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Da calciatore per caso ad allenatore: la carriera di Fabio Caserta

Storia di un karateka finito a calcare i campi di Serie A e a vincere la Panchina d’Oro in C: la carriera di Fabio Caserta.

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Armando Torro

Armando Torro

Giornalista

Giornalista professionista appassionato di sport, numeri e politica, destro di mano e mancino di piede. Dalla provincia di Taranto a Roma e Torino, passando per Madrid e Milano. Qui per raccontare storie e curiosità sugli sportivi del passato e del presente.

Da calciatore per caso ad allenatore: la carriera di Fabio Caserta Fonte: Imago Images

“Ogni calciatore ha nel suo curriculum un inizio in un settore giovanile. Io no. Fino a 18 anni non ho mai giocato a calcio, neanche m’interessava. Al massimo qualche partita per strada con gli amici”. L’eccezione si chiama Fabio Caserta e questa è la storia di un ragazzo molto legato alla famiglia capace di iniziare direttamente dai dilettanti, arrivare in Serie A nel giro di pochi anni e diventare un allenatore specialista delle promozioni.

Chi è Fabio Caserta?

Fabio Caserta nasce il 24 settembre 1978 a Melito di Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, dove passa molto tempo in famiglia e in particolare coi cugini e col nonno, colui che un giorno a 8 anni gli salva la vita durante un incidente stradale.

“Eravamo sul suo Ape giallo quando un Ducato ci prende avanti e ci schiaccia contro il muro. Di quel giorno mi ricordo tutto come se fosse ieri, ho i brividi, me lo vedo ancora negli occhi quel furgone che ci fracassa sul lato della strada. Mio nonno, prima dello schianto, mi prende in braccio e mi salva la vita – racconta con lucida commozione a gianlucadimarzio.com -. Quando mi ricoverarono dopo l’incidente, gli infermieri chiamarono il prete della parrocchia perché dissero a mamma che tanto non avevo più nessuna possibilità di vivere. Mamma si arrabbiò e senza pensarci due volte mi prese e disse ‘Ora lo portiamo in un altro ospedale’. Otto anni, avevo otto anni…”.

È un episodio che segna tutta l’infanzia e l’adolescenza del calabrese, costretto a subire operazioni e fare controlli in cliniche e ospedali, con una ‘sentenza’ rivelatasi fortunatamente sbagliata dai medici, cioè il divieto di fare sport di contatto: palestra e riabilitazione, esercizi a corpo libero e pesi, da solo.

La carriera di Caserta, il karateka che passa al calcio

Fabio ha 12 anni e non ce la fa più a stare ore in palestra lontano dagli amici che si divertono e fanno sport, vuole sentirsi uno di loro e pensa che il problema sia superato. Così convince i genitori a iscriverlo a karate e piano piano si fa valere sul tatami, partecipando alle prime competizioni locali e guadagnandosi le prime cinture. Vince anche la gara regionale per vincere quella nera e completare il primo Dan, ma il suo maestro gliela nega perché “non frequentavo abbastanza. Allora il giorno dopo vado da lui e gli dico senza giri di parole ‘Va bene maestro, questa è la mia cintura marrone, tienitela, io non vengo più’…”.

È un gesto orgoglioso da parte di chi non vede valorizzato il suo impegno e torna a giocare con gli amici per strada, con una bottiglietta, nel tempo libero dopo la scuola. Poi qualcuno gli dice che il Locri sta cercando giocatori per l’ultimo anno della categoria allievi e Caserta decide di provare, ma il suo orgoglio viene ferito ancora quando prima di una partita su un campo bagnato per la pioggia il mister lo esclude: “Guarda Fabio, tu non puoi giocare perché sei troppo magro. La partita di oggi non fa per te”.

Stavolta, la rabbia che monta fa quasi distogliere del tutto l’attenzione dai campi; in fondo, al riccioluto ragazzo di Melito va benissimo lavorare come parrucchiere nel salone del fratello maggiore Raffaele. Per fortuna ad assistere agli allenamenti delle giovanili c’era Tonino Russo, l’allenatore della prima squadra del Locri che intravede del potenziale in lui; perciò, lo convince a continuare e a 18 anni Caserta inizia ad alternare presenze in Eccellenza con la prima squadra, spesso da subentrato, e nel campionato juniores in cui è titolare. Come con il karate, anche nel calcio Caserta è uno capace di bruciare le tappe e di mettersi in gioco fino a trovare chi gli dà il giusto spazio, e allora, dopo i primi due anni al Locri, tenta l’avventura al nord, al Pergocrema (attuale Pergolettese) in cui diventa titolare, torna dal prestito in patria e conclude l’ultima stagione da protagonista, ricevendo la chiamata dell’Igea Virtus neopromossa in Serie C2.

Fabio Caserta allena il Benevento calcio Fonte: Imago Images

La scalata tra i professionisti e l’aiuto della famiglia

Nell’estate del 2000, Caserta attraversa lo Stretto di Messina e va a Barcellona Pozzo di Gotto, dove i giallorossi, guidati da Auteri, cercano un centrocampista di corsa e con i piedi buoni per tentare il sogno di una nuova promozione. Il primo anno di assestamento nel nuovo campionato è positivo, sia per la squadra arrivata sesta, che per il calabrese, che segna i primi 5 gol da professionista. Mentre al secondo si sfiora l’impresa: secondo posto nella stagione regolare e sconfitta in semifinale dei playoff che lasciano l’amaro in bocca anche a mister Castellucci.

Le successive due stagioni sono piuttosto tranquille per l’Igea che chiude prima sesto e poi settimo, mentre Caserta si afferma come leader del centrocampo ed è richiesto dal Teramo, che spera finalmente di fare il salto di categoria dalla C1 alla Serie B. Contemporaneamente arriva l’offerta del Catania appena passato dalla presidenza Gaucci a quella Pulvirenti che, rispetto agli abruzzesi, offre molto di meno, circa un quarto, per l’ingaggio, ma ad aiutare Caserta nella scelta ci pensa papà Giuseppe che gli dice “Non pensare ai soldi, vai in Serie B”. Lo fa anche perché Catania è più vicina a Melito e lì abita sua sorella, ottimo appoggio per andare a vedere le partite il sabato.

Grazie a questa intuizione, ecco nel 2005/2006, la più grande soddisfazione da calciatore di quella mezz’ala col 26 sulle spalle: la promozione e il ritorno in Serie A degli etnei dopo 23 anni, con 4 gol frutto di inserimenti in area, tiri da fuori e diversi assist ai vari Spinesi, Mascara e Del Core. Chi gli dà fiducia è Pasquale Marino, condottiero dei siciliani e punto di riferimento per Caserta: “Insegna calcio con poche parole, un grande che mi ha dato tanto”, dirà nelle interviste.

Dal Catania al Palermo: il “tradimento” di Caserta

Anche in Serie A, il 4-3-3 del tecnico siciliano fa una bella impressione e il Catania viaggia verso una salvezza tranquilla con i gol di Mascara e Spinesi. Le cose cambiano e precipitano dopo il derby di ritorno contro il Palermo, perso 2-1 nonostante un gol di Caserta che sembra a un passo dalla convocazione in Nazionale.

Ma più che per il risultato, quella partita è famosa per la morte dell’ispettore di polizia Raciti: “Sembrava che ci fosse stata una guerra. Noi eravamo barricati dentro lo stadio, abbiamo saputo della tragedia quando eravamo ancora negli spogliatoi. Siamo usciti a notte fonda”. Il calcio si ferma e Caserta perde il treno azzurro, mentre la squadra non può giocare al Massimino, entra in crisi di risultati e ritorna alla vittoria solo dopo 11 giornate. La salvezza arriva all’ultimo atto del campionato, un 2-0 contro il Chievo sul campo neutro del Dall’Ara che spedisce i veneti in B e fa esplodere la gioia degli etnei.

Sembra tutto tornato normale, ma all’improvviso, ecco la notizia che i tifosi rossoazzurri non si aspettano: Caserta passa al Palermo per 3,6 milioni di euro e diventa immediatamente un traditore, solo che le cose non stanno esattamente così. “Purtroppo, c’è stato chi, all’interno della società, mi ha fatto passare per un traditore, ma io non ho tradito nessuno: semplicemente mi hanno voluto vendere. E il fatto che io sia andato al Palermo non mi è stato perdonato dai tifosi”, dirà il calabrese alla Gazzetta dello Sport.

Ancora peggio quando, proprio al primo derby da ex, segna al Massimino e viene subissato di fischi al momento dell’uscita del campo per espulsione. È l’unica “gioia” in una stagione segnata da un grave lutto, la morte di papà Giuseppe, e con meno presenze in campionato sotto Colantuono e Guidolin, anche se almeno c’è l’esordio in Coppa Uefa.

Lecce, Atalanta e Cesena: gli ultimi anni in A di Fabio Caserta

L’avventura in rosanero dura solo un anno e, a luglio 2008, passa al Lecce neopromosso che gli affida la maglia numero 10 e le chiavi del centrocampo a 4 di Beretta prima e De Canio poi. Gioca sia come mediano che come esterno a seconda delle esigenze e in 33 partite segna 5 gol; però, i salentini non riescono a salvarsi. L’ultimo posto condanna il Lecce alla serie B e Caserta passa all’Atalanta, proprio la squadra a cui aveva rifilato una doppietta; ma senza trovare spazi: non ce n’è nel 4-2-4 di Conte alla prima esperienza nella massima serie e al massimo, può fare il vice Doni.

Le cose non cambiano con l’arrivo in panchina di Mutti, Caserta gioca solo 14 partite e in generale la stagione degli orobici è fallimentare perché a maggio il diciottesimo posto significa retrocessione in B, la seconda consecutiva per il centrocampista calabrese.

Riesce a evitare la terza andando in prestito al Cesena di mister Ficcadenti che inizialmente non lo schiera titolare; poi, da quando Caserta entra nell’undici iniziale, la stagione dei romagnoli ha una svolta, i risultati migliorano e arriva la salvezza con una giornata di anticipo. Ma l’avventura in bianconero finisce e il ritorno all’Atalanta è ancora peggiore del primo periodo, nonostante si riappropri del suo 26: una partita giocata, da subentrato, in 6 mesi e l’inevitabile decisione di lasciare Bergamo e la Serie A.

Fabio Caserta allenatore della Juve Stabia Fonte: Getty Images

La Juve Stabia, una seconda casa per Caserta

Il 31 gennaio 2012, ultimo giorno della sessione invernale di calciomercato, Caserta sceglie ancora la B, come otto anni prima, e va alla Juve Stabia che, dopo la storica promozione, ha l’obiettivo di rimanere in cadetteria. Mister Braglia acconsente alla cessione di Cazzola all’Atalanta, ma in cambio, ha bisogno di giocatori esperti e il 33enne di Melito fa al caso suo. Così lo schiera in tutte le partite restanti del campionato. Caserta fa anche due gol, di cui uno al debutto contro il Livorno, e le Vespe chiudono al nono posto.

La stagione successiva, Braglia sembra voler rinunciare a Caserta, che nel frattempo era diventato capitano, ma, dopo le prime sconfitte, cambia idea e il numero 10 ritrova il suo posto tra i titolari, guidando la squadra in campo alla seconda salvezza consecutiva con gol, assist e giocate illuminanti. Ma la luce si spegne alla notizia della morte del fratello Raffaele, per un incidente stradale nel gennaio 2013 e la Juve Stabia retrocede in Lega Pro.

Caserta rimane e nelle ultime due stagioni da calciatore, a 37 anni, gioca poco, ma è sempre leader dello spogliatoio. Nel frattempo, inizia a studiare da allenatore e prende la guida delle Vespe nel 2017. Al primo anno, arriva ai playoff del girone C e al secondo, i suoi sono una schiacciasassi, segnano tanto subendo pochissimi gol, e vincono il campionato conquistando la promozione in B che vale la Panchina d’Oro della C al tecnico calabrese.

La favola stabiese si conclude dopo 8 anni e mezzo, il 4 agosto 2020, con un’altra stagione particolare, segnata dal covid, e una retrocessione che comunque non cancella il legame di Caserta con la città: “Per me, davvero, Castellammare è casa, è vita, è tutto. Non scorderò mai e poi mai quella volta, dopo il pareggio contro il Crotone, quando mi chiamarono sotto la Curva per stringersi attorno a me dopo la morte di mio fratello, quando volevo smettere di giocare a calcio – ricorda -. Castellammare è questo: è passione, è sincerità, è amore incondizionato”.

Le ultime avventure e il palmarès di Caserta

Un uomo abituato a lottare fin da piccolo come Caserta, non si arrende, e accetta un’altra sfida affascinante, riportare il Perugia in Serie B, tanto che, nel contratto, c’è la clausola del rinnovo automatico in caso di promozione. La missione è compiuta, non senza qualche piccola difficoltà, perché il Grifone chiude lo sprint finale per il primo posto nel girone B davanti al Padova, per gli scontri diretti a favore.

Nonostante l’obiettivo portato a termine, però, rescinde il contratto e partecipa alla Serie B da allenatore del Benevento appena retrocesso dalla A. Caserta vuole aiutare le Streghe a tornare nel massimo campionato e dà una buona impronta di gioco alla squadra, ma non c’è niente da fare: eliminazione ai playoff a giugno ed esonero a settembre, quando i giocatori non sembrano seguirlo.
Di tempo per migliorare e conquistare altri successi ce n’è, intanto, in soli 5 anni da allenatore professionista, il palmarès dell’ex centrocampista non è affatto male:

  • 2 campionati di Serie C vinti (Juve Stabia 2018/2019 e Perugia 2020/2021)
  • 1 Premio “Panchina d’Oro Serie C” (Juve Stabia 2018/2019)

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