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Omar Sivori: tra genio e sregolatezza

Prima la Juventus e poi il Napoli. Omar Sivori è stato un campione indiscusso del campionato italiano. Un giocatore molto forte, ma anche difficile.

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Simone Biancofiore

Simone Biancofiore

Giornalista

Laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Bologna. Il calcio è da sempre una grande passione. Scrivere di calcio? Merito di mio nonno, gli devo tanto.

Omar Sivori: tra genio e sregolatezza Fonte: Imago Images

Omar Sivori è stato una leggenda del calcio, forse potremmo dire LA leggenda. Un calciatore dall’animo di un artista; uno di quelli capaci di avere più personalità nel giro di pochi minuti. C’è chi lo ha definito “un genio selvaggio e perverso”, perché amava follemente sbeffeggiare gli avversari con le sue giocate.

Scendeva in campo con gli stinchi nudi, bastava quindi guardarlo per qualche secondo per capire che era un giocatore diverso rispetto agli altri. Angelo Benedicto Sormani, ex calciatore italo-brasiliano, lo ha incoronato così: “Si divertiva a dribblare, era il re del tunnel”. C’è chi sostiene che sia stato proprio lui a far nascere questa giocata nel mondo del calcio.

Sivori era un’amante della rissa, ma era anche raffinato. È stato un personaggio particolare, ma anche unico per certi aspetti: rientra in quel genere di persone che puoi amare follemente oppure detestare.

Non si è fatto mancare mai nulla. Omar è stato un calciatore di un certo spessore, di livello internazionale e che poteva probabilmente fare ancora di più di quello che ha fatto. Oggi sarebbe stato etichettato con la tanto gettonata frase: “Ah se avesse avuto la testa…”. Eppure Sivori ha incantato. Era capace di segnare gol assurdi, il classico attaccante “rompiscatole”, difficile da marcare e da prendere. Trovare qualcuno che oggi possa essere definito il suo erede, oppure qualcuno che si possa avvicinare, è molto complicato. Resterà una persona e un atleta difficile da emulare. Omar Sivori è Omar Sivori.

La biografia di Omar Sivori

L’italo-argentino Omar Sivori nasce il 2 ottobre del 1935 a San Nicolas de los Arroyos, in provincia di Buenos Aires. Cognome di chiare origini italiane: suo nonno paterno Giulio è emigrato da Cavi di Lavagna, mentre mamma Carolina aveva radici abruzzesi.

È proprio a San Nicolas de los Arroyos che inizia a dare i primi calci ad un pallone. Sivori ha immediatamente catturato le attenzioni dei vari osservatori. Il suo primo presidente – in un’intervista televisiva – lo ricordava come un bambino che inizialmente giocava in un torneo di calcetto e che era uno spettacolo da vedere. Sivori era una vera e propria attrazione. Una delizia per gli occhi. Ciò che colpiva era come toccava il pallone, sembrava una pennellata soave su un quadro.

Passa subito al River Plate di Renato Cesarini, ex bandiera della Juventus. El Cabezón – chiamato così per la sua capigliatura e il corpo gracile – nel primo anno, quello del 1955, conquista il titolo e la Copa Rio de la Plata. Si ripete con successo l’anno seguente calando il bis. Alla fine il suo bottino personale è di tre titoli nazionali con 29 gol in 62 partite.

È inutile dire che le sue capacità vengono notate anche dalla nazionale argentina. Insieme ad Angelillo e Maschio vengono soprannominati i tre “Angeli Dalla Faccia Sporca”. Un soprannome dalle mille sfumature, ma attribuito perché uscivano dal terreno di gioco sempre con la faccia sporca di fango. Era un modo molto forte per dire di aver dato sempre se stessi, anima e corpo, e di vivere il calcio come una vera e propria battaglia da vincere. E ne hanno vinte.

Passa alla Juventus per una cifra record: 190 milioni di lire. Una somma cospicua che ha permesso al River di costruire un anello del suo stadio. Con i bianconeri l’attaccante incanta: 3 scudetti, 3 coppe Italia, nel 1960 vince il titolo di capocannoniere e nel 1961 viene eletto come “il giocatore più forte di tutti” alzando al cielo l’ambito Pallone d’Oro. Nella sesta edizione del premio della rivista francese finisce davanti a calciatori come Luis Suarez, Ferenc Puskás e Alfredo Di Stefano.

Nel 1965 è protagonista di un clamoroso passaggio al Napoli. Lascia Torino per “colpa” di Heriberto Herrera Udrizal che lo definiva un giocatore poco educato e che non giocava mai per la squadra. Tre buone stagioni che portarono Sivori, all’età di 33 anni, a lasciare il calcio dopo un Napoli-Juventus che passò alla storia per alcune vicende.

Omar Sivori con la maglia della nazionale italiana Fonte: Getty Images

Sivori e l’avventura alla Juventus

Il suo approdo alla Juventus era quello che desiderava vivere sin da giovane. Il suo sogno europeo. Il giorno della presentazione, Sivori conquista la platea bianconera facendo quattro giri di campo palleggiando e senza mai far cadere la palla a terra. Scena emblematica di un giocatore indomabile e che si rivelò così tanto selvaggio e indisciplinato. Sono anche i numeri a parlare: 33 turni, in media sette giornate di squalifica a stagione.

L’unico in grado e capace di placarlo è stato William John Charles, compagno di reparto di nazionalità gallese che era l’esatto opposto di Omar. Eppure, nonostante le evidenti differenze, i due erano così dannatamente perfetti. Ma Sivori era così, un genio senza regole. Molto spesso si allenava quando voleva. Gianni Agnelli diceva: “Sivori è più di un fuoriclasse. Per chi ama il calcio è un vizio”.

Già, un vizio. Attaccante mancino funambolico, furbo e rissoso. Però alla Juventus ha incantato. Ha fatto bene, ha scritto la storia. Ben 165 gol in 254 presenze, scudetti e coppe Italia. Chiude la stagione 1959/60 come miglior capocannoniere della Serie A con 28 reti.

Il primo titolo nazionale lo vinse nel 1957/58, era ancora un campionato a 18 squadre. Un torneo dominato dai bianconeri che chiusero a +8 sulla Fiorentina e a +9 dal Padova. Titolo numero 10 della storia del club e che valeva anche la prima stella. Il bis arriva l’anno successivo.

Lo scudetto 1960/61 è quello che ha dato ancor di più animo alle ostilità sportive tra la Juventus e l’Inter. Durante la 28^ giornata di campionato ai nerazzurri viene assegnato il 3-0 a tavolino, questo perché mezz’ora prima del fischio d’inizio alcuni tifosi bianconeri decisero di invadere il campo. La partita venne però rigiocata, l’Inter per protesta mandò in campo la squadra Primavera. Quell’incontro del 10 giugno 1961 Sivori non voleva per niente disputarlo, però poi si accese e segnò ben 6 reti. La Juventus, alla fine, vinse con un roboante 9-1. Quel giorno fu anche l’ultimo di Giampiero Boniperti con la maglia bianconera, ma anche della sua meravigliosa carriera.

L’arrivo a Torino di Heriberto Herrera cambia però la storia della Juventus e di Omar Sivori. Molti accusarono l’allenatore, colpevole dell’addio e del suo successivo approdo al Napoli. Tra i due non correva buon sangue. Herrera non sopportava l’anarchia di Sivori e quest’ultimo la rigidità dell’allenatore che voleva costruire una squadra che non puntava tutto sulle genialità di Omar, ma sull’idea del collettivo. A Sivori, questi discorsi, non piacevano affatto.

L’ultimo capitolo di Sivori: il Napoli

Omar Sivori decide quindi di abbandonare la Juventus e di sposare il progetto Napoli. Sivori, per quello che ha fatto vedere e per le sue indiscusse qualità, è stato quello che poi si è avvicinato di più a Maradona. I tifosi partenopei hanno potuto gustare con Sivori un’anteprima di quello che poi ha fatto vedere El Pibe de Oro negli anni successivi.

In Campania fa coppia con José Altafini e in 63 presenze mette a segno 12 reti. Per Bruno Pesaola non fu facile far andare d’accordo i due campioni. Il brasiliano era un giocatore molto burlone, Sivori un po’ meno, ma alla fine fu un attacco stratosferico, quello che ogni allenatore vorrebbe avere nella propria squadra. Il Napoli, però, sarà anche il capitolo della fase discendente della sua carriera.

Nell’annata 1965/66 gli Azzurri conquistano il 3° posto in Serie A con 45 punti, Sivori mette a segno 7 gol. È anche la stagione in cui il Napoli trionfa nella Coppa delle Alpi. Competizione che si disputò dal 4 al 16 giugno 1966. Sivori e compagni vinsero tutte e quattro le gare disputate e in classifica finirono davanti a Juventus, Losanna, SPAL, Young Boys, Catania, Servette e Basilea.

La stagione successiva è quella dove probabilmente si materializza la sua definitiva discesa. Appena due reti messe a segno. Il campionato 1967/68 è quello in cui il Napoli conquista un secondo posto storico, terminando a -9 dal Milan che poi vinse il tricolore. Sivori, però, gioca appena 7 partite ma è anche sfortunato, poiché è reduce da un infortunio al ginocchio rimediato con la nazionale italiana in Colombia.

Carlo Parola fu il successore di Pesaola che accettò la proposta della Fiorentina. Con il nuovo allenatore – nemmeno a dirlo – il rapporto non fu idilliaco. Sivori voleva giocare titolare, rifiutava l’impiego di riserva e di essere in ballottaggio con Barison. Il 27 ottobre del 1968, allo Stadio San Paolo, scoppia il caso Sivori. Ci fu una discussione molto animata con Parola e Corvino, il medico sociale, e Roberto Fiore, amministratore delegato del Napoli. Per l’allenatore, Omar aveva nelle gambe sessanta minuti di gioco, mentre l’idea del giocatore era totalmente diversa, perché si sentiva più che bene. La vicenda si chiude con il club che decide di salutarlo.

Il 1° dicembre del 1968 è il giorno in cui si spegne il mito Sivori. Il destino gli mette davanti ancora la Juventus, guidata da quel Heriberto che tanto odiava. Omar si fa espellere dopo uno sgambetto su Favalli, ma dopo il rosso succede di tutto. Un pugno sferrato a Salvadore comporta a Sivori un’altra squalifica di ben 6 giornate. Il 5 dicembre l’argentino convoca i giornalisti e si scaglia contro Heriberto:

“Penso che il presidente Catella dovrebbe occuparsi di più di ciò che accade nella Juventus. Dieci giorni prima della partita con il Napoli, per esempio, Salvadore e Del Sol hanno fatto a pugni e a Torino nessuno ha parlato. Così come non hanno parlato di altri incidenti, quando Salvadore prese un ferro dal bagno degli spogliatoi per darlo in testa a Heriberto e fu trattenuto da Del Sol, o quando Combin prese a pugni Heriberto, il quale, almeno una volta la settimana, lo sfidava a battersi fuori dallo stadio; o quando Dell’Omodarme scagliò una sedia nella schiena di Heriberto o quando ancora Del Sol ruppe una bottiglia di acqua minerale per poi darla in testa allo stesso Heriberto. Inoltre Herrera rimproverava sempre Sacco in questi termini: “Sei buono solo ad ammazzare i vecchi!”, perché Sacco aveva avuto un tragico incidente d’auto. Questa è la Juventus, una squadra che scende in campo con i nervi tesi. Una squadra che non scende in campo tranquilla, perché Heriberto più che al calcio la prepara a fare a pugni!”. Il 6 dicembre arriva il deferimento nei suoi confronti, ma Sivori dice addio al calcio.

Omar Sivori con Pelè durante una partita amichevole Fonte: Imago Images

La vita da ex calciatore e la sua malattia

Omar Sivori, dopo l’annuncio del ritiro, torna in Argentina nella sua San Nicolas. Si sposa con Maria Elena Casas e mette al mondo tre figli: Néstor, Miriam e Humberto. Quest’ultimo è causa di un grave lutto per la famiglia Sivori, visto che nel 1978 muore per un cancro.

In Sudamerica diventa opinionista e commentatore televisivo ma anche osservatore per la Juventus. A lui il club bianconero affidò l’arduo compito di segnalare tutti i talenti della zona. Divenne, inoltre, anche presidente della Viterbese. A San Nicolas diventa proprietario di una fazenda che chiamerà “La Juventus”. Una scelta sicuramente non casuale.

Il 17 febbraio 2005 è il giorno della sua morte, all’età di 69 anni. Un terribile tumore al pancreas porta via il campione italo-argentino. Non sono bastati due interventi chirurgici per salvarlo, nemmeno un collocamento del by pass nella zona addominale.

Omar Sivori è stato indubbiamente, prima di essere un grandissimo calciatore, un personaggio sui generis. Così tanto distaccato dalla realtà, dalle persone comuni, ma anche così unico nei suoi comportamenti. Sivori è stato e sarà un modo di vivere, quel tipo di persona che non ha mezzi termini. Dal punto di vista calcistico indubbiamente è nella lista dei più forti al mondo – non solo perché ha vinto un Pallone d’Oro – per quello che riusciva a fare con i piedi. Si farebbe fatica a dimenticarlo per quello che era e per quello che è stato. Il calcio è una forma d’arte e lui ne è stato il precursore.

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