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Chi è Martina Zola, la figlia di Gianfranco con la passione per il Jiu-Jitsu

Lo sport nel sangue e una carriera luminosa davanti: i segreti di Martina Zola e le cose in comune con papà Gianfranco ma per lei niente carriera nel mondo del calcio

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Pietro De Conciliis

Pietro De Conciliis

Giornalista

Giornalista pubblicista e speaker radiofonico, per Virgilio Sport si occupa di calcio con uno sguardo attento e competente sui campionati di Serie B e Serie C

Chi è Martina Zola, la figlia di Gianfranco con la passione per il Jiu-Jitsu

Dalla ginnastica artistica al Jiu-Jitsu, con un occhio al calcio, per “colpa” di papà Gianfranco. Martina Zola continua a far parlare di sé per i traguardi raggiunti nelle arti marziali, nonostante lo scetticismo e le difficoltà che hanno caratterizzato l’inizio di questo percorso. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, la “figlia d’arte” ha raccontato i primi passi in un ambiente prettamente maschile, almeno sulla carta.

Martina Zola, dal No al calcio alla passione per il Jiu-Jitsu

Lo sport nel sangue, lo spirito e i valori di papà Gianfranco, fino ad arrivare alla medaglia di bronzo vinta pochi giorni fa ai Mondiali di Las Vegas, dove si è confermata una delle regine italiane delle arti marziali. Inevitabile, seppur con mille differenze, l’accostamento a Magic Box, partito dalla Sardegna per diventare uno dei 10 più importanti della storia del Chelsea e della Premier League.

“La prima volta fu un disastro”, ha subito ammesso Martina, parlando del suo approccio al Jiu-Jitsu, sport che solo oggi comincia ad accogliere un maggior numero di donne.

Molte donne ci rinunciano per il contatto ravvicinato con l’uomo. Non è un fatto di resistenza fisica o mentale, ma di scomodità.

E allora, contatto sia. Non un placcaggio, non un contrasto o una scivolata in area di rigore. Semplicemente, Jiu-Jitsu. Del resto, il calcio non ha mai appassionato veramente la figlia dell’ex Cagliari, oggi 31enne.

Da piccola non lo capivo, il calcio non mi divertiva.

Cos’é il Jiu-Jitsu

Si tratta di un’arte marziale spesso sottovalutata, non essendo comune come il Karate. Come molte discipline di questo mondo, é un’arte di difesa personale che basa i suoi principi sul detto nipponico “Il morbido vince il duro”. Peraltro, nel Jiu-Jitsu non vince necessariamente l’atleta con una struttura fisica imponente, bensì colui che riesce a trarre energia e forza dal proprio avversario.

Il principio di base, infatti, sta nell’applicare una determinata tecnica proprio nell’ultimo istante dell’attacco subìto in modo che l’avversario trovi davanti a sé il vuoto, a tal punto da ribaltare una situazione apparentemente segnata.

Cos’hanno in comune Martina e Gianfranco Zola?

L’orgoglio della famiglia Zola, la spinta di papà Gianfranco e un futuro da scrivere. Le reazioni dei genitori, senza porre barriere ad una figlia che voleva prepotentemente allontanarsi dal mondo e dalla figura di Magic Box.

Papà mi ha incoraggiata – ha ribadito Martina – intuiva che quella ragazzina faceva sul serio ed era disposta a fare sacrifici. In questo sport ci vuole tanta forza e tanta tecnica. All’inizio perdi sempre. Mi arrabbio con chi assume steroidi, soprattutto tra i maschi, perché io mi alleno tutto il giorno per raggiungere degli obiettivi, come tanta altra gente.

Tra scatti e pagine di giornale, compare anche la piccola Martina, in compagnia di Gianfranco sul prato verde dello Stamford Bridge di Londra. Una volta nella capitale inglese, risulta difficile tornare indietro.

“Vivevo il calcio in maniera confusa i primi anni – ha ricordato la figlia di Zola – perché non conoscevo bene le regole. Poi, crescendo, è stato piacevole. Ero molto coinvolta quando vedevo mio padre giocare. Londra é la città che mi ha cambiato la vita, avevo 4 anni la prima volta. Poi siamo tornati in Sardegna quando ne avevo 11 e rientrati definitivamente in Inghilterra all’età di 16 anni”.

La cultura italiana che si mescola alle abitudini inglesi, senza dimenticare il senso di appartenenza che ogni cittadino sardo difende con orgoglio: “Sono legata alla cultura inglese, ormai é la mia casa, ma ogni sei mesi sento forte il bisogno e il desiderio di tornare nella mia terra, in Sardegna. Un po’ come papà”.

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