Chi si ricorda di Fredy Guarin? Probabilmente in tanti, considerato che l’esperienza dell’ormai ex centrocampista colombiano in Italia non è stata fugace. Il 38enne di Puerto Boyacá ha giocato in Serie A dal 2012 al 2016 collezionando complessivamente 141 presenze condite anche da 22 gol. Con quale squadra? Ma con l’Inter naturalmente, anche se l’avventura in nerazzurro non suscita soltanto bei ricordi nel sudamericano in considerazione del serio problema con l’alcol avuto proprio in quegli anni.
- Guarin e la dipendenza dall'alcol
- I soldi cinesi e l'arrivo del Covid
- Le 70 birre e il tentativo di suicidio
- Il ritorno in patria e la forza di reagire
Guarin e la dipendenza dall’alcol
Difficile mantenere la testa salda quando si raggiunge l’apice. Nel caso di Fredy Guarin la vetta più alta della sua carriera è stata l’Inter. L’ex centrocampista non ha saputo però gestirsi bene fuori dal campo, cosa che emerge con veemenza dai suoi stessi racconti risalenti proprio all’epoca nerazzurra: “Bevevo in casa, in discoteca e al ristornate, quella era la m**da, sapevo che stavo sbagliando nel mio lavoro e nella mia responsabilità familiare. Dormivo, mi allenavo e bevevo, e così ogni giorno. Dissero al mio agente che dovevo andare via da Milano, sentivo che non avevo limiti“.
I soldi cinesi e l’arrivo del Covid
La fuga da Milano non lo ha però salvato dal vortice nel quale si era andato a ficcare. Dopo l’Inter nel suo cammino c’è stato lo Shanghai Shenhua: “Portai 16 persone per mettere insieme lì il mio gruppo in Cina – racconta Guarin-. Non avevo idea dei soldi, guadagnavo un sacco di soldi, i soldi non andavano sul mio conto, vivevo con i premi e questo mi dava una vita di lusso… notti, feste, yacht, aerei, ho dato via i soldi“. Poi la rinascita in Brasile e quel maledetto Covid a rovinare ogni cosa.
Le 70 birre e il tentativo di suicidio
La pandemia ha drammaticamente cambiato tutto nella vita di Guarin: “Andavo nelle favela per cercare il pericolo. Ho bevuto 70 birre in una notte, mi dava adrenalina vedere le armi e non misuravo il rischio passando 10 giorni completamente ubriaco: mi addormentavo per la stanchezza, mi svegliavo con la birra accanto dove mi ero addormentato e poi mi ubriacavo di nuovo“.
Quando si è sul ciglio del burrone le alternative sono due: buttarsi o riprendersi in mano la propria vita. Nel caso di Guarin la prima opzione è stata più che valutata: “Abitavo al 17esimo piano e in quel momento mi sono staccato dalla vita, da tutto e la mia reazione è stata quella di lasciarmi andare ma lì c’era una rete sul balcone e saltando sono tornato indietro. Sapevo che, in qualsiasi stato di ubriachezza, sarei andato a morire, non avevo molta paura e sono arrivato al punto in cui non mi importava di niente e potevo farmi del male, senza pensare ai miei figli, alla mia famiglia, ai miei genitori, senza pensare a nessuno“.
Il ritorno in patria e la forza di reagire
Guarin è tornato in patria per giocare coi Millonarios decidendo in seguito di appendere le scarpette al chiodo. Al di là del calcio la notizia più bella è che il colombiano abbia trovato la forza di reagire attraverso un percorso riabilitativo e l’aiuto di un collega come Juan Fernando Quintero. E naturalmente la fede: “È uno scopo che Dio sta mettendo in noi e so che raggiungerà tanti angoli del mondo, toccherà tanti cuori e salverà vite umane“.