Esiste un sogno in cui confluiscono Alex Schwazer e le Olimpiadi del 2024? La risposta è sì. Nonostante sia tecnicamente impossibile anche solo pensarlo. E quel sogno, laddove esista, è solo nostro o anche del marciatore?
Alex Schwazer merita rispetto. Quello che si deve a chi riconosce un errore e ne paga le conseguenze. Significa, di riflesso, che Alex Schwazer meriti un’opportunità? Barare è peccato mortale. Non solo nello sport. Lo sanno per primi gli atleti: quelli che raggiungono le vette e quelli relegati alle seconde, terze file.
Perché, indistintamente, per stare in alto o per starci comunque, serve abnegazione. Serve un sacrificio pazzesco. E si gioca pulito, sempre. Si accetta il verdetto del campo d’azione. Si da credito anche alla sconfitta, soprattutto alla sconfitta.
- Perchè tornare sulla vicenda Schwazer
- Lo scoop, l'ennesimo: cosa scrive la Gazzetta dello Sport
- I dubbi di Malagò
- La percezione delle persone
- Il 7 luglio 2024 sarà troppo tardi
- Sandro Donati, sempre in prima linea contro il doping
- Quattro elementi su cui riflettere
- Alex, alla fine, ce l'ha fatta comunque
- Da sette anni si allena 6 giorni su 7
- Quelle cadute diventate, per alcuni, un abisso
Perchè tornare sulla vicenda Schwazer
Allora, perché tornare sulla vicenda Schwazer ancora una volta? Almeno due motivi: il primo porta dritti alla nebulosità (eufemismo) di vicende giudiziarie che hanno riguardato Alex. Il secondo è dato dal fatto che, quando il più importante quotidiano sportivo nazionale – lo sta facendo la Gazzetta dello Sport – decide di rivivere in maniera minuziosa, dettagliata e attuale il corso di una vicenda mai limpida fino in fondo, a questa scelta vanno restituiti credito e autorevolezza.
Lo scoop, l’ennesimo: cosa scrive la Gazzetta dello Sport
Si tratta di una inchiesta giornalistica cui va riconosciuto merito. Franco Arturi e Pier Bergonzi sono in prima linea. Lo scoop (che si può leggere qui direttamente dalla fonte) delle ultime ore è incredibile: i due giornalisti scrivono così
Alex ha giocato una carta a sorpresa. Navigando online con la curiosità che lo contraddistingue, si è imbattuto in una palese e grave violazione del codice antidoping internazionale, ci ha lavorato per mesi e alla fine ha deciso di denunciare il caso alla Aiu, il nuovo organismo della World Athletics (la ex IAAF, Federatletica mondiale) a cui è stata demandata tutta l’attività antidoping. Il regolamento internazionale prevede uno sconto della squalifica (fino ad un massimo del 75%) per chi porti un “sostanzioso aiuto” a smascherare violazioni delle regole antidoping. Schwazer, con il contributo di uno studio legale londinese, ha presentato la sua spontanea testimonianza per segnalare alla Aiu il caso di un tecnico, squalificato a vita per doping reiterato, che per anni ha lavorato per conto di una federazione che fa parte della World Athletics e che è firmataria del Codice Wada… Fatta la richiesta di “sconto” per la sua collaborazione a gennaio, Alex sperava di aver una riposta entro la primavera per tornare ad allenarsi e sognare un vero ritorno alle gare. Nel suo caso, visto che aveva fatto appello alle decisioni prese, è necessario anche il parere della Wada. La Aiu si prende tutti i suoi (lunghi) tempi e manda la documentazione alla Wada il 30 marzo. L’agenzia antidoping mondiale fa passare altro tempo e il 28 aprile si fa viva con una lettera che contiene altre richieste: 12 punti da chiarire… Tra l’altro la Wada intima a Schwazer di spiegare e ammettere la violazione delle regole antidoping (ADRV) in occasione del controllo fatto il primo gennaio 2016. Ma come? L’agenzia sa benissimo che Schwazer si è sempre dichiarato innocente, anzi vittima di un complotto. Come potrebbe ammettere qualcosa che ritiene di non aver mai fatto? Dalla prima segnalazione alla Aiu sono passati due anni e dalla conferma del suo “sostanziale aiuto” a smascherare un caso di violazione sono trascorsi quasi 7 mesi. Quanti altri ne dovranno passare perché finisca la squalifica del marciatore altoatesino?
I dubbi di Malagò
Quanto sia spinosa la questione è lì da vedersi. Per dirla con parole recentissime, spese dal presidente del Coni, Giovanni Malagò, alla Rosea:
La premessa è che c’è una sentenza di colpevolezza. Dopodiché ci sono alcuni aspetti oggettivi che onestamente fanno molto riflettere
Lo stesso Malagò non risparmia un giudizio molto forte rispetto alla vicenda e si spinge fino a parlare di accanimento poiché una serie di elementi
mi fanno pensare che a prescindere dalla sua colpevolezza, lui sia entrato nel raggio di azione di qualcuno. Non spetta a me stabilire chi sia questo qualcuno. Nel merito non mi sento di dire nulla sulle sentenze ma possiamo parlare di accanimento
La percezione delle persone
Sempre Malagò, non ci gira intorno ed esprime un paio di concetti che sembrano incontrovertibili. Il primo fa la fotografia alle percezioni del Paese, ed è proprio così:
La maggioranza delle persone fa fatica a dire di Schwazer: è sicuramente innocente o è sicuramente colpevole
Il secondo tira dritto verso Sandro Donati, tecnico da sempre protagonista nella lotta al doping:
Io di Sandro Donati mi fido ciecamente. È vero che nella mia vita ho messo le mani sul fuoco per alcune persone per le quali me le sarei bruciate. Mi fido di Schwazer? Dico di no, lui ha peccato facendo una cosa che nello sport per me è inaccettabile. Ma mi fido al 100% di Donati
Il 7 luglio 2024 sarà troppo tardi
Sia chiaro: magari a Schwazer di Parigi 2024 non frega nulla, nonostante continui a condurre una vita da atleta professionista. Magari le Olimpiadi se le godrà dal divano di casa sebbene la sua storia abbia lasciato il segno e creato un movimento di opinione che ha intercettato il sogno di poterlo rivedere gareggiare. Però: gli siano garantite sentenze univoche e, conseguentemente, gli sia consentito scegliere.
Non in nome di un trattamento di favore. Semmai, per una serie di risposte che possano finalmente chiarificare con oggettiva certezza quanto accaduto davvero intorno alla figura del marciatore.
Quando il prossimo 7 luglio 2024 scadranno gli 8 anni di squalifica inflitta da World Athletics, è confermata nel 2020 dal TAS di Losanna, sarà ormai tardi per sperare di poter cercare un tempo di qualificazione per Parigi 2024.
Sandro Donati, sempre in prima linea contro il doping
Ha ragione il presidente Malagò. Il mondo che sta là fuori fatica a mettere la mano sul fuoco ma la sensazione che Alex Schwazer sia diventato una vittima è altrettanto radicata. Anzi, un bersaglio: tanto lui quanto Sandro Donati, che pure paga il rigore e l’onestà intellettuale, indistintamente conservata di fronte ad atleti, federazioni e istituzioni.
Donati è un paladino dello sport pulito ma per alcuni pare sia finito dalla “parte sbagliata della storia” quando accettò di diventare l’allenatore di Schwazer, scommettendo nella sua onestà (l’onestà di aver ammesso un errore, l’onestà di aver imparato dagli errori, l’onestà di ricominciare da zero): fece scalpore, quella decisione.
E in quegli 8 anni di squalifica comminati all’altoatesino per via della presunta positività al testosterone (che il tribunale di Bolzano ha ritenuto assai improbabile, a differenza del fondato sospetto di manipolazione delle provette) ci è finita anche la storia professionale e personale di Donati.
Quattro elementi su cui riflettere
Malagò elenca almeno quattro motivi di riflessione tali, quantomeno, da suggerire che qualcosa vada chiarito:
Ci sono alcuni aspetti oggettivi che fanno molto riflettere. Il primo è la stranezza, la atipicità, la curiosa coincidenza, del fatto che subito dopo una certa presa di posizione di Alex (la testimonianza processuale a Bolzano, ndr) si è deciso di fare un’azione avvenuta ben due settimane dopo. Un controllo a sorpresa non lo si programma con tutto questo anticipo, viene meno il concetto della sorpresa: ci sarà una spiegazione, ma è motivo di riflessione. Altra domanda che mi faccio: perché non si prevede una terza provetta a garanzia dell’atleta, che si custodisce in un luogo dove non c’è il minimo rischio di un conflitto di interesse? Depositandola presso un laboratorio che non fa parte del nostro mondo ma che presenta le massime tutele per chi controlla e per chi è controllato. Ancora: per quale motivo ti riduci a giudicarlo a poche ore dalla sua competizione, e lo porti come se fosse un reietto a Rio de Janeiro? Fallo almeno la settimana prima, così eviti questa umiliazione e questa mortificazione, all’atleta e alla dignità della persona. Questi elementi mi fanno pensare che a prescindere dalla sua colpevolezza, lui sia entrato nel raggio di azione di qualcuno
Sta tutta nelle cause di cui sopra il quesito inevitabile: Alex Schwazer ha il diritto di potersi sentire ancora un atleta, e perché no, ambire legittimamente alle Olimpiadi di Parigi 2024? E’ possibile confinare una volta per tutte la sua vicenda in un recinto di verità? Si può spazzare via quell’alone nebuloso che continua a lasciare dubbi forti e legittimi tra i metodi del controllato, quelli del controllore e quelli di chi chi controlla il controllore?
Alex, alla fine, ce l’ha fatta comunque
C’è una storia nella storia, peraltro, nella vicenda di Alex ed è forse quella che più spinge a parteggiare per lui, l’uomo in questo caso, prima ancora che per l’atleta: dal momento in cui ha commesso l’errore più grande della sua carriera sportiva, Schwazer ha fatto un percorso netto che lo ha portato a insistere verso la versione migliore di sé.
Tanti altri, al posto suo, sarebbero crollati: ipotizzando che sia vittima di ingiustizia e accanimento, tanti altri al posto suo non si sarebbero più rialzati. Non Alex, che ha trasformato il momento di massima fragilità sportiva in quello di massima dignità umana.
Si è destrutturato per ristrutturarsi. Si è messo a nudo per ricostruirsi. Ha toccato il fondo e dato il via a una risalita in cui tutte le qualità più emblematiche dello sportivo sono servite a modellare l’essere umano.
Da sette anni si allena 6 giorni su 7
Di più: in questi ultimi 7 anni si è allenato 6 giorni su 7, come un atleta “normale”, rispondendo a chi gli ha chiesto cosa glielo facesse fare che
mi serve per sentirmi ancora una persona, oltre che un atleta
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha spiegato che sul caso Schwazer qualcosa non torna, riaprendo una piccola fiammella di sperare per credere in ciò che ad oggi appare impossibile.
Le Olimpiadi 2024 sembrano ancora lontane ma sono dietro l’angolo: il programma della marcia prevede la 20 km individuale (sulla carta dovrebbero correre Massimo Stano, campione in carica, Francesco Fortunato, fresco vincitore agli Europei a squadre di maggio, e Andrea Cosi) e una staffetta mista di 42 km al posto della 50 km, la gara che bel 2008 consegnò l’altoatesino alla leggenda grazie alla medaglia d’oro conquistata a Pechino.
La stessa gara saltata prima a Londra 2012, per la positività all’Epo riscontrata a pochi giorni dalla gara in un controllo a sorpresa (con ammissione di Alex, in lacrime davanti alla stampa), poi a Rio 2016, dopo l’indelicato balletto col quale la Federazione internazionale impedì a Schwazer di partecipare ai Giochi, pur trovandosi a proprie spese in Brasile in attesa di un verdetto.
Quelle cadute diventate, per alcuni, un abisso
Tocca, la storia di Alex, tocca profondamente perché abbiamo già imparato dal passato che anche i campioni più grandi, quelli che hanno fatto sognare più generazioni, possono cadere.
E quelle cadute, per alcuni, non si sono mai trasformate in risalite, semmai in abisso. Abbiamo imparato, da quelle storie, che non sempre è facile andare a fondo, capirle davvero, analizzarle con cognizione di causa.
Abbiamo anche imparato, infine, che battersi per uno sport libero da ogni trucco, pulito, non dopato vuol dire – prima ancora di fare la radiografia all’atleta – doverla fare al sistema di riferimento. Altrimenti non vale.
La chiosa di Malagò è cucita sulla pelle della storia di Schwazer:
C’è tutto: apoteosi, truffa, resurrezione, dramma, thriller. Una storia incredibile. Probabilmente unica al mondo
Roberto Barbacci
Auden Bavaro