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Baggio: "Pasadena fa male, volevo vendicare Riva, con la Francia colpa mia"

La leggenda del calcio italiano si è raccontata al Corriere della Sera: "Ho imparato a convivere con la sofferenza. Per gli allenatori ero scomodo"

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Antonio Salomone

Antonio Salomone

Giornalista

Giornalista pubblicista. Lo affascinano, da sempre, le categorie minori e i talenti in erba. Ha fiuto per la notizia e per gli emergenti. Calcio, basket, motori: ci pensa lui

Da quando Baggio non gioca più non è più domenica“, non lo pensa solo Cremonini, ma molti amanti del calcio e di quelle sfumature “romantiche” che ormai si vedono sempre meno. La leggenda italiana ha illuminato generazioni e ancora oggi è amato e rispettato. Al Corriere della Sera ha raccontato qualche aneddoto nascosto della sua vita e altri invece noti, come la sua disperazione per il rigore sbagliato a Pasadena.

L’eclissi del numero 10 e il terribile infortunio

Baggio ha fatto innamorare milioni di persone con le sue giocate, quelle classiche del numero 10, ormai in via d’estinzione: “Quando giocavo in nazionale sono uscito dal mondiale e non mi hanno più convocato. Sembrava che il calcio non avesse più bisogno di fantasia, che considerasse l’estro un reato. Tutto era finito in mano alla tattica. Le partite non le vincevano più i giocatori, le vincevano gli allenatori”. I suoi idoli: “Sentimentalmente Paolo Rossi. Lui giocava a Vicenza, la mia città. E io andavo in bicicletta con mio padre a vederlo. Ed era sempre uno spettacolo. Dal punto di vista del gioco mi innamorai di Zico. Lo sognavo di notte”.

Ha poi parlato della suo rapporto con il dolore: “Quello fisico, conosciuto all’inizio della mia carriera, poteva davvero costarmi caro. La sofferenza era terribile ma ho imparato a conviverci, solo in quei momenti rimetti a posto le gerarchie della vita e ne capisci il senso profondo”. La leggenda italiana ha ricordato il terribile infortunio del 5 maggio 1985, quando vestiva la maglia del Vicenza: “Fu un incidente stupido, avevo appena fatto gol, mi sono buttato in scivolata per un contrasto, ho toccato la palla ma quando mi sono rialzato era come se mi fosse scoppiato un ginocchio. Un dolore impensabile. Ci sono voluti due anni per tornare a giocare. Ma mi ha segnato per la vita. È stato un compagno fedele, non mi ha mai lasciato”.

“Dopo Pasadena volevo sotterrarmi”

Baggio non ha dubbi sulla partita che vorrebbe rigiocare: “La finale dei mondiali del 1994 a Pasadena, Italia-Brasile. Non la posso dimenticare. Quella sì vorrei rigiocarla. Siamo arrivati un po’ cotti, avevamo fatto i supplementari con la Nigeria e mezz’ora in più, a quelle temperature, ti stronca. Se fossimo stati più lucidi forse sarebbe stata un’altra partita. Cosa è successo subito dopo? Cercavo un badile, mi volevo sotterrare... Mamma mia, mamma mia. Non si possono cancellare cose così. Quella partita l’avevo sognata e immaginata tante volte quando ero bambino. Avevo tre anni ma la sconfitta del 1970 non riuscivo a dimenticarla. Volevo vendicare Riva e gli altri. Era il mio sogno, davvero. E quando è finita così mi è crollato il mondo addosso”.

Poi il rammarico-bis: “Non sono stato fortunato. Ho fatto tre mondiali in cui sono uscito sempre per i calci di rigore. Il tiro con la Francia, se fosse entrato, ci avrebbe portato in semifinale con la Croazia, allora c’era ancora il golden goal. Fu un’azione bellissima, un lancio di Albertini, ma io sbagliai a colpire al volo, volevo anticipare Barthez che mi stava venendo addosso ma lui ha fatto un passo in avanti e poi si è fermato. Se avessi aspettato che rimbalzasse, poi potevo metterla dove volevo”.

Il rapporto con gli allenatori

Sono sempre stato scomodo. Quando giocavo ho incontrato la fase della tattica esasperata. Chi aveva il mio ruolo non rientrava negli schemi di moda. Ormai giocavano tutti con il 4-4-2 e noi eravamo qualcosa che stonava. Poi se segnavamo e dicevano che aveva vinto la squadra di Baggio, di Zola, di Mancini e gli allenatori soffrivano. Se oscuri gli altri, se entri in conflitto con gli ego, diventa tutto più difficile” – ha raccontato. Poi ha proseguito: Il tecnico a cui sono più legato? Sono grato a tutti, da tutti ho imparato qualcosa. A cominciare dal mio primo, che di mestiere faceva il fornaio a Caldogno. Ma se tu ti nascondi o parli male di me perché ti oscuro, allora non possiamo andare d’accordo. Questo era il problema. Io ero pesante. Per questo non facevo interviste, non volevo apparire. La gente mi voleva bene, avevo grandi attenzioni e questo dava fastidio a molti”.

Poi una riflessione finale:Cosa direi a Baggio bambino? Di essere meno buono. Io, se tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto. Credo di aver attraversato la mia vita con umiltà e coerenza. Per questo ho pagato dei dazi, ma va bene così. Qualche volta, per bontà o quieto vivere, ho seguito i consigli di altri e non le mie sensazioni”.

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