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Italia Mundial, Gentile: "La scommessa sui baffi, Zico, Diego e la festa in strada"

A quarant’anni dal celebre 3-2 al Brasile, l’ex terzino della Nazionale apre il baule dei ricordi con storie inedite, la nascita del silenzio stampa e la descrizione di un campione unico, come Paolo Rossi

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Pasquale Guardascione

Pasquale Guardascione

Giornalista

Da 30 anni racconta lo sport e la cronaca per diversi giornali ed emittenti, Per Virgilio Sport è lui che va a scovare i campioni del passato e con le sue interviste li riporta sul terreno di gioco Per Virgilio Sport è lui che va a scovare i campioni del passato, o emigrati all'estero a cercare fortuna e con le sue interviste li riporta sul terreno di gioco

“Bearzot la sera prima della partita non venne in camera mia. Pensai ok domani marcherò Eder che avevo già fatto ai Mondiali del 1978 e che conoscevo molto bene. Poi, nel sottopassaggio dello stadio Sarrià di Barcellona, mentre, stavano entrando in campo il cittì mi disse, guarda Claudio ci ho ripensato vai tu su Zico e Oriali su Eder. Beh, in un primo momento rimasi un po’ interdetto, poi, pensai che dovevo giocare e marcarlo allo stesso modo che feci con Maradona e andò bene anche quella”.

Era il 5 luglio di quaranta anni fa. Quel pomeriggio al Sarrià, l’Italia superò il Brasile per 3-2 ai Mondiali di Spagna e capì che poteva davvero vincerli, quei Mondiali. Claudio Gentile andò in marcatura su Zico, cui riuscì solo l’assist del gol di Socrates del momentaneo 1-1 e poco più. La sua storia, il suo riscatto in un’intervista esclusiva per Virgilio Sport.

Un’altra prova del 9 vinta da Gentile dopo che aveva bloccato già Maradona.

“Io dovevo marcare Kempes che avevo già fatto nei Mondiali del 1978. Poi, Bearzot la sera prima della partita venne in camera e mi disse se me la sentivo di marcare Maradona. Io risposi di si senza indugio pensando che scherzasse. Lui mi rispose ok allora inizia a studiartelo che domani lo marcherai tu. Quando il cittì andò via pensai ma io sono scemo, dire qual è il problema con un giocatore come Maradona che giocava con l’Argentina campione del mondo in carica e lui doveva essere la ciliegina di quella squadra. Capii che le responsabilità erano tante, così iniziai a studiarmelo, vidi diverse cassette per cercare di capire come bisognava fare per renderlo meno partecipe al gioco della Selecciòn”.

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Rewind, partiamo dall’inizio. Del Mondiale di Spagna ’82 cosa ricorda?

“Purtroppo ricordo l’inizio quando eravamo ad Alassio in ritiro, con la stampa che ci massacrò. Ogni giorno venivano fuori cose non piacevoli. Poi, quando si oltrepassarono le righe decidemmo tutto il gruppo insieme di fare il silenzio stampa e di non parlare più. I tre pareggi nelle prime tre gare contro Polonia, Perù e Camerun? Nessuno capisce che in quelle tre partite noi avevamo ancora l’acido lattico nei muscoli e nelle gambe. E, infatti, il programma della preparazione era che saremmo entrati in condizione nella seconda fase come è, poi, andata”.

Perché scelse la maglia numero 6 in quel mondiale?

“Non scegliemmo noi i numeri di maglia, si andava in ordine alfabetico partendo dai difensori, poi, i centrocampisti e, infine, gli attaccanti”.

C’è un aneddoto che le va di raccontare del periodo dei Mondiali di Spagna ‘82?

“Ricordo che eravamo nel ritiro ad Alassio e c’erano diversi giornalisti che ci dissero che saremmo andati subito a casa con la nostra squadra. Gli dissi facciamo così, se non riusciamo ad arrivare nelle prime quattro squadre avrei tenuto i baffi fino al Mondiale del 1986, se vincevamo noi, invece, li avrei mandati a quel paese tutti. Quando nella seconda fase eravamo nel girone contro Argentina e Brasile scattò in noi una senso di rabbia e di voler soprattutto dimostrare di cosa eravamo capaci di fare. Il rigore sbagliato di Cabrini e i tre goal segnati nella ripresa alla Germania dimostrano proprio questo. Mettemmo in evidenza il senso di unione del nostro gruppo”.

Le faccio un nome: Paolo Rossi.

“Nelle prime quattro gare del mondiale Paolo non aveva inciso, però tutti noi eravamo lì a tirarlo su di morale perché eravamo sicuri che si sarebbe sbloccato. Nella gara contro il Brasile lui si scatenò realizzando le tre reti e segnandone altre tre con Polonia e Germania. Si riscattò di tutto. Ma era comprensibile perché avendo giocato poco nel campionato precedente al mondiale è logico che aveva una preparazione diversa dagli altri”.

Poi arrivò la sera della finale. Quell’11 luglio del 1982 lo ricorda benissimo ancora oggi Claudio Gentile. Fu lui a fare il cross al dodicesimo della ripresa dalla destra al centro dell’area che permise a “Pablito” Rossi di sbloccare il risultato nella finale contro la Germania Ovest.

“Nel primo tempo giocai in marcatura su Littbarski, poi, nell’intervallo nello spogliatoio dissi a Paolo che cross alti non ne valeva la pena farli perché i giocatori tedeschi erano tutti alti un metro e novanta. Gli annunciai che se avessi avuto l’opportunità avrei fatto un cross basso a girare a cui poteva andare lui incontro. Così ad inizio ripresa ebbi la palla da Tardelli e crossai e Paolo fece goal di testa”.

Quando Cabrini nel primo tempo sbagliò il rigore che cosa pensò in quel momento?

“Sinceramente quando andammo negli spogliatoi nell’intervallo rincuorammo Antonio ma tutto il gruppo era convinto e sicuro che avremmo vinto. Bearzot ci disse di dimenticare il rigore e di andare in campo come se non fosse successo nulla”.

L’urlo liberatorio di Tardelli dopo la seconda rete alla Germania è divenuto un cult e un simbolo per la nazionale italiana.

“Marco fece una rete straordinaria con uno stop e un tiro preciso e forte. Era il goal del 2-0 che ci dava anche più serenità, il suo gesto è rimasto nei ricordi più belli del Mondiale del 1982”.

Se la ricorda come trascorreste la sera dopo la vittoria contro la Germania?

“Il presidente Pertini cenò con coi e dopo due mesi di ritiro fummo finalmente liberi di uscire. Girammo Madrid di sera, tanta gente ci riconobbe per strada. Fu come togliersi un peso”.

Infine, oggi che cosa fa Claudio Gentile?

“Ho una passione per il ciclismo, esco tutte le mattine con la mia bici e percorro cento chilometri al giorno tenendomi in forma. Poi, vado a vedere i giovani calciatori che segnalo quando sono interessanti”.

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