Garella, Volpato, L. Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel, Fanna, Sacchetti, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Come prime riserve Bruni e Ferroni. Non è la stessa filastrocca di Sarti-Burgnich-Facchetti della grande Inter, ma quasi. E’ il Verona che nel 1985 vinse lo scudetto più folle della storia del calcio, prima provinciale a riuscirci nell’era moderna (nell’anno del sorteggio integrale, va ricordato). In quella serie A c’erano i campioni più forti dell’epoca: Maradona al Napoli, Rummenigge all’Inter, Junior al Torino, Platini alla Juve. Eppure l’allenatore Osvaldo Bagnoli riuscì a costruire un giocattolo capace di sfidare la storia. Il 12 maggio dell’85 il Verona si laureò aritmeticamente campione d’Italia con una giornata d’anticipo pareggiando con l’Atalanta, il 19 maggio ci fu la festa contro l’Avellino (battuto 4-2) nell’ultima giornata in un Bentegodi festoso.
Cosa fanno oggi i giocatori di quel Verona
In pochi di quella squadra sono rimasti nel mondo del calcio. C’è chi come Tricella ha abbandonato il calcio e si è dedicato al settore immobiliare, chi come Fontolan ha scritto un libro (“Agenda annuale di allenamento” ), chi come Fanna ha lavorato per la radio ufficiale dell’Hellas Verona , chi come Galderisi ha intrapreso la carriera di allenatore.
Chi come Garella ha lasciato i riflettori del calcio che conta per allenare i ragazzi e poi fare il dirigente in club dilettantistici, chi come Volpati si è laureato ed ha esercitato come dentista prima di andare in pensione e chi è diventato opinionista tv come Di Gennaro ed Elkjaer, mentre Marangon dopo la carriera si è trasferito ad Ibiza, dove gestisce un ristorante. I ragazzi dell’85 però si sentono ancora oggi, nei gruppi whatsapp, e ricordano l’impresa che li ha portati nella leggenda.
Bagnoli spiega il segreto del suo Verona
Ma quale fu davvero il segreto di quel Verona? Lo ha spiegato Bagnoli a a La Repubblica: “Ci interessava sfruttare le motivazioni di giocatori che nei loro club si sentivano esclusi. Di Gennaro nella Fiorentina aveva davanti Antognoni, e Fanna nella Juve aveva Causio. Da noi erano liberi e indispensabili. E poi azzeccammo gli stranieri, Briegel ed Elkjaer. Quelli erano i tempi dei giocatori uomini. Ci volevamo bene e ce ne vogliamo ancora. Con i ragazzi ci vediamo ogni tanto, facciamo delle cene e delle gite, adesso veramente un po’ meno perché io non sono troppo in forma. A volte viene Pierino Fanna e mi porta allo stadio”.
Elkjaer rende merito a Bagnoli
Al sito di Gianluca Di Marzio Elkjaer ricorda quell’anno: “Fantastico. Eravamo una squadra fortissima ma soprattutto tutti amici. Con un allenatore bravissimo, Osvaldo Bagnoli, che aveva capito come gestire il gruppo nel migliore dei modi. È stato un anno stupendo, particolare, unico.” Un’impresa simile potrà ancora ripetersi nel calcio moderno? “Mai dire mai. Il calcio è strano, una provinciale per esempio proprio come il Verona, potrebbe anche vincere lo Scudetto”.
E il segreto di Bagnoli quale era? Lo rivela Sacchetti: «Gli parlavi in faccia e il giorno dopo era tutto come prima».
Galderisi voleva tornare alla Juventus
Fu quello l’anno d’oro di Giuseppe Galderisi che all’Arena si è confessato per la ricorrenza dei 35 anni: “Aveva ragione Volpati, ci siamo resi conto di quello che avevamo fatto solo con il passare del tempo. Sono arrivato all’Hellas che ero un ragazzino con la voglia di spaccare il mondo: arrivavo dalla Juventus, dove avevo davanti a me grandissimi attaccanti, quindi ero ansioso di giocare. Tuttavia, durante il primo giorno del ritiro di Cavalese, il mitico e grande mister Bagnoli scrisse su un foglio la sua formazione titolare di quel momento, e io ero in panchina. Chiamai subito Boniperti dicendogli di riportarmi alla Juve perché al Verona non avrei giocato, e lui mi rimproverò duramente: non lo ringrazierò mai abbastanza per averlo fatto! Quella è stata la mia fortuna, perché quello che abbiamo fatto in quegli anni mi rende molto orgoglioso”
Galderisi elogia i due stranieri
Sullo zoccolo duro italiano vennero innestati due stranieri: «L’arrivo di Elkjaer e Briegel ci diede una concretezza fondamentale per il nostro percorso: tre passaggi e si andava al tiro. Preben prendeva le legnate anche per me: mi ha fatto divertire sia come giocatore che come ragazzo. La festa? Dal 12 al 19 maggio volevamo solo stare insieme e goderci quello che nessuno pensava avremmo potuto raggiungere…». E trentacinque anni dopo niente è cambiato: non potrà esserci, per i motivi legati all’emergenza sanitaria, la festa collettiva. Ma una lacrimuccia scenderà lo stesso…