Quando Diego Maradona nacque, il 30 ottobre del 1960 al Policlínico Evita Hospital di Lanús – un borgo di Baires – da Diego Senior, falegname di etnia guaraní, e Dalma Salvadora Franco di origini parzialmente italiane, scrisse Gianni Mura che “Le brujas, le stregone di Lanus, che per pochi soldi leggevano il futuro, videro stelle nelle pozzanghere di fronte all’ospedale, e di quelle parlarono. Un cammino luminoso per il figlio del falegname. Le stregone avevano scartato subito l’acqua sporca, ma le pozzanghere sarebbero tornate sulla sua strada, fino ad assediargli il cuore, ad accorciargli la vita, a strappargli lo strascico di stelle”.
- La morte a 60 anni dopo una lunga agonia
- Pochi trionfi ma speciali e indimenticabili
- I gol, le magie, l’anima da leader
- Maradona e Napoli, un amore viscerale e tossico
- La dipendenza dalla droga, una battaglia mai vinta
- La grande famiglia del Pibe de Oro
- Maradona allenatore: tanti tonfi e poche gioie
La morte a 60 anni dopo una lunga agonia
Vita che Maradona chiuse il 25 novembre del 2020, per un arresto cardiaco dopo lunga agonia, a 60 anni in una casa in affitto nel quartiere di San Andrés, a Benavìdez, nel Tigre. Dove era arrivato 15 giorni prima al termine dell’intervento per un ematoma subdurale alla testa. L’autore della Mano de Dios all’Inghilterra – un gol di mani nei quarti dei Mondiali ‘86 in Messico – ma anche del Gol del secolo, sempre agli inglesi nella stessa gara, dopo aver scartato 5 giocatori più il portiere, è considerato come o più di Pelè il miglior giocatore di calcio di tutti i tempi. Sessant’anni di capriole, gol, cadute, risalite, trionfi, lacrime, droga, decadimento fisico, rinascite, amori, figli, e tante vite in una sola, seppur breve per il Pibe de oro, come venne soprannominato quand’era ragazzino.
Pochi trionfi ma speciali e indimenticabili
Per essere stato il più forte di tutti Maradona in carriera ha vinto relativamente poco. Partito nelle “cebollitas” – le giovanili – dell’Argentinos Juniors, debutta il 20 ottobre del 1976 contro il Talleres, dieci giorni prima di compiere sedici anni – il più giovane di sempre a esordire nella prima divisione argentina, record successivamente battuto da Sergio Agüero, che poi divenne anche suo genero – divenne già Maradona nel Boca Juniors, poi in Europa ha giocato nel Barcellona, nel Napoli e nel Siviglia prima di chiudere la carriera di calciatore nel Newell’s Old Boys.
Con la nazionale argentina partecipò a quattro Mondiali (1982, 1986, 1990 e 1994), vincendo da protagonista il torneo del 1986 ed arrivando secondo nel ‘90 in Italia. Col Barca ha vinto solo una Coppa del Re, una Copa de la Liga, col Napoli due scudetti (il primo, storico, nel 1987 e nel 1990), una coppa Uefa (1989), una coppa Italia (1987) e una supercoppa italiana (1990). Non poté mai alzare il Pallone d’oro perché fino al 1994 il premio era vietato agli extra-europei ma nel 1995 vinse il Pallone d’oro alla carriera. Nel 2012 è stato premiato come Miglior Calciatore del Secolo.
I gol, le magie, l’anima da leader
Quello che la bacheca non dice di Maradona sono le magie fatte in campo e che neanche i numeri possono spiegare – tra club, nazionale maggiore e nazionale Under-20 Maradona ha giocato 695 partite segnando 353 reti, alla media di 0.51 gol a partita. C’è una vecchissima intervista in bianco e nero di quando Maradona era ragazzo-prodigio. Diego rivela candidamente: “mi sueno es jugar el mundial, y el segundo salìr campeon”. Sogni avverati ma insieme a questo tanto altro.
Fenomeno nell’U.19 Argentina assieme a Ramon Diaz, già Pibe de oro quando nel ‘78 Menotti non lo convocò per i Mondiali in Argentina – ma subito dopo lo chiamò e Diego segnò un gol favoloso nell’amichevole del ‘79 tra l’Albiceleste e il resto del Mondo – star assoluta a Barcellona, dove però fu frenato dall’epatite e da un bruttissimo infortunio dopo un fallo da killer di Goikoetxea, è a Napoli che Maradona si consacra vera rockstar del calcio e fuoriclasse eterno.
Maradona e Napoli, un amore viscerale e tossico
Quando Maradona – comprato per poco più di 12 miliardi di lire dal Barcellona dopo una estenuante trattativa – esce dal tunnel del San Paolo il 5 luglio del 1984, nel giorno della sua presentazione a Napoli, è già una promessa d’amore eterno. “Buonasera napolitani, sono molto felice di essere qui”. Non ha il tempo di dire altro dal cerchio di centrocampo dove un plotone di fotografi lo accerchia, esplode il boato del pubblico venuto apposta per vedere lui: mille lire la curva, duemila i distinti e tremila le tribune. Diego prende il pallone, inizia a palleggiare: destro, sinistro, destro, sinistro e palla in cielo. Azzurro più che mai quel pomeriggio d’estate. Rimarrà sette anni di vittorie e gol ma anche di amore tossico, di pressione infinita e di tensioni con la società. Solo con i compagni di squadra avrà un affetto infinito, che dura tuttora.
Diventa il simbolo del riscatto del Sud contro lo strapotere delle big, fa da capopolo, da leader, da re in una città che si identifica in tutto e per tutti in quei riccioli neri e in quel mancino fatato. Entra nella storia con il primo scudetto del Napoli nell’87, cui seguiranno coppa Italia, coppa Uefa nella leggendaria finale con lo Stoccarda, un altro scudetto nel ‘90, quello dei veleni col Milan di Sacchi per via della monetina di Alemao e di una vittoria a tavolino a Pisa sospetta, e la Supercoppa travolgendo 5-1 la Juventus ma è l’ultimo fiore della sua collana.
Dopo aver cercato di evadere dalla prigione-Napoli per due anni (“Ferlaino è il mio padrone, il mio carceriere”, diceva) diventa sempre più vittima della cocaina. Nel marzo del ‘91 viene trovato positivo ad un controllo antidoping e lascia Napoli di notte, da solo. Arrivato da re, andò via come un ladro dopo aver portato Napoli in vetta al mondo.
La dipendenza dalla droga, una battaglia mai vinta
La cocaina era entrata nella sua vita presto, già a Barcellona. Ma è a Napoli che Diego diventa definitivamente dipendente dalla droga, al punto che nel suo ultimo anno in azzurro si presentava raramente agli allenamenti. I compagni dovevano chiamarlo a casa, nella sua residenza a via Scipione Capece, e lo trovavano spesso a letto, impossibilitato ad alzarsi.
La lotta con la droga durerà quasi tutta la vita, lui stesso confessò tutto successivamente ma anche con l’alcol è stata una guerra. Il suo cuore divenne come quello di un bue, ingrassò di 50-60 chili – risolto con l’aiuto di un bypass gastrico – ha rischiato di morire seriamente 2-3 volte, salvato per miracolo in ospedale, poi l’ultimo colpo fatale con responsabilità ancora non accertate di medici e di chi gli stava vicino.
La grande famiglia del Pibe de Oro
Diego Maradona è sempre stato legatissimo ai due genitori. Era il quinto di otto figli: in tutto cinque sorelle, di cui quattro maggiori: María Rosa, Rita, Elsa, Ana María e Claudia; oltre a due fratelli Hugo – morto il 28 dicembre del 2021 per infarto in provincia di Napoli dove viveva – e Raúl detto Lalo, anch’essi calciatori.
Due le figlie sempre riconosciute, Dalma, nata nell’87, e Giannina, nata nell’89, avute dalla prima moglie Claudia Villafañe, sposata a in un matrimonio che fece scalpore in Argentina, dove volle tutti gli amici napoletani e tutti i compagni di squadra, il 7 novembre 1989 e dalla quale divorziò nel 2004, poi Diego Armando Maradona Junior, nato il 20 settembre 1986 dalla relazione con la napoletana Cristiana Sinagra, e riconosciuto da Maradona solo nel 2007 dopo una lunga battaglia legale, Jana (1996), che ebbe dalla relazione con Valeria Sabalaín e Diego Fernando (2013), nato dalla relazione con Verónica Ojeda. Alla morte del Pibe si è scatenata una lotta per l’eredità tra sorelle, figli legittimi e non e amici stretti.
Maradona allenatore: tanti tonfi e poche gioie
Da allenatore il 28 ottobre 2008 viene nominato nuovo CT dell’Argentina, subentrando ad Alfio Basile: si qualifica per il Mondiale sudafricano all’ultimo turno, battendo l’Uruguay in trasferta per 1-0. In Sudafrica, dopo un inizio convincente grazie a quattro vittorie consecutive viene eliminato malamente dalla Germania ai quarto (4-0) ed è esonerato da CT.
Nel 2011 diventa tecnico dell’Al-Wasl di Dubai. Successivamente nel 2017 dopo cinque anni di stop allena l’Al-Fujairah ella seconda divisione degli Emirati Arabi, nel 2018 viene annunciato come nuovo tecnico dei Dorados ma si dimette presto per motivi di salute. Il 5 settembre 2019 viene nominato tecnico del Gimnasia che è stato il suo ultimo club. Dopo la sua morte Argentina e Napoli si sono unite nel ricordo dell’idolo comune, tra dediche (compreso lo stadio San Paolo diventato Maradona), murales e celebrazioni.