Di quella ferita umana e psicologica è rimasto l’insieme dei segni che Sara Ventura affida a parole scelte con dovizia chirurgica, spogliate spesso da aggettivi e che, in un codice depurato da sovrastrutture linguistiche, definiremmo abusi e molestie.
A rompere il silenzio su quanto accaduto, vissuto è proprio l’ex campionessa italiana di tennis, promessa sostenuta, ammirata e attesa che oggi a 47 anni, ha deciso di affidare a un’intervista difficile questa parte della sua esistenza.
- Sara Ventura denuncia abusi e molestie nel tennis
- L'adolescenza segnata dalla morte della madre
- Il presente di Sara lontano dal tennis
- Abusi e molestie: l'accusa
Sara Ventura denuncia abusi e molestie nel tennis
Allo sport, al tennis Sara Ventura deve la rinascita dopo la morte di sua madre, avvenuta quando aveva appena 12 anni, perché l’allenamento l’ha forgiata, le ha indicato uno scopo dopo che ogni giorno pareva vuoto.
Anche se lei, all’epoca, era poco più di una ragazzina. In questa intervista disponibile sul nuovo numero di Vanity Fair in edicola dal 7 giugno, l’ex tennista, conduttrice e personal trainer ha ripercorso le fasi più drammatiche e dolorose di questa sua esperienza di vita.
Sara Ventura al WeWorld Festival
L’adolescenza segnata dalla morte della madre
Quando era appena una ragazzina, la sua qualità, il talento la conducono presto a Roma per vivere in un collegio e allenarsi con le migliori tenniste italiane, lasciando Cologno al Serio dove è nata per intraprendere un percorso agonistico ad altissimo livello. È così cominciata una carriera da professionista che l’ha portata a vincere 15 titoli italiani, ma anche una terribile convivenza con abusi e molestie da parte degli allenatori incontrati.
“Dovevo stare attenta che di notte andasse tutto bene”.
Il suo racconto, purtroppo, si fa più esplicito quando si addentra nel passato di quella ragazzina di 13 anni che è stata costretta a difendersi da un mondo adulto perverso:
“Ho subito abusi di ogni tipo. Anche sessuali, diverse volte. Avevo 13 anni“. Ne parlava con le altre sportive: “Ragazze un po’ più grandi. Mi dicevano: eh sì, funziona così, ci siamo passate anche noi. Ho imparato a dormire con la racchetta vicino”.
L’episodio più drammatico e devastante lo riassume con un coraggio:
“Il giorno dopo uno dei tentativi di incursioni notturne, io giocavo una partita dei campionati europei. Stavo vincendo 5 a 2 e mi sono permessa di tirare forte la prima palla di servizio: era un rischio ma ero consapevole che, se avessi sbagliato, avrei potuto contare sulla seconda. Purtroppo sbaglio. L’allenatore si alza in piedi e mi urla: “Testa di ca**o, ti mando a casa a calci in cu*o”. Detto fatto: quella partita poi l’ho vinta, ma lui non mi ha permesso di giocare per tutto il resto della settimana”.
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Il presente di Sara lontano dal tennis
Sara Ventura oggi è una professionista affermata e stimata: ha pubblicato un libro, A testa alta (DeAgostini), e questi fondamenti li ha fatti diventare i pilastri del Sara Ventura – Art & Body, il loft milanese sui Navigli dove accoglie circa 120 clienti alla ricerca di un percorso di remise en forme personalizzato.
Una conquista personale importante che le ha consentito, anche, di potersi misurare con il passato:
“Mio padre era un uomo freddo, introverso, non avevamo grandi rapporti, e mia madre è mancata che avevo 12 anni: poco dopo mi hanno chiamato, insieme alle tenniste più promettenti d’Italia, per vivere, studiare e allenarmi in un collegio vicino a Roma. Ho accettato subito e sono andata via di casa. Ero sola. E non avevo neanche i mezzi economici per ribellarmi a quel sistema di ingiustizie e abusi. Se parlavi, se uscivi dalla federazione, la tua carriera era finita. Tutti sapevano, nessuno diceva una parola. Le ragazze più fortunate, quelle con una famiglia alle spalle, a volte venivano prese e portate via. Io potevo contare solo su me stessa”.
Abusi e molestie: l’accusa
E questa condizione di subordinazione, che Sara imputa a una ancora presente cultura del patriarcato, si traduce in una incapacità di reazione da parte sua e delle altre giovani tenniste:
“Ma non funzionava così! Se parlavi, se uscivi dalla federazione, la tua carriera era finita. Tutti sapevano, nessuno diceva una parola. Le ragazze più fortunate, quelle con una famiglia alle spalle, a volte venivano prese e portate via. Io potevo contare solo su me stessa”.