Alberto Bettiol, clamoroso vincitore del Giro delle Fiandre, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport ha raccontato la sua impresa. “Al mio arrivo parlavo al telefono con Giulia, la mia fidanzata, stiamo insieme da sei anni. Fa la fisioterapista in una squadra di pallavolo, non mi ha visto vincere perché c’era la loro partita”.
L’esultanza particolare: “Volevo dire a tutti ‘io ci sono, io sono arrivato, adesso mi dovete considerare di più. Ma non era una critica verso nessuno. È solo colpa mia se finora non avevo mai vinto e pochi mi conoscevano. Ma noi siamo persone umane prima ancora di essere corridori, e un anno non è mai uguale a un altro. Ci sono molte cose che bisogna considerare, gli amici, la fidanzata. Forse mi mancava la fiducia di credere in me stesso. Da quando ero piccolo, mi dicevano che ero un buon corridore, ma io non l’ho mai creduto veramente. Per questo negli anni mi sono sempre considerato sottostimato, sì, ma dipendeva soltanto da me, non dagli altri. Però oggi era il mio giorno ed eccomi qui”.
La zampata finale: “Mi aspettavo che da un momento all’altro arrivasse il gruppo. All’ultimo chilometro ho anche visto un’ombra vicino, ma era una… moto. Non volevo girarmi. E l’ultimo rettilineo, che tira… allo 0,2% era come il Mortirolo. Ancora adesso non so che cosa ho vinto, non so dove sono, non so che cosa dico. L’azione sul Kwaremont? Sapevo di avere una carta da giocare, ed eravamo in tanti davanti, la mia squadra è stata incredibile, avete visto il lavoro di Vanmarcke e poi di Langeveld? Mi urlavano via radio “spingi più forte che puoi”, e “non voltarti mai”. Langeveld mi ha detto “qui sono tutti stanchi, continua a spingere””..
“Per noi toscani è sempre stata una corsa molto sentita. Mi ricordo il Fiandre vinto da Bartoli nel 1996, conosco benissimo Michele, e poi quello di Tafi (2002, ndr), talvolta mi alleno con lui. Non sapete quanto sia orgoglioso di averla riportata in Italia”.
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