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Paralimpiadi, Valentina Petrillo: vorrei vincere alla Mennea ma come trans invisibile, non sono come Khelif"

L'azzurra al centro delle polemiche per essere la prima atleta transgender che parteciperà alle Paralimpiadi: "Voglio vincere ed essere un modello"

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Domenico Esposito

Domenico Esposito

Giornalista

Da vent’anni in campo e sul campo per vivere ogni evento in tutte le sue sfaccettature. Passione smisurata per il calcio e per la sfera di cuoio. Il pallone è una cosa serissima, guai a dirgli di no

Cinquant’anni, la voglia matta di vincere una medaglia alle Paralimpiadi nel segno dell’idolo Mennea. Sta per iniziare l’avventura a cinque cerchi di Valentina Petrillo, ipovedente e prima atleta transgender che parteciperà alla rassegna: sarà impegnata nei 200 e i 400 metri piani. Ma soprattutto la sua sarà una sfida contro i pregiudizi.

Paralimpiadi, Petrillo: gli obiettivi, la missione e l’idolo

In una lunga intervista concessa a La Repubblica, Petrillo – nata a Napoli e bolognese d’adozione – non gioca certo a nascondino. L’obiettivo è chiaro: “Punto a vincere una medaglia”. La sua è una vera e propria missione. “Perché è così che intendo la vita: voglio infondere speranza nelle persone trans e disabili. In pista corro per una comunità intera ed essere un punto di riferimento per tante ragazze, che spesso mi chiedono consigli per la terapia ormonale”. L’idolo è “Pietro Mennea. Mi rivedo nella sua storia: anche io figlia del Sud, cresciuta in un contesto difficile, senza pista. Mi allenavo per le strade di San Carlo all’Arena (un quartiere di Napoli, ndr), negli Anni 80 preda di eroinomani e spacciatori. Quando rientravo a casa, correvo per evitarli: avevo paura”. L’amore per l’atletica è sbocciato “quando ho visto Mennea vincere l’oro a Mosca. Per strada sfidavo gli amici: loro in bicicletta, io a piedi. E vincevo sempre io”.

Il caso Khelif, il coming out, il timore e le reazioni

Imane Khelif, medaglia d’oro alle Olimpiadi nel pugilato femminile, è stata l’atleta più chiacchierata e contestata dei Giochi perché accusata di non essere una donna. “Ma è una situazione diversa dalla mia, io sono un’atleta transgender, lei no” spiega Petrillo, che parla poi del rapporto con la famiglia. “È ottimo, nonostante abbia divorziato dalla mia ex moglie, Elena. Lei sarà a Parigi insieme a mio figlio Lorenzo, 9 anni”. Sul coming out: “Nel 2017 mio padre Edoardo, 82enne, lo ha accettato senza problemi. Mia madre era morta poco prima. Qual era il mio timore? Di fare la stessa fine della mia cugina trans Erica, cacciata di casa da mio zio”.

Petrillo: lo scudetto del Napoli, la politica e il sogno

La malattia si è manifestata dopo il primo storico scudetto del Napoli. “Stadio San Paolo, 10 maggio 1987. Al termine dell’estate mi venne diagnosticata la sindrome di Stargardt, una malattia rara che colpisce la retina. Avevo 14 anni”. Si parla di politica e, quando le viene chiesto cosa direbbe ai parlamentari che hanno festeggiato l’affossamento del ddl Zan contro l’omotransfobia, Valentina risponde così: “Vederli festeggiare è stato triste. Se la legge fosse stata approvata, oggi mi sentirei al sicuro. Ho ancora paura di uscire, perché in Italia si continua a morire per il semplice fatto di essere trans. La politica sta facendo passi indietro”. Infine svela qual è il suo sogno: “Diventare invisibile, non fare notizia. Vorrei uscire di casa senza destare attenzioni. Ma comunque sono ipovedente, trans e felice”.

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