Essere figli d’arte significa avere di su di sé aspettative importanti, anche quando le porte vengono aperte con più facilità, e se il cognome portato in una determinata città è leggendario l’unico modo per dimostrare di esserne all’altezza è fare qualcosa di unico e memorabile. Il cognome di cui si parla è Braglia, la città Modena e il nome è Giorgio: GB come George Best, un artista del calcio omaggiato con la capigliatura e lo stile di gioco.
- Chi è Giorgio Braglia
- Gli esordi col Modena e le prime esperienze in A
- La rinascita a Foggia e l’esplosione del Cavallo Pazzo a Napoli
- Il Milan, le cozze crude e la seconda Coppa Italia
- L’ultimo Braglia: la figurina del “Foggia” e il fugace ritorno a Napoli
Chi è Giorgio Braglia
Quando il piccolo Giorgio, nato il 19 febbraio 1947 a Bomporto, tira i primi calci al pallone nel capoluogo Modena il cognome Braglia è famoso per due sportivi. Ad Alberto, ginnasta e vincitore di tre ori olimpici nonché portabandiera dell’Italia a Stoccolma 1912, viene intitolato lo stadio comunale nel 1957, anno in cui Renato gioca l’ultima delle 518 partite tra Serie A e B con la maglia gialloblù e diventa il calciatore con più presenze nella storia dei canarini.
Il primo non ha alcun grado di parentela, mentre il secondo è il padre di Giorgio ed è cugino dei fratelli Sentimenti: insomma, il calcio è nel dna e ben presto lo si noterà. A differenza del padre, però, a Braglia jr piace giocare in attacco, nelle giovanili del Modena si mette in luce come seconda punta o ala e ammira il Milan di Rivera, poi finalmente ecco le prime convocazioni in prima squadra.
Gli esordi col Modena e le prime esperienze in A
L’esordio con i canarini arriva quando Braglia ha 20 anni e il cognome pesante non lo spaventa, perché si rivela essere uno dei talenti più in vista della Serie B: semina gli avversari sulla fascia destra, dribbla, crossa e si toglie lo sfizio del gol realizzandone 7, come il suo numero di maglia, in due stagioni tra cui quello decisivo per la salvezza del Modena contro la Spal al secondo anno. In realtà sotto porta non è implacabile, complice anche la poca lucidità dopo sgroppate di 60 metri, ma le squadre di A che si interessano a lui sono sicure di poter migliorare questo aspetto.
Così, mentre assolve all’obbligo di leva, la Roma lo affida alla cura di Helenio Herrera, che lo schiera solo 7 volte in campionato perché i titolari nel reparto offensivo sono capitan Peiró, Cappellini e Landini. L’esperienza comunque è positiva, il mister gli insegna qualcosa dal punto di vista tattico, e arriva il primo gol in A, quello del momentaneo 3-0 alla Sampdoria che poi rimonta clamorosamente fino al 3-3.
Nell’estate del 1970 i giallorossi decidono di girare Braglia in prestito al Brescia e il bottino in Serie B è migliore, con 3 reti in 18 presenze e un quinto posto a sfiorare la promozione, tuttavia c’è qualche problema sotto il profilo extra sportivo.
“Fu un’esperienza squallida, non mi è piaciuta per niente, in una città per quel che mi ricordo molto triste – racconterà a stadiosport.it -. Un anno tristissimo, però comprai una Porsche usata senza sapere il valore che avrebbe avuto al giorno d’oggi. La rottamai nel ’73: Porsche 356 c, costerebbe 200.000 €. La usai anche per andare a Firenze visto che l’anno dopo giocai con la Fiorentina, però sugli Appennini faceva fatica, mi consumava solo olio e la diedi via. Presi sempre un’altra macchina Porsche nera, due posti, attuale valore 15.000 €”.
A parte il fiuto non eccelso per gli affari, la buona notizia è il trasferimento in maglia viola sotto la guida di Liedholm e in squadra con i protagonisti dello scudetto vinto dai gigliati due anni prima: purtroppo, un serio infortunio al ginocchio lo tiene fermo e gli consente di disputare solo l’ultima partita della stagione.
La rinascita a Foggia e l’esplosione del Cavallo Pazzo a Napoli
La Fiorentina punta a recuperare Braglia dandogli una continuità che il Barone in panchina non può garantirgli, così lo spedisce a Foggia, ancora in Serie B. L’anno in Puglia coi satanelli per lui è un’autentica rinascita, torna il giocatore che aveva impressionato a Modena e inizia a giocare sia a destra che a sinistra migliorando anche dal punto di vista realizzativo: fissa infatti il record di gol a 10 e contribuisce da miglior marcatore della squadra al secondo posto che significa promozione in A.
Le sue prestazioni allo Zaccheria non passano ancora una volta inosservate, come i capelli lunghi e il baffetto in onore di Best divenuto suo idolo assoluto, e allora si fionda su di lui il Napoli del presidente Ferlaino. Stavolta l’avventura nella massima serie è decisamente positiva, a cominciare dal fatto che si guadagna da subito una maglia da titolare, la 11, perché si trasferisce definitivamente sulla corsia sinistra, pronto a sfornare assist per i brasiliani Clerici e Cané, voluti dal neo allenatore Luís Vinício, loro connazionale.
La terza volta in cui è allenato da un tecnico straniero in A è quella buona, tanto che il Napoli in campionato arriva fino al terzo posto e Braglia segna gol decisivi, tra cui quello da ex alla Roma all’Olimpico e la doppietta al Genoa sempre in trasferta che vale la qualificazione in Coppa Uefa. Finisce sulla copertina della rivista Intrepido e il San Paolo stravede per lui, lo chiama ‘Cavallo Pazzo’ per via delle sgroppate sulla fascia e i tifosi azzurri coniano il coro ‘Braglia, Braglia, Braglia, Napoli a mitraglia’.
Il 1974/1975 è l’anno migliore della carriera dell’attaccante di Bomporto: con 16 gol totali, tra cui la storica tripletta alla prima giornata di campionato contro l’Ascoli, è il capocannoniere stagionale della squadra insieme a Clerici che spesso gli apre i varchi nelle difese avversarie e fa da sponda. Seminando bene, i frutti vengono raccolti nella terza stagione all’ombra del Vesuvio: cambiano i compagni d’attacco con l’arrivo di Savoldi e quasi a fine stagione Vinício lascia la panchina, affidata al tandem Delfrati-Rivellino che conquista la Coppa Italia. In una finale attesa da 15 anni il Napoli strapazza il Verona all’Olimpico e Braglia segna il secondo gol che mette di fatto in cassaforte il risultato. “Braglia, lei è il primo che rimane qui” gli dice Ferlaino dopo la vittoria, invece le cose non vanno esattamente così.
Il Milan, le cozze crude e la seconda Coppa Italia
Nel giro di una settimana si concretizza lo scambio tra “cavalli pazzi” Chiarugi-Braglia e quest’ultimo non la prende molto bene: a Napoli sta benissimo e si è anche fidanzato. Lasciare i tifosi azzurri che lo amano per quel modo di giocare e per quel carattere da hippie e trasferirsi nella grigia Milano non fa per lui, anche se tra i compagni di squadra ci sono capitan Rivera e altri campioni come Albertosi, Maldera e Capello.
Al Milan viene accolto bene, ma non c’è il giusto feeling con Marchioro, nuovo allenatore dei rossoneri, e ha voglia di tornare a vedere Napoli, così subito dopo la partita di Coppa Italia contro la Lazio a Roma va a trovare la fidanzata e nel il giorno libero concesso dal mister va a cenare con lei in un ristorante di Posillipo, da Giuseppone a Mare. Braglia è affamato e si fionda su un piatto di cozze crude, senza pensare alle conseguenze: in un primo momento sembra tutto a posto, anche perché disputa la partita successiva contro l’Atalanta, ma lascia il campo alla fine del primo tempo.
È il 5 settembre e nel giro di qualche giorno Braglia sparisce da Milanello perché si ammala di epatite, ma lui nega parlando di ‘semplice’ intossicazione alimentare e influenza intestinale. Rimane a letto per tre mesi, torna a Modena dove in quel periodo viene visitato dai dottori Monti e Scotti, i medici del Milan.
C’è chi lo accusa di essere un malato immaginario, ma i certificati medici parlano chiaro e di fatto Braglia resta lontano dai campi fino a marzo e subisce lo sfottò dei tifosi diventando ‘Braglia, l’asino che raglia’: nel frattempo la stagione dei rossoneri è tutt’altro che esaltante e viene richiamato Rocco in panchina per portare a termine la missione salvezza, raggiunta grazie a un rocambolesco 3-2 contro il Catanzaro alla penultima giornata.
Il Diavolo deve riscattare una stagione decisamente opaca con la Coppa Italia, competizione in cui arriva in finale grazie ai gol di Calloni e Braglia – ‘Calloni-Braglia, Coppa Itaglia’ è lo sgrammaticato slogan dei tifosi – che segna ancora un gol dell’ex, stavolta al Napoli in semifinale. L’atto conclusivo è un insolito (e finora unico) derby contro l’Inter il 3 luglio 1977, ultima partita della carriera di Mazzola: Maldera porta in vantaggio il Milan sfruttando un assist su punizione di Rivera, poi Braglia si esibisce in uno dei suoi contropiedi e firma il raddoppio al 90’ che vale la vittoria. “L’Inter perde palla a centrocampo dopo un passaggio laterale sbagliato.
Io mi ritrovo una prateria davanti. Entro in area e calcio sul secondo palo alla destra di Bordon. Fu una grande soddisfazione, c’era lo stadio pieno e quella Coppa riscattò una stagione deludente”, racconterà alla Gazzetta dello Sport rivivendo il momento che gli fa vincere il titolo di capocannoniere della competizione a pari merito con Calloni.
Non sa ancora che quella gioia sarà l’ultima della sua carriera, perché all’inizio della stagione successiva finisce ai margini della rosa e col ritorno di Liedholm in panchina non vede mai il campo, così a novembre nell’ultimo giorno del mercato di riparazione decide di andare via.
L’ultimo Braglia: la figurina del “Foggia” e il fugace ritorno a Napoli
Braglia lascia il Milan, ma non i colori rossoneri perché il Foggia nuovamente in Serie A non vede l’ora di riavere uno dei protagonisti della promozione di quattro anni e mezzo prima. Il ritorno del Best italiano in Puglia è curioso quantomeno nell’immagine, cioè la sua figurina, perché di solito la Panini ‘riverniciava’ le foto, ma non nel suo caso: la foto scattata a Milanello in rossonero viene risistemata pari pari nella pagina del Foggia e solo un occhio attento può accorgersi del fatto che le righe della sua maglia sono più strette di quelle dei suoi nuovi compagni di squadra.
In ogni caso, la seconda avventura coi satanelli non è affatto esaltante come la prima: Braglia non è più un Cavallo Pazzo, gioca solo 8 partite fino a fine campionato fermandosi solo a quota 99 in Serie A e il Foggia retrocede. Così a soli 31 anni la carriera ad alti livelli del modenese finisce e l’ultima stagione è una triste comparsata al Cosenza in C2 con soli 4 gol in 12 partite.
Appende le scarpe al chiodo dopo un interessamento fugace del Siracusa, ma lui in Sicilia non mette piede e rimane lontano dal mondo del calcio: non gli interessa fare l’allenatore o il dirigente come molti ex colleghi, si ritira a Bomporto e mantiene i capelli lunghi, i baffi e il pizzetto in stile Best, cambiano solo gli occhiali.
L’unica sua apparizione pubblica è il ritorno a Napoli dopo quasi 30 anni in occasione di una rimpatriata televisiva con Clerici e gli altri eroi della Coppa Italia: nella sua seconda casa i tifosi ancora lo riconoscono, cantano il vecchio coro e gli chiedono di raccontare aneddoti, facendolo tornare giovane.
“Ho trascorso un pomeriggio meraviglioso – confessa a ilnapolista.it -. Dopo essere stato a Napoli vai a Milano e stai male. C’è il proverbio ‘Vedi Napoli e poi muori’, io sono morto calcisticamente a Milano. I napoletani ti fanno sentire in famiglia, sempre, anche se ci sono quelli che vogliono fregarti. Ora che sono venuto qui tornerò a pensare a Napoli per altri vent’anni. Mi conosco, sono un nostalgico. Una giornata così è un sogno, rivedere i miei posti, da scrivere sul diario”, è il secondo commiato alla città e ai colori azzurri.
Un giocatore unico in campo e fuori, alla fine Giorgio Braglia sarà ricordato almeno quanto il padre: non è da tutti vincere la Coppa Italia con due squadre diverse e segnare in entrambe le finali.