Di tutti i paradossi possibili e immaginabili, questo forse li batte tutti: l’Inghilterra estromessa dal mondiale da un calcio piazzato, che per chi fosse poco avvezzo alla materia è solitamente il pane quotidiano del XV della Rosa. Che non a caso ha segnato tutti e 15 i punti realizzati nella semifinale contro il Sudafrica grazie alla precisione di Owen Farrell, al solito letale dalla piazzola e scaltro (audace, si dirà) nel trovare il pertugio per piazzare il drop che pareva mettere gli inglesi al riparo da qualsiasi velleità di rimonta dei sudafricani.
Che invece hanno risposto pan per focaccia, con il tandem Niemaber-Erasmus che dopo mezzora di gioco ha tolto l’incostante Libbock (che s’era già macchiato di diverse sbavature al piede) per inserire Handré Pollard, l’uomo che a 2’ dalla fine ha permesso agli Springboks di mettere il naso avanti per la prima volta in tutta la partita. Scegliendo di calciare da metà campo, dopo che la mischia (nel frattempo salita di tono) aveva deliberatamente puntato a strappare una punizione da una posizione favorevole per provare a piazzare.
Un copione che in passato ha spesso e volentieri fatto le fortune dell’Inghilterra, battuta (appunto) sul proprio terreno preferito. A riprova del fatto che questa edizione della Coppa del Mondo è destinata davvero a passare ai posteri come una delle più imprevedibili e avvincenti di sempre.
- Astuti e audaci
- Sudafrica e All Blacks: sempre loro due
- Mondiali rugby: è il momento dell'atto finale
Astuti e audaci
Quella che doveva l’edizione che avrebbe dovuto esaltare il rugby europeo, che a un certo punto ha persino pregustato un quartetto di semifinaliste in stile Sei Nazioni (dopotutto al termine della fase a gironi le prime 4 classificate di ogni raggruppamento erano formazioni del vecchio continente), alla fine si rivelerà essere l’ennesima disputa in famiglia nell’emisfero Sud. Con gli All Blacks risorti dopo le batoste incassate ad agosto e settembre, arrivati in finale in carrozza grazie a una crescita esponenziale un po’ in tutti i settori, e il Sudafrica che ha mantenuto fede alle attese, sebbene contro l’Inghilterra ha faticato più del previsto per riuscire a volgere a proprio favore una contesa che pochi avrebbero pensato essere tanto complicata.
Merito certamente del XV di Steve Borthwick, che ha preso una squadra in caduta libera a inizio anno riuscendo a portarla a 2’ dalla finalissima mondiale, contro ogni previsione di addetti ai lavori e tifosi. L’Inghilterra vista contro gli Springboks ha ricordato a tratti la versione del 2003, quella che faceva della forza liberata nei break down la sua arma migliore, unitamente al piede fatato di Johnny Wilkinson. Quel piede che Owen Farrell ha usato fin troppo bene nella notte di St. Denis, dove la pioggia ha finito per condizionare pesantemente la prova dei sudafricani, più leziosi e meno incisivi rispetto alle precedenti prove contro Francia e Irlanda.
I tanti errori alla mano e l’incostanza nel riuscire a garantire una pressione continua e duratura hanno costretto Niemaber ed Erasmus a prendersi una marea di rischi, cui hanno posto rimedio la forza d’urto della mischia chiusa nell’ultimo quarto d’ora e soprattutto la capacità di Pollard di trasformare in oro colato anche un piazzato da 49 metri, col terreno scivoloso, l’ovale “pesante” e gli occhi di tutto il mondo addosso. Una scena che in Italia qualcuno ricorderà di aver visto nel 2007, nel match contro la Scozia che avrebbe potuto (e dovuto) consegnare agli azzurri uno storico passaggio ai quarti di finale: il calcio di Bortolussi, scoccato proprio al 78’, non riuscì però ad arrivare a destinazione. E la storia richiuse la porta in faccia all’Italia.
Sudafrica e All Blacks: sempre loro due
Il Sudafrica sa di averla scampata bella, e tutto sommato sa anche che, non fosse stato proprio per i ripetuti errori al piede nel match con l’Irlanda (perso 13-11), avrebbe vinto tutti gli scontri diretti sin qui disputati nel corso del mondiale. Ora però dovranno provare ad abbattere l’ostacolo più grosso, quegli All Blacks che sembrano di ben altro tenore rispetto a quelli triturati a Twickenham lo scorso 25 agosto (35-7, peggior sconfitta dei neozelandesi nella loro storia). A distanza di 64 giorni, il mondo potrebbe già essersi capovolto: Savea e compagni hanno goduto di 24 ore in più di riposo, oltre ad aver faticato assai meno contro un’Argentina evidentemente già paga per il risultato ottenuto, nonché senza munizioni per controbattere allo strapotere del XV di Foster. Che ha ritrovato fiducia, qualità e convinzione nei propri mezzi, facendo ricredere anche coloro che negli ultimi 18 mesi più volte hanno chiesto la testa dell’head coach. Che adesso è a 80’ dal completare un piccolo capolavoro, pensando alle difficoltà incontrate lungo il cammino.
Mondiali rugby: è il momento dell’atto finale
La voglia di riscattare la batosta subita nell’ultimo test match pre-mondiale è di per sé già una valida ragione per pensare che sabato sera a St. Denis la musica sarà radicalmente differente. Non bastasse quella, poi, ce ne sarebbe un’altra di partita da vendicare: la finale del 1995, disputata a Johannesburg, quella resa celebre dal film “Invictus”, vinta dai sudafricani ma con qualche polemica legata a un arbitraggio definito piuttosto “accondiscendente” verso i padroni di casa. Insomma, se gli All Blacks hanno voglia di far tornare i conti, questa è l’occasione giusta. Anche per rimettere a posto le cose nelle gerarchie all time: chi vince mette le mani sulla quarta Webb Ellis Cup, staccando la rivale. Una cosa però è già certa: da 20 anni la coppa è un affare tutto tra sudafricani e neozelandesi. Con buona pace delle europee, che quando conta non riescono mai arrivare a dama.