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Che fine ha fatto Manfredonia, cuore matto salvato da Giordano

Stopper e centrocampista con Lazio, Roma e Juve: rischiò la vita

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Era il “gemello” di Bruno Giordano, quando lui e l’attaccante formavano l’asse portante della Lazio, è diventato un perno della Juve e poi un rinforzo della Roma ma Lionello Manfredonia lo si ricorda più per il grande spavento per una morte sul campo rischiata e fortunatamente evitata che per i suoi (non pochi) successi sportivi. La sua storia non può non partire dal dramma sfiorato quel terribile pomeriggio del 30 dicembre 1989: al Dall’Ara, in Bologna-Roma.

IL DRAMMA – Temperatura sotto zero, a un certo punto della gara Manfredonia, improvvisamente, si accascia a terra, vittima di un arresto cardiaco. Fu proprio il vecchio amico Bruno Giordano, che era al Bologna, a soccorrerlo per primo, dopo essersi subito reso conto della gravità della situazione. All’Espresso raccontò: “Quando ho riaperto gli occhi, la prima persona che ho visto è stato il mio amico ed ex compagno di squadra, Fulvio Collovati. In quei giorni, oltre ai miei famigliari, so che sono venute tantissime persone a farmi visita. Cabrini passò lì la notte di San Silvestro. Sono rimasto molto colpito da tanti gesti di amicizia e solidarietà. Devo la vita al fatto che ci fosse un defibrillatore a bordo campo, fatto eccezionale per quell’epoca. E poi ai medici e massaggiatori di Roma e Bologna. Sono tornato a vivere presto. Sono rinato come persona, quello sì, ma sono morto come calciatore, purtroppo”.

LA CARRIERA – Come calciatore aveva ricoperto i ruoli di libero, stopper e di mediano, crescendo nelle giovanili di quella Lazio, in cui ha militato per dieci stagioni, prima di passare alla Juventus – lui romano de’ Roma – per due campionati (1985-86-87), e tra nella Roma, per i due più clamorosi “tradimenti calcistici” possibili.

LA GIOIA – A Pianeta calcio rivelò: “Il gol più importante fu in un derby Juventus-Torino, il gol della vittoria della Juventus sotto la Curva della Juve. Per me, è stata una grande gioia: io romano, che arrivai in punta di piedi, risolsi il derby Juve-Toro. Forse, a Roma sono stato troppo: dieci anni nella Lazio. Io a vent’anni potevo andare alla Juve, l’avvocato Agnelli stravedeva per me, ma io ho preferito rimanere nella mia città, e, forse, anticipando il mio arrivo a Torino, avrei fatto un’altra carriera”. Andò anche in Nazionale.

LA NAZIONALE – Solo quattro maglie azzurre e un litigio con l’allora cittì della nostra Nazionale Enzo Bearzot come spiegò Manfredonia a Calcissimo: “Non accettai la scelta del CT ed ebbi nei suoi confronti una reazione eccessiva. Gli dissi che non ero andato in Argentina per fare il turista, ma per giocare. Lui però non gradì quel mio sfogo e di fatto non mi convocò più. Se magari avessi avuto al mio fianco una guida che avesse saputo darmi i giusti consigli, la mia carriera in Nazionale sarebbe stata con ogni probabilità più lunga e ricca di soddisfazioni”.

IL CALCIOSCOMMESSE – Carriera che conobbe anche il momento brutto del calcioscommesse, con tanto di squalifica nel 1980: viene squalificato per tre anni e mezzo. Torna in campo, grazie all’amnistia concessa per la vittoria del Mondiale 1982, dopo due stagioni di penitenza. “È stato un periodo abbastanza doloroso durante il quale, però, sono riuscito a laurearmi; inoltre, ho continuato gli allenamenti, come se nulla fosse accaduto cosicché, una volta rientrato, ero a posto anche dal punto di vista fisico. Sicuramente non è stato facile, per cui non auguro a nessuno di trovarsi in una simile situazione. È stato un incidente di percorso. Frequentazioni sbagliate, personaggi discutibili”.

QUEL GOL REAL – Dopo scudetto e Intercontinentale con la Juve c’era il sogno Coppa Campioni. La Juve uscì contro il Real e annullarono un gol regolarissimo proprio a Manfredonia: “La sera del Bernabéu, quando annullarono il mio validissimo goal del pareggio, Platini mi disse: “Ha fatto bene l’arbitro a fischiare. Se tu avessi segnato al Real Madrid sarebbe finito il calcio!” Al ritorno, al momento di individuare i rigoristi, non rimase nessuno. Erano spariti tutti. Andai anch’io dal dischetto, con Brio e Favero. Ma dagli undici metri sono sempre stato un debole. Non riuscivo a mantenere la freddezza necessaria. Peccato, perché così uscimmo dalla Coppa dei Campioni. Ci tenevo moltissimo ad arrivare fino in fondo. Me ne andai per colpa del mio orgoglio e anche di Boniperti, che mi propose di rinnovare il contratto stagione per stagione. Io avevo già superato la trentina e pretendevo un contratto triennale, quando me lo propose la Roma, accettai”.

TRADITORE? – Un errore? Forse: “Quello fu un periodo duro, perché tornai a Roma e forse sbagliai maglia, però, non rinnego assolutamente il mio passato. In quella circostanza, ho agito da professionista. Forse, non ho rispettato il sentimento della tifoseria e di questo me ne pento un pochino”. In giallorosso l’ultimo atto da calciatore: deve smettere a 33 anni ma diventa dirigente sportivo per Cosenza, Cagliari, Vicenza e Ascoli. Poi dal 2004 agente Fifa. Dal luglio 2015 all’agosto 2017 è stato responsabile del settore giovanile del Brescia e successivamente al Vicenza.

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