Il 23 maggio scorso è ricorso l’anniversario della strage di Capaci in cui furono assassinati il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i giovani poliziotti della sua scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Immagini impresse eppure labili, per quanti non hanno assistito o vissuto come Damiano Caruso quei momenti terribili per la democrazia e le istituzioni. Oggi lo ammiriamo, autore di un’impresa epica sul Passo Giau, alle spalle dell’imprendibile Egan Bernal, maglia Rosa di questo Giro pandemico per il secondo anno consecutivo.
Damiano Caruso: il papà poliziotto nella scorta del giudice Falcone
A L’Equipe, autentica Bibbia dello sport francese per quanto attiene all’informazione, Damiano ha confidato passaggi fondamentali della sua vita, opinioni e come affronta questo ruolo da gregario dietro all’eterno Vincenzo Nibali.
E’ partito da suo padre, agente di polizia, che giovanissimo ha affiancato il magistrato siciliano Giovanni Falcone negli anni più bui della lotta alla criminalità organizzata.
“Mio padre è entrato in polizia dopo il servizio militare, non aveva lavoro e si è ritrovato a Palermo nel 1984 nella scorta del giudice Falcone, guardia del corpo negli anni di piombo, e aveva appena 19 anni”. “Me ne parla con orgoglio e fierezza, col sentimento di aver vissuto momenti storici. Falcone è stato il primo a combattere apertamente la mafia. All’epoca era diverso, bisogna avere una sacro coraggio, un grande senso del sacrificio per mettere la propria vita in gioco, come ha fatto mio padre per un altro, per un milione e e 200mila delle vecchie lire, gli attuali 600 euro”, ha detto Caruso.
La Sicilia di Montalbano e quella di Caruso
Senza tergiversare risponde su questioni delicate come su Roberto Saviano, la Sicilia, la sua Sicilia prossima ai luoghi di Salvo Montalbano, eclettico e umanissimo commissario eterno protagonista dei libri di Andrea Camilleri.
Anzi, in questa intervista svela la profondità del suo legame con l’isola:
“Io vivo la vera Sicilia, Ragusa è a Sud, è una zona turistica, la mentalità è più aperta, io abito a 200 metri dalla villa del commissario Montalbano, quello della serie tv, mi è capitato di assistere a qualche ripresa”, il suo racconto. “Il siciliano si lamenta facilmente e non fa nulla per cambiare le cose, ma io non piango mai. Vivo in Sicilia e ne sono felice. Spesso mi dicono: sei cretino a rimanere là, dai la metà dei tuoi guadagni allo Stato ma io mi rifiuto di farmi cambiare dal denaro e se mia moglie Ornella non avesse supportato la mia scelta di fare il ciclista, le mie assenze, mi sarei accontentato di una vita più tranquilla. Sì guadagno, ma non potrei mai vivere in 20 metri quadrati a Montecarlo o a Lugano. Abbandonare la Sicilia equivale a condannarla. Quando vado all’aeroporto, sono sereno perché so che la mia famiglia è tranquilla dov’è”.
La vittoria che manca a Caruso
A livello agonistico, in questo magnifico Giro, Damiano Caruso vorrebbe però una pagina tutta per sé dopo anni di resilienza e ostinazione al seguito dello Squalo Nibali:
“Mi manca una grande vittoria. Quest’anno, al Giro, avrei potuto vincere la tappa del Mortirolo. A Ponte di Legno ero più veloce di Ciccone e Hirt ma mi hanno chiesto di aspettare Nibali. Pioveva, ero congelato, ho aspettato, è il contratto. Se mi avessero considerato un po’ di più, avrei vinto. A forza di essere gregario, di sacrificarsi per la squadra, si perde il senso della vittoria”.
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