Una storia di straordinaria normalità che include calcio, scalpello e una manciata di fotografie. Frammenti di una celebrità che è chiusa in una stanza della memoria e nei database fotografici che testimoniano quella gloriosa esperienza alla Fiorentina, l’esilio dorato al Levante e qualche altra parentesi – tonda e quadra – che lo ha portato a cercare una concretezza che Christian Riganò prova a spiegare oggi.
- Christian Riganò oggi, manovale ex bomber
- L'arrivo alla Fiorentina
- Il sogno di allenare
- Tornare a fare il muratore
- La delusione della Nazionale
Christian Riganò oggi, manovale ex bomber
Ieri era un bomber, uno di quegli attaccanti dai numeri importanti, uno di quelli che vedeva – e bene – la porta: 300 reti in 520 partite. Poi la svolta, al netto dei soldi: diventare muratore, costruire case. Un pragmatismo insolito, inaspettato per chi – come lui, classe 1974 – ha vissuto e conosciuto l’agio, forse addirittura il lusso. Aspetti della celebrità che il calcio gli ha donato, in maniera incondizionata ma che non lo hanno sopraffatto, stordito.
Anzi, come ha spiegato Riganò al Corriere della Sera, lo hanno rafforzato anche se sceglie parole diverse per esprimere un senso pieno, adeguato a quel vissuto che in apparenza ha poco a che spartire con gli agi che il pallone può consentire.
“Due cose so fare nella vita: i gol e il muratore. Così, dopo aver smesso di giocare, sono tornato a fare il mio mestiere: mi piace e ne vado orgoglioso”, ha spiegato in poche parole.
L’arrivo alla Fiorentina
Ha fatto tutta la gavetta, fino a sfiorare la Nazionale. Ma è rimasto uguale e identico a quel ragazzino che faceva il manovale tutto il giorno a Lipari e la sera andava ad allenarsi.
“Ero al Taranto. Mi chiamò Giovanni Galli, chiedendomi di andare alla Fiorentina, che era finita in C2 dopo il fallimento di Cecchi Gori — ricorda Riganò —. Alla prima telefonata riattaccai, pensavo fosse uno scherzo”.
Poi è stato il massimo che un ragazzo come lui poteva augurarsi: i campi di Serie A, i migliori e l’occasione di mettersi in mostra, in evidenza per chi come lui arrivava da una famiglia di lavoratori: padre pescatore e mamma casalinga.
Riganò all’epoca dell’Empoli
Il sogno di allenare
Non allena, Riganò come altri suoi colleghi che hanno seguito una sorta di evoluzione naturale e ciò nonostante abbia conseguito i titoli per occupare un posto in panchina da tecnico. Il suo non è un appello, non è una lamentela. Piuttosto è una impietosa analisi del presente che lo vede manovale e non a sedersi in panca.
“Ho preso due patentini per allenare… Amo il calcio, ma si vede che non sono adatto per quello di oggi, fatto principalmente di sponsor, non accetto compromessi. Certo, se poi arrivasse la chiamata giusta sarei pronto a tornare in panchina”, ha detto al Corsera.
Con la maglia del Messina
Tornare a fare il muratore
Da qui la via del ritorno al passato, al lavoro concreto, duro dopo due matrimoni e quattro figli. “Sì, ho guadagnato bene e ne sono felice. Nella mia intera carriera, però, ho incassato quanto molti giocatori di media fascia oggi guadagnano in due, tre mesi. Così, poi, bisogna tornare a lavorare”.
Il sogno lo ha visto in campo, realizzarsi quando arriva l’esordio in Serie A.
“È stato allo stesso tempo un momento drammatico. Il 12 settembre 2004, all’Olimpico: esordisco in serie A, a 30 anni, con la fascia da capitano della Fiorentina, dopo l’incredibile resurrezione dalla serie C”. Riganò è a centrocampo e stringe la mano a Francesco Totti: “Dopo appena 20 minuti ho un grave infortunio. Ci rimasi malissimo”.
La delusione della Nazionale
Manca un tassello a questa carriera ed è quello della maglia azzurra che Riganò avrebbe indossato con orgoglio, volontà.
Nel 2006 si trasferisce al Messina: 19 gol in 26 partite, terzo cannoniere del torneo dopo il campione del mondo Totti e Lucarelli. Non abbastanza per l’allora ct. “Ma la chiamata in Nazionale da Donadoni non è mai arrivata. Ancora non ho capito il perché”.
“Ho avuto l’onore di giocare contro Del Piero, Batistuta, Er Pupone… Però io sono di vecchio stampo, come al lavoro: datemi una terra e, con due colleghi, siamo in grado di tirare su una casa”.