E’ stato il Mondiale delle rivincite, delle prime volte e forse per gli americani quello della “sveglia definitiva”. La Germania si laurea campione del Mondo per la prima volta, battendo la Serbia (83-77) in una finale bellissima, mentre al terzo posto finisce il Canada che dopo una piccola delusione si toglie lo sfizio di battere i cugini a stelle e strisce e di salire sul podio.
- Germania campione: dove neanche Nowitzki era arrivato
- Serbia in finale: Bogdanovic non basta
- Canada: un bronzo che è solo l’inizio
- USA: altro che alieni, giganti dai piedi di cartone
- Banchero: quando la rivincita se la prendono gli altri
Germania campione: dove neanche Nowitzki era arrivato
La Germania è da anni una delle squadre più solide nel panorama Mondiale, una squadra con tanti giocatori di grande valore e non solo di stelle NBA. Alla fine la foto di copertina va a Dennis Schroeder, il play dei Los Angeles Lakers che un po’ di rivincite se le voleva prendere. Giocatore tutt’altro che perfetto, difensore quando ha voglia, tiratore quando viene ma in questi Mondiali nei momenti caldi la palla è sempre andata nelle sue mani. Negli ultimi anni in NBA si è visto sfuggire un po’ di soldi ed ha perso un po’ di considerazione ma il titolo di MVP di questa edizione Mondiale lo rimette decisamente sulla mappa.
Accanto a lui i fratelli Wagner, Franz e Moritz, con il primo che si è fatto apprezzare subito ad Orlando ed ha dimostrato in più di un’occasione di avere la stoffa del campione. Accanto a loro tanti ottimi giocatori, anche di Eurolega, una squadra allena benissimo da Gordie Herbert che è riuscita ad arrivare là dove neanche una leggenda come Dirk Nowitzki era riuscito ad arrivare.
Serbia in finale: Bogdanovic non basta
Tante le assenze a cui ha dovuto far fronte la Serbia in questi Mondiali a cominciare da quella del giocatore di maggiore talento: il fresco campione Nba, Nikola Jokic. Ma in Serbia di talento ce n’è sempre a sufficienza quando si parla di palla a spicchi e Bogdan Bogdanovic ha dimostrato di sapersi carica la squadra sulle spalle. La sconfitta con l’Italia ha poi aguzzato i denti dei serbi che sono andati a sbattere solo contro la Germania in finale, ma il loro Mondiale porta senza dubbio il segno “più”.
Canada: un bronzo che è solo l’inizio
Non erano i favoriti ma senza dubbio una delle squadre con maggiore hype della manifestazione: il Canada ha dimostrato di essere una delle nuove grandi potenze nel mondo del basket Mondiale. Il terzo posto, forse anche un po’ deludente, in questa occasione rappresenta solo l’inizio per una squadra giovane che si è presentata alla rassegna iridata priva di due giocatori di altissimo livello come Murray e Wiggins.
La stella di SGA, al secolo Shai Gilgeous-Alexander, brilla più luminosa che mai. Ma visto che si parla del mondiale delle rivincite non può passare inosservato Dillon Brooks. Gli ultimi mesi in NBA, prima della firma con Houston, sono stati all’insegna dello sfottò. Lui nel ruolo di “villain” si è calato alla perfezione, forse anche un po’ troppo. Ha dimostrato di essere un difensore eccellente (a lui il premio come migliore ai Mondiali) ma anche di essere un attaccante pericoloso quando il tiro funziona. Il Canada alle prossime Olimpiadi è da tenere d’occhio.
USA: altro che alieni, giganti dai piedi di cartone
Una squadra pensata e costruita per una manifestazione in ambito FIBA. Lo aveva detto alla vigilia coach Steve Kerr e lo ha confermato dopo la sconfitta con il Canada. E i nomi dei convocati, seppur non contenessero stelle di primissima grandezza, sembravano confermarlo. Nelle scelte fatte dallo staff tecnico composto da Kerr, Spoelstra e Luem giocatori duttili, tanti difensori capaci di tenere il campo contro qualsiasi avversario, atletismo da vendere, voglia di vincere, tiro da tre ed ovviamente talento, tanto talento.
I favoriti erano loro ed invece alla fine tornano a casa con un quarto posto che fa malissimo e che preoccupa. Del resto i segnali erano arrivati evidenti nel corso delle ultime stagioni anche in NBA, dove il titolo di MVP è andato a giocatori stranieri: da Jokic ad Antetokounmpo, fino a Joel Embiid. Lo spettacolo che piace tanto al pubblico americano (e anche a quello di Manila, ndr) va bene ma non basta. Gli USA hanno esportato la pallacanestro nel mondo, hanno permesso a tanti giocatori di alzare il livello ma sembrano essere rimasti fermi a guardare.
Ora le Olimpiadi di Parigi del 2024 rappresentano più una fonte di preoccupazione che una speranza di redenzione, servirà una nuova versione del Redeem Team che guidato da Kobe Bryant riportò la bandiera USA sul tetto del Mondo a Pechino nel 2008. E servirà un lavoro lungo un anno per riuscire a convincere tutti i migliori giocatori ad essere della partita. Non sarà impresa semplice ma a Parigi sarà vietato sbagliare.
Banchero: quando la rivincita se la prendono gli altri
Inutile provare a fare i moralmente superiori: un po’ a noi italiani finiti (più o meno mestamente) ottavi in questo Mondiali, il mancato successo di Paolo Banchero fa piacere. Il giocatore degli Orlando Magic ha tutto per essere un grande campione ma forse la sua estate sarebbe stata più istruttiva se avesse avuto a disposizione l’esempio di Melli e Datome, piuttosto che quello di Jaren Jackson e Brandon Ingram.
Ha scelto gli USA, decisione ovviamente legittima per uno che l’Italia di fatto non l’ha mai vissuta, ma sono stati i modi che hanno dato fastidio così come l’esultanza sguaiata contro l’Italia quando la gara era già finita. Questa delusione potrebbe servirgli da lezione, forse.