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Kily González: idolo a Valencia e Rosario, comprimario all’Inter

La carriera dell'argentino Kily González, amico di Maradona, idolo del Valencia e del Rosario, vincitore di Olimpiadi e coppe in Serie A con l'Inter.

14-03-2023 09:03

Armando Torro

Armando Torro

Giornalista

Giornalista professionista appassionato di sport, numeri e politica, destro di mano e mancino di piede. Dalla provincia di Taranto a Roma e Torino, passando per Madrid e Milano. Qui per raccontare storie e curiosità sugli sportivi del passato e del presente.

Kily González: idolo a Valencia e Rosario, comprimario all’Inter Fonte: Imago Images

Ogni allenatore desidera che i propri giocatori abbiano grinta, velocità e forza e quando ne incontra uno così trova chi parla la sua stessa lingua. Sono caratteristiche determinanti per la carriera di Cristian ‘Kily’ González, un argentino con la tipica garra sudamericana espressa al meglio quando a dirigerlo in campo c’è un connazionale, sia in patria che fuori. La sua storia d’amore col pallone è praticamente circolare, iniziata e conclusa nello stesso posto, Rosario, la città del calcio.

Chi è Kily González

Cristian Alberto Peret González nasce proprio nella città più grande e popolosa della provincia di Santa Fe il 4 agosto 1974, in una famiglia piuttosto umile (padre tornitore e madre addetta alle pulizie) e appassionata di calcio la cui la fede è il Rosario Central. Lui è una Canalla in tutti i sensi, tanto da tatuarsi a 14 anni DuffyDuck, per cui stravede fin da piccolo, con la maglia a righe verticali gialle e blu della squadra e poi è un tipo piuttosto vivace, gioca spesso per strada e compie qualche furtarello in adolescenza.

Il soprannome nasce perché uno dei suoi amici lo chiama “Kily”, non riuscendo a pronunciare “Cristian” e ormai tutti nel quartiere iniziano a chiamarlo così. In campo il carattere è lo stesso mostrato fuori, irride gli avversari con dribbling e velocità ma è generoso coi compagni, è un autentico talento delle giovanili del Central tanto da essere convocato già a 17 anni in prima squadra, non prima di vincere qualche derby con il Newell’s Old Boys: dopo uno di questi riceve il premio partita di 2500 pesos in biglietti da 100, li porta subito a casa e la madre pensa che li abbia rubati, ma Kily le dice “Sono per te, così non vai più a pulire le case delle signore”.

Il no al Real Madrid e l’amicizia con Maradona

González entra definitivamente nella rosa principale del Rosario Central nel 1993 e per tre stagioni si fa notare per la sua capacità di andare via sulla fascia e usare il sinistro per mettere cross precisi per i compagni o tiri potenti in porta. La partita della svolta è un 2-2 contro il Boca Juniors alla Bombonera che lascia di stucco i dirigenti degli Xeneizes e Maradona, seduto in panchina e in attesa di scontare la squalifica per doping. Quella partita la vedono anche in Europa, in particolare gli uomini chiave del Real Madrid tra cui Valdano che prepara un contratto e organizza un’intervista con Marca in cui il giovane rosarino indossa la camiseta blanca.

Sembra fatta per il passaggio nella capitale spagnola, ma succede qualcosa. Quell’intervista trasmessa anche in Argentina viene vista da Maradona che chiama a casa González: “Kilyto, non vuoi venire a giocare con me al Boca?”. Se chiama direttamente il Diez la risposta non può che essere positiva, anche perché il giovane Cristian non ha bene in mente cosa significhi il Real Madrid: “A casa potevamo vedere solo due canali in tv e praticamente solo il telegiornale. Non sapevo cosa fosse il Real Madrid, non è come oggi”, confesserà a AFAPlay.

Per la stagione 1995/1996 il Boca Juniors può contare anche su calciatori del calibro di Caniggia e Verón, la rivista El Gráfico vuole Maradona e il Kily per la copertina del nuovo numero, il rosarino non vede l’ora di tornare a casa da Buenos Aires per dirlo alla madre e vuole comprare subito i biglietti dell’autobus.

Il Pibe de Oro lo ferma e lo tranquillizza, dicendogli che gli avrebbe prestato una sua auto che con somma sorpresa di González si rivela essere una BMW 325 decappottabile: “Era verde con gli interni color crema e cercavo qualcosa di meno vistoso. ‘Non hai una Renault 11? Non posso guidare questa, devo tornare nel mio quartiere’. Diego voleva che prendessi quella, così ho imboccato l’autostrada ed è andato tutto bene”. Come quando dopo un paio di mesi i poliziotti della capitale, pur riconoscendolo, lo fermano per multarlo per eccesso di velocità, poi leggono sul libretto di circolazione il proprietario della vettura, baciano i fogli e lo lasciano andare. L’avventura al Boca termina senza vincere nulla, contrariamente a quanto prometteva la rosa, ma Kily continua a mettersi in mostra con 3 gol in 36 partite e con un anno di ritardo si trasferisce in Spagna al Real… Saragozza.

Cristian González con la maglia dell'Argentina Fonte: Imago Images

Gli anni in Spagna: Kily González protagonista nel Valencia

Kily González lascia il Boca restituendo l’auto a Maradona e spera di maturare ancora in terra aragonese. L’impatto con la Liga è buono, ma la squadra non è in grado di competere ad alti livelli: il rosarino lo capisce definitivamente giocando nel febbraio 1997 al Camp Nou contro il Barcellona di Figo, Rivaldo, Stoichkov, Ronaldo e Guardiola a cui non riesce mai a togliere palla, se non commettendo fallo.

Cercavo di colpirlo e non ci riuscivo. Una volta mi colpisce lui e mi fa: ‘Smettila di picchiare e gioca! Sprechi energie per dare calci invece che per giocare a calcio’. E poi si batte e sul petto e mi dice ‘Dai, su, vieni’. Io tra me e me dicevo ‘Mi sta parlando Guardiola’. Quindi mi sono calmato. Volevo dargli un bacio”. L’insegnamento è fondamentale per sviluppare il modo di giocare di González che diventa importante anche tatticamente in fase difensiva: questo miglioramento, unito ai 15 gol in tre stagioni e 90 presenze da titolare, gli valgono il trasferimento al Valencia nell’estate del 1999.

I Pipistrelli danno battaglia alle grandi di Spagna e d’Europa e la disposizione tattica di Cúper, argentino di Santa Fe, esalta il ragazzo col numero 18 e ‘Kily’ sulla maglia, bravo a muoversi sia sulla fascia che da mezz’ala nel 4-4-2 che spesso si trasforma in 4-3-1-2. La stagione inizia con la vittoria della Supercoppa spagnola contro il Barcellona e si conclude con il terzo posto in campionato e soprattutto la sconfitta in finale di Champions League, mai raggiunta fino a quel momento dal club bianconero, contro il Real Madrid.

L’anno successivo il Valencia si ripete nonostante alcuni cambi nella rosa e arriva di nuovo a un passo dall’alzare la coppa dalle grandi orecchie, perdendo solo ai rigori la finale di San Siro contro il Bayern Monaco. Cúper dà l’addio dopo il quinto posto in campionato e va all’Inter, sulla panchina arriva Benítez e Kily inizia a patire infortuni muscolari, ma in una squadra che non ha un vero e proprio goleador i suoi assist e le sue reti sono di grande utilità a far vincere la Liga ai pipistrelli dopo 31 anni dall’ultima volta.

Nel quarto anno valenciano, complici ancora gli infortuni e l’esplosione di Vicente, González trova meno spazio e perde un po’ della sua esplosività, vedendo il campo solo 20 volte in tutta la stagione e decide di lasciare la squadra e il pubblico del Mestalla che lo ama nell’estate del 2003. “Ho giocato in molti posti e in grandi club, ho vinto trofei importanti, però ho indubbiamente vissuto i migliori momenti della mia vita a Valencia. Questa squadra e questi tifosi sono speciali”, affermerà in un’intervista a VCFPlay.

I titoli all’Inter da comprimario

Il rosarino avverte il bisogno di sentirsi coccolato, dopo il Valencia non vuole andare in nessun’altra squadra spagnola e la soluzione migliore è l’Inter per ritrovare Cúper in panchina, così accetta l’offerta dei nerazzurri e inizia la stagione da titolare. Promette di fornire tanti assist a Vieri, ma la squadra non ingrana e il presidente Moratti decide di esonerare il mentore di Kily dopo tre mesi piuttosto deludenti: con Zaccheroni la musica non cambia, l’ex Valencia non è brillante e nel 3-4-3 del tecnico romagnolo è riserva di Coco e Pasquale a centrocampo o di Van der Meyde in attacco.

Nell’estate del 2004 la panchina nerazzurra passa a Mancini che sembra non vedere il numero 18 e a parte il ritrovo con Verón e la folta colonia argentina, l’unica gioia stagionale è la vittoria della Coppa Italia in cui ha comunque poco spazio. González all’Inter è un comprimario e la conferma arriva anche nell’ultimo anno: la vittoria della Supercoppa italiana e della Coppa Italia non vedono un suo grande contributo, tanto da finire ancora una volta con 0 gol all’attivo e solo 22 presenze. Però lo scudetto assegnato dopo le sentenze di Calciopoli lo sente suo: “Abbiamo dovuto lottare contro squadre che imbrogliavano e in partite importanti ci davano dei rigori contro”, dirà in un’intervista del 2006 a El Gráfico subito dopo il suo ritorno, tanto voluto, al Rosario Central.

Le delusioni in nazionale e l’Oro ad Atene 2004

Il debutto di Kily González con la nazionale argentina risale al 1995, ancora in forza al Boca Juniors, e non è dei migliori, perché viene espulso in amichevole contro il Brasile nel giro di 5’. Solo dopo i primi tre anni di maturazione a Saragozza e grazie all’arrivo di Bielsa sulla panchina della Selección riesce a tornare a vestire albiceleste.

Con il Loco rosarino l’intesa c’è, nonostante l’allenatore sia un simbolo del Newell’s che lo stuzzica spesso sui derby che in quel periodo non sorridono al Central, e si prende spesso una maglia da titolare sia nella Copa América del 1999 che nelle amichevoli (come contro la Spagna in cui Guardiola si sorprende della maturazione tattica) e nelle qualificazioni ai Mondiali del 2002. Di fatto l’eliminazione nel girone con Inghilterra, Svezia e Nigeria è la più grande delusione della carriera di González, messa anche davanti alla finale della Copa América 2004 persa contro il Brasile nonostante sigli il gol del momentaneo 1-0 argentino.

Il riscatto, però, è dietro l’angolo e il ct Bielsa lo porta con sé da fuoriquota nella spedizione olimpica di Atene: ad agosto González è titolare in una squadra stellare che vanta Saviola, Mascherano, Tévez e D’Alessandro e vince facilmente tutte le partite conquistando la medaglia d’oro battendo il Paraguay all’ultimo atto.

Poi Pekerman, succeduto a Bielsa, decide di impiegare l’interista solo nella prima fase delle qualificazioni a Germania 2006, quanto basta comunque per permettere a Kily di entrare nella ristretta cerchia di calciatori privilegiati nel condividere il campo in partite ufficiali sia con Maradona che con Messi: oltre a lui ci sono l’amico Verón e i boquisti Abbondanzieri, Palermo e Riquelme.

Cristian González alle Olimpiadi di Atene Fonte: Imago Images

Gli ultimi anni: l’addio, la depressione e il ritorno al Rosario Central

Tornato a Rosario nella squadra del cuore, González disputa tre stagioni da protagonista con gol, assist, tanta corsa e lotta, più da mediano che da esterno, ma la fascia la porta al braccio. Essere capitano del Central è un orgoglio e al Gigante tutti lo applaudono, ma le stagioni non sono esaltanti e la squadra rischia la retrocessione, evitata con lo spareggio nel 2009. Kily passa al San Lorenzo ma si pente dopo solo un anno e torna per la terza volta a casa, perché nel frattempo i suoi ex compagni sono finiti in Primera B e l’ultima stagione è un tentativo di riportarli nella massima serie argentina. Il rosarino non ce la fa e dopo la rottura del legamento crociato decide di appendere le scarpe al chiodo, chiudendo la carriera a 37 anni con 7 titoli:

  • 1 Oro Olimpico (Atene 2004)
  • 1 Supercoppa Spagnola (Valencia 1999)
  • 1 Liga Spagnola (Valencia 2001/2002)
  • 2 Coppe Italia (Inter 2004/2005 e 2005/2006)
  • 1 Supercoppa Italiana (Inter 2005)
  • 1 Serie A (Inter 2005/2006)

Però si pente anche di questa decisione, in realtà non vuole ritirarsi, vuole dare ancora il suo contributo. Le giornate da ‘disoccupato’ sono un inferno, Kily cade in depressione e per quattro anni perde lo slancio vitale: “Anni terribili, neri. Mi addormentavo alle 4 di notte e mi risvegliavo a mezzogiorno, avevo la barba da naufrago e non volevo neanche uscire dalla camera. Solo dopo un po’ di tempo accettai l’aiuto di uno psicologo” confesserà a La Nación.

Ci pensa la sua famiglia, intesa sia nella figura di sua moglie che lo sprona a fare un po’ di attività (boxe, ma anche qualche partitella a calcio) sia quella del Rosario Central a farlo uscire dal periodo buio: arriva nel 2018 la chiamata a dirigere la squadra B e poi la prima squadra dal 24 giugno 2020 al 20 marzo 2022, giorno in cui perde il derby contro il Newell’s nella coppa di lega e viene esonerato, ma rimarrà sempre una Canalla ben voluta.

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