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Aimo Diana: un combattente in campo e in panchina

La carriera e la vita di Aimo Diana, un uomo abituato a dare tutto sia da calciatore che da allenatore: da Brescia a Reggio Emilia.

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Armando Torro

Armando Torro

Giornalista

Giornalista professionista appassionato di sport, numeri e politica, destro di mano e mancino di piede. Dalla provincia di Taranto a Roma e Torino, passando per Madrid e Milano. Qui per raccontare storie e curiosità sugli sportivi del passato e del presente.

Aimo Diana: un combattente in campo e in panchina Fonte: Imago Image

Il nome Aimo deriva dal germanico “Aimo” che significa “colui che combatte sempre” o “colui che è sempre pronto a combattere” e ha una tradizione letteraria di epica cavalleresca dell’Alto Medioevo. Non bisogna stupirsi, quindi, se il prestito linguistico in finlandese si traduca con “generoso, amato” e non è un caso che queste qualità siano espresse su un altro campo in cui si lotta, quello da calcio, da chi si chiama così. In Italia il più noto è Aimo Diana, sempre pronto a correre sulla fascia destra e dare tutto per la propria squadra da calciatore e a soffrire in panchina da allenatore.

Chi è Aimo Diana

Aimo Stefano Diana nasce a Brescia il 2 gennaio 1978 e cresce a Poncarale, si appassiona sia al pallone che al ciclismo e gioca fin da piccolo all’Oratorio della Pace dove ha sede la Voluntas Brescia di Roberto Clerici, società satellite del Brescia Calcio che lo tessera per tutto il periodo delle giovanili dagli 8 ai 17 anni, poi approda ufficialmente alle Rondinelle. Il suo compagno di viaggio nel percorso casa-campo di allenamento fino alla categoria giovanissimi è un certo Andrea Pirlo da Flero: “Suo padre ci portava al campo e sua mamma a casa. Le avventure più divertenti vissute assieme? Un paio di volte siamo scappati dal ritiro per andare a incontrare la ragazzina di turno. Quando rientravamo l’allenatore era lì sempre pronto a coglierci con le mani nel sacco”, racconta scherzando.

La carriera di Diana: dalla B a Baggio

Dopo un anno nella formazione juniores in cui si distingue per la corsa e la capacità di andare al cross, nel 1996 Diana arriva nella prima squadra del Brescia allenato da Reja e trova poco spazio, ma riesce a debuttare in Serie B e gioca due partite nella stagione chiusa col primo posto e il ritorno in A. Le cose cambiano in estate quando il tecnico friulano litiga col presidente Corioni e sulla panchina biancoazzurra si siede Materazzi, il quale nota decisamente di più Diana e lo schiera titolare alla prima di campionato a San Siro contro l’Inter dei nuovi acquisti Ronaldo e Recoba, che decide il match. Il giovane di Poncarale convince e conferma il posto da terzino destro, arriva anche il primo gol al San Paolo nel 3-0 sul Napoli del 18 gennaio e tre mesi più tardi quello del pareggio alla Lazio. Il Brescia però retrocede e Diana riparte ancora dalla B, sempre titolare, attraendo l’interesse del Verona neopromosso che prende in prestito e lo affida al bresciano Prandelli che gli dà fiducia e lo preferisce diverse volte all’esperto Apolloni: 25 partite buone per scaldare i motori e tornare alle Rondinelle da protagonista in A.

Il 2000/2001 infatti è l’anno migliore dei lombardi nel massimo campionato, nonché per Diana che inizia ad alternarsi nei ruoli di terzino, anche a sinistra, ed esterno di centrocampo perché mister Mazzone ha bisogno di qualcuno che sappia correre e coprire, poi davanti ci pensa Baggio. L’ossatura della squadra è formata da bresciani doc, infatti oltre a Diana e ai gemelli Filippini debuttano Bonera e Guana e a gennaio torna Pirlo, ma il leader indiscusso è il Divin Codino, capitano all’unanimità. “Grande persona. Incredibile dal punto di vista umano. Non ti faceva pesare chi era lui. Non faceva parlare di sé, parlava poco ma quando lo faceva si faceva sentire, e in campo il più forte con cui abbia mai giocato”, è il ricordo di Diana protagonista con 32 partite giocate e 2 gol, più qualche assist per Hübner, Tare o lo stesso Baggio.

Le parentesi Parma e Reggina: una vittoria e una perdita importante

La gioia di giocare per la squadra della propria città in un gruppo di amici e con un fuoriclasse dura poco, infatti inaspettatamente Diana lascia il Brescia per il Parma, ma stavolta il campionato non è esaltante e la guida della squadra passa di mano più volte, da Ulivieri al vice Carmignani con intermezzo di Passarella: Diana non trova spazio da terzino destro per la presenza di Sartor e Djetou, ma riesce a ritagliarsi un posto o a sinistra nella linea difensiva o a destra a tutta fascia, a seconda dei moduli utilizzati dai diversi allenatori.

Le presenze totali sono solo 26, condite con un gol, e spesso non per tutti i 90’, ma il cammino del campionato degli emiliani è riscattato dalla cavalcata in Coppa Italia e alla vittoria nella doppia finale con la Juve che lui gioca titolare dopo aver eliminato in semifinale il suo Brescia. Dopo un anno di alti e bassi in gialloblù arrivano mister Prandelli che risolleva la situazione e l’amico Bonera che prende la titolarità della fascia destra, mentre a sinistra ci sono Júnior, l’eroe di coppa, e il nuovo arrivo Gresko. Diana gioca solo 5 partite e va in prestito alla Reggina, è anche segnato da un evento di qualche settimana prima, la morte del padre che porta sempre con sé tramite un tatuaggio: “È il suo nome sull’avambraccio sinistro con un Angelo Custode e la scritta ‘Proteggi la mia famiglia’. Lui è mancato nel 2002 e l’ho voluto fare in questa parte del corpo perché tutti i giorni lo posso vedere ed è come se fosse qui con me“. Chiaramente soffre, ma al tempo stesso vuole rialzarsi e rimettersi a correre nel doppio ruolo sulla fascia: così a Reggio Calabria ritrova fiducia e la rete contro il Como a febbraio, poi si toglie la soddisfazione di vincere lo spareggio salvezza e mandare in B l’Atalanta.

Aimo Diana con la maglia del Palermo Fonte: Imago Images

L’arrivo alla Sampdoria e la prima gioia azzurra

Nella stagione 2003/2004 arriva una doppia svolta per Diana: il passaggio alla Sampdoria e la conoscenza con mister Novellino che lo sposta definitivamente nella linea di centrocampo. Il bresciano è l’esterno destro alto che fa al caso dei blucerchiati, mentre a sinistra c’è Doni a formare un 4-4-2 asimmetrico e offensivo per esaltare al meglio la coppia Flachi-Bazzani. I blucerchiati disputano un gran campionato in cui il “ciclista” Diana, soprannominato così per la resistenza alla fatica, è il giocatore che colleziona più presenze (33 con 5 gol) a dimostrare una costanza di rendimento invidiabile che gli vale anche la convocazione nella Nazionale da parte del ct Trapattoni. I tempi non sono ancora maturi per sperare di andare agli Europei del 2004, ma le premesse per entrare a far parte del gruppo azzurro ci sono e vengono rispettate perché poi Lippi lo impiega con buona costanza nei match di qualificazione a Germania 2006 per tutta la stagione successiva caratterizzata da una situazione personale piuttosto particolare.

Le giravolte della vita: dai drammi al matrimonio in TV

Il 22 gennaio 2005, alla vigilia della gara esterna contro la Lazio, arriva una notizia che fa gelare il sangue a Diana: Beatrice, sua fidanzata da un anno e mezzo, è in coma agli Spedali Civili di Brescia per un aneurisma cerebrale. Chiede il permesso a Novellino di andare a trovarla e l’allenatore lo concede immediatamente, anzi quasi gli vieta di partire per Roma: “La vita viene prima di tutto, prima del calcio, prima di ogni cosa. Non potevo essere così egoista da pensare che un giocatore, un uomo, in quelle condizioni potesse scendere in campo. Noi siamo vicini a Aimo e a Beatrice, siamo con loro”, dice dopo la vittoria all’Olimpico.

La ragazza si riprende lentamente e Diana torna a giocare come sa, corre, crossa e segna ancora 5 reti fino a maggio, quando la sua vita cambia nuovamente e l’occasione è un matrimonio: quello di Bonera con Paola Brusinelli, in cui lui è il testimone dello sposo e conosce Sara Strambini, valletta e conduttrice televisiva, nonché damigella d’onore della sposa. È praticamente un colpo di fulmine, si mettono subito insieme e nel giro di pochi mesi lui le chiede di sposarlo, durante la stagione 2005/2006 in cui si conferma perno della Samp, togliendosi anche lo sfizio di fissare a 6 il record personale di gol in A, in cui spicca la doppietta all’Inter di Mancini più l’unico centro europeo in carriera agli svedesi dell’Halmstad in Coppa Uefa.

Segna anche con la Nazionale in amichevole a Ginevra contro la Costa d’Avorio e rimane nel giro azzurro: la ciliegina sulla torta sarebbe la convocazione ai Mondiali, e in effetti nella lista di Lippi lui c’è, solo che è costretto a rinunciare a causa di una pubalgia acutizzatasi nelle settimane precedenti e di fatto non diventa campione del mondo. “Lo avrei fatto quel Mondiale, sapevo di essere tra i convocati. Ma stavo talmente male che non vedevo l’ora di operarmi e alla fine è andata meglio così per me. Certo avrei voluto esserci… ma chi lo dice che magari con me quella Coppa non l’avremmo alzata?”, ricorda senza particolare amarezza.

Il rimpianto derivante da una scelta, invece, è il rifiuto al Liverpool perché “non volevo uscire dal calcio italiano” e il trasferimento al Palermo nell’estate 2006, ma non perché in rosanero non si faccia valere. Anzi, il suo contributo con corsa e assist c’è sempre, anche se da mezz’ala nel 4-3-2-1 di Guidolin fa un po’ più fatica ed è meno incisivo in fase realizzativa, infatti in una stagione e mezzo segna solo due gol su un totale di 47 presenze. L’unico ricordo che si lega in qualche modo a quegli anni sono le nozze con Sara il 17 giugno 2007 nella chiesa di Poncarale: non il classico matrimonio con soli parenti e amici, ma “da favola”, preparato in collaborazione con la trasmissione “Wedding Planners” condotta da Enzo Miccio su Real Time.

Aimo Diana con la maglia del Torino Fonte:

Il Torino e gli ultimi anni da calciatore

A gennaio 2008 lascia il Palermo e passa al Torino, dove ritrova mister Novellino che lo rimette esterno di centrocampo. Segna due gol in 17 partite, tra cui quello da ex ai rosanero e ritrova la fluidità degli anni doriani, ma il 2009 è disastroso per i granata: tre cambi di allenatore, la retrocessione in Serie B a maggio e il poco spazio trovato fanno incrinare il rapporto tra Diana, i tecnici e la società. Il prestito al Bellinzona nella SuperLeague svizzera è utile per tornare a giocare titolare e salvare la squadra dalla retrocessione, poi la stagione 2010/2011 supera in peggio le aspettative. Il bresciano si ritrova fuori squadra al Torino non giocando neanche una partita, torna a gennaio al Bellinzona e stavolta la squadra non riesce a evitare la discesa nella Challenge League dopo i playout. A 33 anni la carriera ad alto livello di Diana è praticamente finita e le ultime due annate sono al Lumezzane in Serie C e poi al Trento in D, senza particolari spunti.

Il beach soccer e la politica

L’esperienza tra i dilettanti fatta insieme al concittadino De Zerbi è l’ultima nella carriera da calciatore… o meglio, quella sul prato verde. Perché convinto proprio dall’attuale allenatore del Brighton e da Antonio Filippini, Diana decide di aggregarsi alla Nazionale italiana di beach soccer giocando per due anni soprattutto i tornei dell’Italia Beach Soccer Tour a Cellatica, praticamente a due passi da casa. Nel frattempo inizia ad allenare le giovanili della Feralpisalò, sempre nel bresciano, e poi passa alla prima squadra dei verdazzurri (Serie C) riuscendo a portarla all’ottavo posto in campionato. È lo stesso periodo in cui tenta la strada della rappresentanza politica, infatti alle elezioni amministrative del giugno 2016 si candida consigliere comunale a Flero in una lista civica a sostegno del sindaco uscente Nadia Pedersoli, senza però essere eletto.

Posizione, numero di maglia e skills di Diana

Aimo Diana è ricordato per la sua duttilità, essendo in grado di interpretare i ruoli di esterno di fascia sia per attaccare che per difendere, soprattutto a destra ma anche a sinistra. Nei primi anni di carriera al Brescia indossa il numero 2 e si applica nella fase difensiva dimostrando di essere un buon terzino di spinta o un esterno tipico del 3-5-2, mentre il passaggio effettivo a centrocampista di fascia nel 4-4-2 arriva alla Sampdoria con il 23 sulle spalle. Solo da mezz’ala – anche in questo caso, il numero indossato è il classico 8 – è costretto a modificare le sue abitudini anche per le condizioni fisiche non eccellenti e perde la fluidità nell’andare al cross o al tiro con gli inserimenti sulle sponde degli attaccanti.

Aimo Diana allenatore: specialista della Serie C

Conclusa l’esperienza alla guida della Feralpisalò, Diana accetta la panchina del Como che però non riesce a iscriversi al campionato di Serie D e quindi rimane senza squadra. Fino al febbraio 2017 quando arriva la chiamata del Melfi in condizioni disastrose in C e destinato alla retrocessione, arrivata comunque ai playout nonostante 5 vittorie e 2 pareggi in 12 partite. Diana non si perde d’animo e continua a lottare, cioè a studiare prendendo spunto dai maestri avuti in panchina e diventa uno specialista del subentro nella terza serie: porta la Sicula Leonzio ai playoff nel 2018 dopo un inizio difficile, poi il capolavoro con il Renate ultimo in classifica al giro di boa a novembre e salvato senza affanni a giugno e soprattutto i due terzi posti nelle stagioni successive, con l’amarezza dell’eliminazione ai playoff nazionali contro il Padova nel 2021.

Diana è un allenatore che studia le caratteristiche dei suoi giocatori e applica un concetto semplice: “Un allenatore che entra non può far altro che cambiare un linguaggio precedente, deve cambiare quello che non ha funzionato. Non può pensare di entrare in un gruppo e inculcare a questo le sue idee”, osserva mentre dichiara di ispirarsi a Guardiola per la capacità di innovazione tattica. Visti questi risultati, la Reggiana appena retrocessa dalla B lo chiama per tentare la risalita, mancata di un soffio dopo il secondo posto nello scorso campionato e la sconfitta ai playoff contro la ‘sua’ Feralpisalò.

Il club emiliano gli conferma la fiducia e al momento questa è ripagata perché Diana sta tenendo i granata in testa al girone B con 7 punti di vantaggio sulla coppia Cesena-Virtus Entella: perché chi è abituato a combattere prima o poi emerge vittorioso.

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