronto a scambiare due chiacchiere, amante di un ciclismo che sapeva (e ancora sa) di nostalgia e romanticismo.