Tutti hanno iniziato lì. Prima a casa a rompere vetri con la palla di carta con le sedie da usare come porte, poi per strada, negli spiazzali e nei vicoli, quindi sui campetti in polvere. Oggi magari sono – o sono stati – campioni affermati ma la nostalgia per i primi calci da ragazzino, quando il regalo più bello erano le scarpette per giocare (mentre oggi ti pagano per indossarle e ieri erano un sogno da conquistare), non si cancella guardando il conto in banca e dove sei arrivato in carriera.
NOSTALGIA – Alberto Aquilani ha voluto rendere omaggio alla sua infanzia pubblicando su Instagram una foto che lo ritrae in azione quando era solo un ragazzino dei pulcini. Completino giallorosso della Roma, movenze già intriganti e campetto in terra battuta.
IL POST – L’ex centrocampista di Milan, Juventus e Fiorentina scrive: “Uno dei motivi per cui riguardo sempre con piacere questa foto è il campo di terra. Ogni scivolata voleva dire una sicura sbucciatura, i scarpini si rovinavano dopo appena tre giri di campo, nelle giornate estive la terra si alzava e ti entrava in gola, di inverno sotto al diluvio quel fango diventava una palude”.
I RICORDI – Aquilani prosegue: “Ma questo è stato l’inizio di tutto, e sono i miei ricordi più belli. Diventare un professionista mi ha portato a giocare sui campi migliori del mondo, ma i ricordi di quel campo di terra non hanno paragoni”.
GLI ALTRI – Aquilani non è certo l’unico a ricordare da dove è partito. Intervistato dal sito dell’Uefa anche Gianluigi Donnarumma ha detto cose simili: «Ho iniziato a giocare su un campetto di terra battuta e ogni parata era una botta. Anche questo mi ha aiutato molto a crescere.
IL FANGO – Ancor più nostalgico Giorgio Chiellini: «All’asilo il mio migliore amico giocava a basket. Io avrei voluto fare lo stesso per stare con lui, ma il corso di pallacanestro non era aperto ai bambini di 5 anni. Io e mio fratello gemello venimmo invece accettati alla scuola calcio e lì è iniziata la storia che mi ha portato fino a qui. Per me il massimo era buttarmi nel fango, aspettare con gioia gli allenamenti quando pioveva. Non vedevo l’ora di andarmi a buttare nelle pozze d’acqua per poi tornare a casa e lasciare a mia nonna la borsa piena di mota, cioé di fango come lo chiamiamo noi a Livorno. Questi sono i ricordi indelebili dei miei primi anni di calcio».
IL CAMPETTO – Per uno dei suoi libri “Semplicemente Del Piero“, Pinturicchio mise in copertina una delle porte del campetto parrocchiale di Saccon, frazione di San Vendemiano (Treviso), dove aveva iniziato a tirare i primi calci e ricordava: “Il primo torneo, con una vera divisa gialla e blù. Scuola comunale di Saccon. Le magliette tutte identiche vogliono dire squadra. Quel torneo lo perdemmo in finale, ai rigori; vabbè, succede. Non sarebbe stata neanche l’unica volta”.
PERIFERIA – I campetti di periferia hanno visto gli esordi anche di chi non è diventato una star ma che comunque è riuscito a coronare il sogno di giocare e segnare in serie A, come Gennaro Sardo che cominciò a dar sfogo alla sua passione nei campetti delle periferie di Pozzuoli, dove si gioca a calcio ovunque, basta che ci sia un pallone. Una scalata iniziata nei quartieri tra Monterusciello e il Rione Toiano, tra i provini sui campi della provincia di Napoli. Una gavetta che non ha mai dimenticato.