Come nel resto del mondo e della società civile, anche nello sport e nel calcio il Coronavirus si è fatto sentire con prepotenza. Eppure l’universo del pallone ha rappresentato per molti una bolla privilegiata, con le attività che sono riprese prima del tempo e i protagonisti dei vari campionati che si sono sottoposti a tamponi e test quando questi ultimi ancora erano pressoché introvabili. Questo però non ha impedito a molti di loro di comprendere la portata della tragedia Covid, e di sensibilizzare il mondo sui rischi della pandemia. E questo è il caso di chi ha vissuto in una delle città più colpite nella prima fase dell’emergenza: Bergamo. Si tratta di Robin Gosens, che ha deciso di raccontare la sua esperienza in Germania.
L’esterno dell’Atalanta ha addirittura scritto un libro autobiografico, che nel suo Paese natale uscirà il prossimo 8 aprile. Ma in un’intervista per ‘Aktuell’, periodico della Deutscher Fussball Bund (la federcalcio tedesca), ha deciso di anticiparne alcuni tra i temi più dolorosi.
“Noi dovremmo ritenerci tutti dannatamente fortunati. C’è invece chi ancora nega che il Covid sia pericoloso o addirittura che esista. Ma verso queste persone non nutro nessun tipo di comprensione“, ha spiegato Gosens. Che ha voluto condividere con gli appassionati tedeschi cosa abbia comportato vivere a Bergamo nella tragica primavera 2020.
“Quello è stato il periodo più difficile di tutta la mia vita – ha raccontato il laterale mancino dell’Atalanta -. Ero costretto a restare chiuso nel mio appartamento, ed era brutto. Ma poi leggevo i reportage quotidiani, che raccontavano della trasformazione di Bergamo in una città fantasma“.
Anche spiegare a casa quello che stava accadendo non fu una passeggiata: “Ci scambiavamo notizie con la famiglia, i miei amici chiedevano se fossimo ancora vivi. Il lockdown mi ha fatto capire cosa nella vita sia davvero importante. Ossia avere intorno a te persone care e vedere che stanno bene“.
Per Gosens fu particolarmente dolorosa una visita all’ospedale di Bergamo: “Ero lì per un test, e al lato dell’ingresso c’era una pila di sacchi per i cadaveri. Non sapevano cosa farci. E immagini del genere sono diverse rispetto a quelle che chiunque sia lontano possa avere”.
Da qui la decisione di parlarne in un libro, intitolato ‘Vale la pena sognare – Il mio percorso leggermente diverso verso il calcio professionistico’: “L’ho scritto dopo averne parlato con un buon amico mentre eravamo chiusi in casa per il lockdown. Ho capito che scrivere del lavoro da fare per realizzare i propri sogni era giusto. Ora ho riscoperto il piacere di una chiacchierata con gli amici e un caffè in compagnia“.
Tutti i numeri di Robin Gosens