Quando dici Claudio Pellegrini, ai nostalgici del calcio anni 80 la prima cosa che viene alla mente sono le stagioni che l’ex attaccante ha giocato con il Napoli. La maglia azzurra vestita in 141 gare con 33 reti. La sua storia inizia nell’Acli Primavalle, una scuola calcio della borgata di Roma dove era originario. Fino ad arrivare, poi, alle giovanili del Torino dove ha come tecnico Ercole Rabitti.
L’Udinese fu il suo trampolino di lancio per la serie A.
“Sono stato due anni ad Udine, il primo è stato un po’ conoscitivo. Il secondo con Giacomini in panchina vincemmo il campionato, la Coppa Italia e la coppa Anglo-Italiana di serie C. Nella prima stagione inaugurammo lo stadio Friuli, oggi Dacia Arena, furono due anni strepitosi”.
Poi, il passaggio al Napoli dove trova Luis Vinicio.
“Vinicio è stato un grosso lavoratore coadiuvato da Angelo Benedicto Sormani. Due brasiliani a cui piaceva molto giocare a calcio, che ci facevano lavorare molto. A Napoli per me è stato il primo anno in massima serie, per cui, fu tutto positivo, realizzai cinque reti tra l’altro”.
Poi arriva Rino Marchesi e centrate un terzo e quarto posto.
“L’allenatore fece in modo di sfruttarci per le nostre qualità. Una squadra dove c’eravamo io e Oscar Damiani come contropiedisti, Musella come rifinitore e una grossa difesa con Marangon e Bruscolotti come terzini e Krol e Ferrario al centro. Con un centrocampo di sostanza con Guidetti, Vinazzani e Nicolini. Ricordo la passione dei napoletani, difficile da dimenticare. L’anno che sfiorammo lo scudetto inaspettatamente la città era tutta sbandierata d’azzurro come se già lo avessimo vinto. Fu una prodezza quell’annata. Nell’ultimo anno che giocai a Napoli tribolammo un po’ per salvarci e chiaramente il pubblico non era contento”.
Nino Musella, un giocatore dal grande talento.
“Gaetano lo ricordo con il cuore ma non perché non c’è più. Con lui abbiamo diviso quegli anni con il Napoli e l’esperienza con la Nazionale Under-21 dove io giocavo come fuoriquota. L’ultima volta che lo vidi fu al super corso di Coverciano. Era impossibile non volergli bene. Lui aveva una classe sopraffina, quei talenti naturali unici. Forse la sua incostanza nel rendimento l’ha un po’ penalizzato. Ma lui da solo spesso vinceva le partite quegli anni a Napoli. Io lo avvicino a talenti come D’Amico, Baggio, Rivera. Era capace come pochi di accarezzare la palla”.
Proprio nell’ultimo anno a Napoli giocò in coppia con Ramon Diaz.
“Si, un giocatore molto serio. Purtroppo ripeto non fu una stagione esaltante, noi attaccanti vivevamo in relazione anche al rendimento della squadra. E’ chiaro che se la squadra ci mette in condizione abbiamo possibilità di fare goal che però si possono anche sbagliare”.
Le dico un nome: Gennaro Rambone.
“Carissima persona e un bellissimo personaggio. Lui ci allenava nel corso della settimana, mentre mister Pesaola rifiniva un po’ quella che era la formazione da mandare in campo la domenica. Ricordo Rambone con grande affetto”.
Una formazione dove brillava la stella di Rudy Krol.
“Lui aveva già una preparazione tattica dovuta al fatto che era olandese e i Paesi Bassi erano all’avanguardia in quegli anni. Con Krol siamo cresciuti un po’ tutti, perché era un allenatore in campo. Negli allenamenti ci dispensava continuamente suggerimenti su cosa c’era da fare oltre a correggere gli errori che facevamo. Ricordo che eravamo un bel gruppo che si impegnava tantissimo. Ci rapportavamo ogni domenica con 70-80mila spettatori. Che da una parte era entusiasmante, brividi a non finire. Ma allo stesso tempo era impegnativo perché dovevamo far bene. Nei primi due anni con Marchesi è stata proprio la coesione del gruppo che ci consentì di lottare per lo scudetto fino a due giornate dalla fine del campionato. Quindi, Krol ma anche lo stesso Bruscolotti e Castellini, il presidente Ferlaino, Totonno Juliano e Rino Marchesi mi hanno accompagnato nell’avventura di Napoli”.
Come viveva la città partenopea dopo gli allenamenti?
“I primi anni vivevo a Posillipo, un posto straordinario. Poi, mi sono sposato e mi sono trasferito a Portici. Le passeggiate, le cene, i cinema ancora li ricordo oggi con piacere di quegli anni. La città mi è rimasta nel cuore anche perché nella mia ultima stagione per alcune partite ho fatto anche il capitano”.
Il suo rammarico è forse quello che lei andò via quando arrivò Maradona.
“Certo dispiace molto ancora oggi, ma chi è che non avrebbe voluto giocare con Diego. Ci fu uno scambio nel corso del calciomercato dove io passai alla Fiorentina e a Napoli venne Daniel Bertoni. Mi sarebbe piaciuto giocare con lui perché avrebbe arricchito il mio bagaglio tecnico e la mia esperienza alle falde del Vesuvio”.
A Firenze però trovò Socrates.
“Arrivò proprio lo stesso anno che passai io ai viola. A me piaceva come giocava perché era un moto perpetuo, non scattava, non si ammazzava in campo ma allo stesso tempo non stava mai fermo. Giocava sempre di prima. Fu un’esperienza bella con lui anche perché dividevamo la stanza quando andavamo in trasferta o nei ritiri”.
Quella Fiorentina era allenata da Ferruccio Valcareggi.
“Con noi era come un padre, grande esperto di calcio anche perché allenare la Nazionale non è da tutti. Era prodigo di consigli verso tutti anche giocatori internazionali come lo stesso Passarella. Ricordo che noi stavamo lì con gli occhi sbarrati per capire e rubare qualsiasi consiglio che ci dava Valcareggi”.
Il 28 giugno del 1978 il successo della Coppa Anglo-Italiana con l’Udinese.
“La finale si giocò allo stadio Friuli dove battemmo per 5-0 il club inglese del Bath City dove io realizzai una doppietta, due goal li segnò anche Nerio Ulivieri e uno Marino Palese. Fu bellissimo perché io ero già stato ceduto al Napoli e fu anche una festa perché centrammo il triplete con questo successo dopo aver vinto il campionato e la Coppa Italia quell’anno. Per me fu la partita d’addio a Udine”.
Oggi cosa fa Claudio Pellegrini?
“Ho una scuola calcio a Muccia, vicino Camerino, nelle Marche con l’obiettivo di far fare sport ai bambini dei piccoli comuni dell’entroterra. E’ un momento però particolare per noi perché prima il terremoto, poi la pandemia ci ha fatto tribolare un po’”.
PASQUALE GUARDASCIONE