Quando l’Inter lo acquistò nell’87 per 4 miliardi e 700 milioni di lire in tanti pensavano che i nerazzurri si fossero accaparrati il nuovo Platini. Invece Enzo Scifo rimase una delle delusioni maggiori per il popolo interista, e dire che proprio Le Roi lo aveva indicato come uno dei suoi eredi. Una storia a metà sin dalla nascita, quella di Scifo. Nato in Belgio ma da genitori siciliani, aveva deciso di prendere la cittadinanza belga beffando anche Bearzot che sperava di convocarlo in nazionale. Ma rimarrà sempre belga a metà, troppo italiano per i belgi, troppo belga per gli italiani. A La Louvière, durante gli anni sessanta papà Agostino e mamma Alfonsa si erano trasferiti da un paese nella provincia di Agrigento e come tutti i figli di minatori anche Enzino era una delle tante “facce nere”. Da piccolo è costretto a macinare chilometri in bicicletta ogni mattina per andare a scuola, consapevole che la sua vocazione non è quella. Studia da ragioniere: va bene in stenografia e in scienze, stranamente è debole in educazione fisica, si ferma a un anno dal diploma. Suo padre però un giorno gli telefona a scuola: “La squadra ti ha convocato per una tournèe in Italia”. Ha 16 anni.
L’ETICHETTA – La squadra è l’Anderlecht dove spicca il volo. Vince due scudetti, va in nazionale, viene notato da mezzo mondo ma non riesce a farsi amare dai compagni e ancora meno dai suoi tifosi. Persino il leggendario portiere della Nazionale Pfaff, che all’inizio della sua carriera l’aveva trattato come un figlio, gli volterà le spalle, ammettendo di non voler giocare con un calciatore che “non vuole colpire il pallone di testa per paura di rovinarsi la capigliatura”. Già, mister Brillantina sarà una delle etichette che si porterà per sempre dietro. Nell’Inter del Trap a chiuderlo è Matteoli, ma Scifo ci mette del suo: 28 presenze alla fine ma delude le aspettative. Per farlo maturare ancora un po’, la dirigenza nerazzurra lo manderà in Francia, al Bordeaux. A fine stagione 90/91, ritornerà in Italia, stavolta con la maglia granata. Mondonico gli affida le chiavi del centrocampo di una squadra che quell’anno perderà in finale contro l’Ajax la Coppa Uefa ma vincerà la Coppa Italia l’anno successivo. Però anche qui, Scifo non riesce ad attirarsi la simpatia dei tifosi. Sarà proprio tra i primi ad essere ceduti quando si presenteranno i problemi finanziari alla porta del presidente granata. E subito dopo la cessione, Mondonico si toglierà un sassolino dalla scarpa definendolo un “giocatore senza personalità”.
INCOMPRESO – Scifo si sente un incompreso: «Non mi avete capito: chi mi compra, deve costruire una squadra su di me. Non sono io a dovermi adattare». Si cambia ancora, Scifo trova a Monaco il suo ambiente ideale e gioca altre stagioni ad altissimo livello. Trova spazio ai campionati del mondo del 1994 negli Stati Uniti e anche a quelli del 1998 in Francia che gli valgono il record: quattro mondiali. Nel ‘99 rischia la vita per un banale intervento chirurgico per una lussazione alla spalla. Emergono gravi problemi di respirazione con un edema polmonare. Ricoverato d’urgenza ad Anversa, i medici escludono un suo rientro in campo. E invece lui smentisce tutti tornando come allenatore-giocatore del Charleroi. Ma un anno più tardi deve arrendersi. «Peccato, senza questi acciacchi ce l’ avrei fatta a disputare il mio quinto mondiale in Giappone. Sarebbe stato un risultato strabiliante, la degna conclusione di una carriera meravigliosa. Dite che sono sempre stato a un passo dai traguardi e non li ho mai raggiunti? Un calciatore incompleto? Trovatemi altri che possono vantare i miei stessi record. Ci sono, certo, ma mica sono tanti. Io sono contento così». Intraprese quindi la carriera di allenatore, iniziando dallo Charleroi, nella stagione 2001-2002. Dopo aver allenato una squadra della seconda divisione belga, il Tubize, ed aver avuto un ruolo manageriale nel Bruges, ha allenato il Mouscron e poi il Mons. Ha anche diretto in carriera l’under 21 belga.