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Fabio Brini: "Rozzi, la Juve, Zico e la mano di Maradona". Intervista

L’ex portiere di Ascoli e Udinese ricorda: dal rigore parato a Palanca all’amicizia con Zico

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Pasquale Guardascione

Pasquale Guardascione

Giornalista

Da 30 anni racconta lo sport e la cronaca per diversi giornali ed emittenti, Per Virgilio Sport è lui che va a scovare i campioni del passato e con le sue interviste li riporta sul terreno di gioco Per Virgilio Sport è lui che va a scovare i campioni del passato, o emigrati all'estero a cercare fortuna e con le sue interviste li riporta sul terreno di gioco

Portiere, stile di vita. Fabio Brini è stato tra i migliori numeri uno del calcio italiano degli anni Ottanta. Partito da Porto Sant’Elpidio è arrivato a giocare assieme e a sfidare i grandi campioni. Cresciuto nell’Ascoli del vulcanico presidente Costantino Rozzi, il colore bianconero è quello che ha contraddistinto la sua carriera: da quello di Ascoli e Udinese dove ha giocato a quello mancato per un soffio della Juventus di quegli anni che lo cercò

Brini si ricorda come è iniziata la sua carriera?
“Avevo sedici anni quando giocavo in Prima Categoria con il Porto Sant’Elpidio, fui notato nel corso di una partita da alcuni osservatori dell’Ascoli che mi prelevarono e mi portarono nella squadra bianconera dove ho fatto tutta la trafila delle giovanili. Poi, in serie B con Renna e Sensibile in panchina fui portato in prima squadra, fino ad arrivare alla serie A”.

Le faccio due nomi: Costantino Rozzi e Carletto Mazzone.
“Mazzone ebbe il coraggio all’inizio degli anni Ottanta di lanciarmi. Cosa non semplice perché far esordire un giovane soprattutto nel ruolo del portiere in quegli anni non accadeva mai. Lui lo ebbe, forse aveva visto già allora qualcosa di positivo. Mentre, personaggi come il presidente Rozzi oggi non ne troviamo più, lui era un passionale e soprattutto era di Ascoli”.

Il suo esordio in serie A lo fece a San Siro contro l’Inter.
“Si, prima ci furono due gare di Coppa Italia, una a Cremona dove vincemmo e, poi, a Napoli dove perdemmo ma parai un rigore a Massimo Palanca. Qualche settimana dopo ci fu l’esordio a Milano con la partita che terminò a reti inviolate dove parai un rigore ad Alessandro Altobelli. Mancavano una ventina di minuti dalla fine e fu assegnato questo penalty un po’ dubbio. Ebbi l’intuito di capire dove calciò Altobelli, regalando così alla squadra di uscire indenne dal Meazza. Certo che un esordio a Milano contro una big del campionato con una prestazione importante credo che nessuno se l’aspettasse”.

Il destino dei colori bianconeri era, comunque, scritto nella sua carriera.
“Dopo aver disputato due campionati ad Ascoli quasi sul finire del calciomercato della stagione 1983-’84 c’era la possibilità di andare alla Juventus cosa che, poi, sfumò per un tira e molla continuo. Ma mi cercò l’Udinese subito dopo e in poco tempo la trattativa andò in porto”.

In Friuli gioca al fianco di Zico.
“Ho giocato sei stagioni a Udine con giocatori importanti perché non c’era solo Zico ma anche Virdis, Mauro, Causio, Edinho, De Agostini, Graziani. Giocatori con i quali avevi il piacere di allenarti e scendere in campo la domenica. Zico? Quando parlo di lui descrivo sempre il personaggio perché come calciatore lo hanno visto tutti. E’ una persona eccezionale che arrivava sempre primo al campo di allenamento, aveva sempre una parola per tutti. Un personaggio che poteva permettersi tutto e che, invece, aveva una grande umiltà che lo distingueva da molti altri per il suo senso positivo. Lui il venerdì aveva il suo giorno e si metteva a fine allenamento per oltre un’ora a calciare in porta le punizioni da ogni parte del limite dell’area. Mentre, Edinho le calciava dai trenta metri”.

Zico il compagno di squadra, Maradona, invece, l’avversario.
“Un grandissimo calciatore che mi fece goal in tutti i modi: due dei quali su punizione. L’unico cruccio è quando mi fece rete di pugno a Udine a fine partita come contro l’Inghilterra ai Mondiali. Fu la Mano de Dios anticipata”

Quindi arriva l’esperienza con il Vicenza.
“Forse fu un mio errore perché il presidente Pozzo non voleva che andassi via perché io venivo da un grosso infortunio avuto all’inizio di quella stagione in uno scontro con Mancini che mi tiene fuori per sei mesi. Io volevo giocare con il presidente che non voleva che andassi via”.

Quindi ecco l’Avellino con Nedo Sonetti in panchina.
“Fu un’esperienza importante, perché ebbi il compito di far crescere il primo anno Taglialatela e il secondo Amato. I risultati forse non sono stati come quelli che ci si aspettava però il calcio non sempre è quello che si fa sulla carta perché, poi, bisogna giocarle le partite”.

Chiude la carriera da calciatore nelle sue Marche alla Fermana.
“Fu l’ultima stagione prima di smettere dove raggiungemmo la promozione in serie C”.

Inizia, poi, per lei la carriera di allenatore.
“Prima nel Montegiorgio e, poi, successivamente ad Ancona affiancando Giorgini e Franco Scoglio. Ho allenato per diversi anni in serie B e ho vinto quattro campionati dalla serie C alla serie cadetta, l’ultima mia esperienza è stata due anni fa a Fano”.

Nell’attesa che arriva una nuova esperienza in panchina oggi cosa fa Fabio Brini?
“Faccio l’opinionista tecnico per una televisione di Udine che mi consente sempre di rimanere nel mondo del calcio”.

Pasquale Guardascione

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