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I ricordi di Ibrahimovic: "Una volta ho rubato una macchina..."

L'attaccante del Milan racconta anche i suoi lati più nascosti: "Rubavo biciclette quando ero giovane, per andare agli allenamenti..."

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I ricordi di Ibrahimovic: "Una volta ho rubato una macchina..." Fonte: Getty Images

Zlatan Ibrahimovic nel corso della sua intervista a ‘SportWeek’, dopo aver raccontato il Milan ed essersi intrattenuto soprattutto sul calcio, ha voluto parlare anche della sua vita privata e della sua infanzia.

In Svezia, da piccolo, non era l’Ibrahimovic che conosciamo certo noi, anzi, per lui non fu affatto facile…

“Rubavo biciclette quando ero giovane, non una, tante: per andare all’allenamento dovevo fare 7 chilometri, non avevo i soldi per comprarla e se per strada ne trovavo una, la prendevo… in prestito. Prendevo, andavo, poi qualcuno la prendeva a me. Si faceva a giro. Poi una volta ho rubato quella del mister della Primavera del Malmoe, Jula. Dopo l’allenamento ero stanco e dovevo tornare a casa. Dopo tre giorni gliel’ho restituita, è lì che mi sono inventato la storia del prestito: gli ho detto ‘mister, ti ho riportato la bike. L’avevo presa solo in prestito’.”

E dopo le biciclette, Zlatan Ibrahimovic nella sua vita rubò anche qualcos’altro: una macchina.

“C**zate ne ho fatte tante, in questo mondo tutti pensano a… essere perfetti. Ma se non fai c**zate non cresci, non impari. Io continuerò a farle. Ne ho fatte tantissime. Una volta ho rubato una macchina, ma non perché mi servisse come le biciclette, era solo per adrenalina. Però sono scappato giù subito, perché non mi sentivo bene. Eravamo 5 amici, le c**zate del ghetto, tante c**zate”.

Atti che, anche se non giustificabili, arrivano da un background complicato, che ha visto Ibrahimovic crescere in modo ‘particolare’.

“Non ho mai invidiato nessuno, neanche quegli con gli occhi azzurri che al campo di Malmoe sembravano più benvenuti di me. Erano sempre scelti prima di me. Io mi inc**zavo. Mi sentivo diverso e mi sembrava strano, perché non conoscevo ancora questo mondo. Per me eravamo e siamo tutti uguali, blonde hair o black hair, biondi o neri. Poi ho fatto una ricerca di storia e ho scoperto che gli stranieri non hanno mai avuto tanto successo. E allora ho capito che conta da dove arrivi (anche se per me non conta), e questo mi ha fatto lavorare ancora di più per dimostrare che ero meglio di loro. Se qualcuno mi invidia, spero che trasformi questo in coraggio e forza di fare quello che vuol fare e che non riesce a fare”.

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