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Roglic, la rivincita più bella: il poker alla Vuelta sognando il mondiale

Lo sloveno si aggiudica per la quarta volta il Giro di Spagna al tramonto di una stagione molto complicata: il prossimo obiettivo sono i Mondiali a Zurigo.

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Avrebbe potuto tranquillamente starsene buono, aspettando tempi migliori. Dopotutto nessuno più di Primoz Roglic ha conosciuto la sensazione brutale dell’asfalto che s’incolla alla pelle, complici le ripetute cadute che ne hanno costellato le ultime annate. Ma il trionfo alla Vuelta, il quarto in carriera dopo la tripletta 2019-2020-2021, ha il sapore della rinascita. Perché a 35 anni si può essere ancora competitivi, se solo la dea bendata decide di non mettersi di traverso. E nessuno come Roglic meritava una soddisfazione e una gioia tanto grandi.

Roglic, la forza nel sapersi rialzare quando conta

Lo sloveno s’è preso di forza una Vuelta che pareva volerlo respingere ancora. Lo ha fatto guadagnando giorno dopo giorno la forma migliore, dopo che nel mese precedente si era visto costretto ad allenarsi prevalentemente sui rulli, complice la caduta al Tour che lo aveva estromesso da una Grand Boucle che comunque mai lo avrebbe visto in lotta per la maglia gialla (Pogacar e Vingegaard erano di un altro pianeta, e forse anche Evenepoel).

Una delusione tremenda per chi, come Primoz, aveva scelto di sottrarsi dal cono d’ombra della Visma proprio per puntare all’unico grande giro mancante alla sua collezione, che annovera anche un Giro d’Italia (2023) per un totale aggiornato di 5 successi. La Vuelta era una sorta di appiglio per tentare di dare un senso a una stagione altrimenti da dimenticare, per giunta la prima in maglia Bora Hansgrohe, poi divenuta strada facendo Red Bull. Con gli austriaci felici di aver festeggiato la prima vittoria di un certo rilievo appena due mesi dopo il loro ingresso ufficiale nel mondo del ciclismo che conta.

Gestione e tattica: il poker più inatteso per lo sloveno

Roglic in Spagna ha sofferto, ma ha saputo tenere botta. È partito piano (come prevedibile), poi ha tenuto di aver vanificato tutto (al pari dei pretendenti principali alla maglia rossa) quando Ben O’Connor s’è inventato un numero d’altri tempi, guadagnando oltre 6’ e sognando di arrivare a indossare la roja fino a Madrid. Se così non è stato è perché Roglic ha capito che questa era un’occasione che non poteva restare impunita: ha aumentato il forcing tappa dopo tappa, rosicchiando secondi preziosi fino a infliggere la stoccata decisiva a tre tappe dalla fine, sull’Alto de Moncalvillo.

A quel punto è entrato in modalità gestione, ben sapendo che la crono finale di Madrid gli avrebbe comunque potuto garantire quello spazio sufficiente per rimettere le cose a posto (e non ce n’è stato nemmeno bisogno). La sua è stata una Vuelta a inseguimento, ma dove i calcoli (se si eccettua la tappa della fuga bidone) li ha tenuti sempre sotto stretto controllo. E se qualcuno obietterà sul fatto che mancavano i grandi assi delle corse a tappe, di sicuro è giusto riconoscere i meriti di chi ha corso per giunta gravato da una frattura alla vertebra rimediata meno di due mesi fa.

Primoz Roglic, un palmares sempre più vincente

Roglic è uno che s’e guadagnato tutto quello che ha ottenuto sempre con fatica e sudore. Balzato tardi alle cronache (di fatto corre ad alto livello da quando ha 27 anni: Pogacar ne ha compiuti 26 quest’anno…), ha saputo raccogliere consensi per la dedizione che ha sempre messo in tutto ciò che ha fatto. Chiaro però che in un’epoca nella quale i rivali si chiamano Pogacar, Vingegaard, Van Aert, Van der Poel ed Evenepoel di spazio per trovare la propria dimensione non ce ne è sempre a sufficienza.

Pur cominciando più tardi rispetto ai suoi colleghi, Primoz ha saputo costruirsi una carriera di assoluto rilievo, impreziosita anche da una Liegi, l’oro olimpico a cronometro di Tokyo e da altri due podi nei grandi giri (secondo al Tour 2020, perso praticamente nella crono finale, e terzo alla Vuelta 2023, quella degli ordini di scuderia di casa Visma a favore di Kuss).

Il paradosso: l’ennesima perla potrebbe non bastare

Questa Vuelta ha il sapore della rivincita, ma potrebbe non bastare per convincere chi l’ha messo sotto contratto (appunto la Bora, oggi divenuta Red Bull) a puntare ancora le proprie carte su di lui: le voci di un accordo ormai imminente con Remco Evenepoel sono tornate a farsi insistenti, e dunque il destino di Primoz pare un’altra volta segnato. Dovrà dunque cercare di ritagliarsi quei pochi spazi che la strada gli concederà, proprio come successo sulle strade di Spagna, dove certo Mas e Carapaz non potevano rappresentare ostacoli al suo livello.

Adesso però c’è un altro pensiero strisciante che si fa strada: la buona condizione ritrovata alla Vuelta potrà consentirgli di presentarsi tra i sicuri protagonisti al mondiale in programma a Zurigo il 29 settembre, anche se sarà necessario trovare una quadra per far tornare i conti con Pogacar (che a sua volta vuole la maglia iridata). Sarebbe il perfetto coronamento di una rincorsa che gli ha portato in dote un’altra maglia rossa, continuando a sognare quella gialla del Tour che, se non proprio un’ossessione, è destinata comunque a rimanere un cruccio non da poco. Ma chissà che negli anni a venire a Primoz non verrà in mente di ribaltare ancora una volta il destino: se c’è qualcuno che ha saputo farlo meglio di tanti altri, rialzandosi innumerevoli volte, quello altri non potrebbe essere, se non lui.

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