È finita come tutti sospettavano che sarebbe finita: con Tadej Pogacar vestito di giallo, con Jonas Vingegaard una volta di più alla sua destra, e con Florian Lipowitz che rappresenta l’unica vera novità degna di nota in un Tour altrimenti abbastanza delineato nella forma e nella sostanza. Tanto finché ci sono quei due là si può lottare solo per il terzo gradino del podio. Pogacar ha dimostrato di essere però su un altro pianeta per un Vingegaard che è andato in crescendo, pagando dazio a un paio di giornate no nella prima metà della grand boucle. Che per una volta torna a parlare italiano, naturalmente grazie a Jonathan Milan.
Pogacar insuperabile, sorpresa Lipowitz
- TADEJ POGACAR 10: è talmente superiore al resto del mondo del pedale che non si riesce a capire neppure se ha qualche cedimento in qua e in là, o se è sempre a tutta, come se non ci fosse un domani. Il Tour lo ipoteca nella prima metà: attacca non appena la strada sale, si difende alla grande a cronometro (dove rifila un minuto a Vingegaard, ed è una sorpresa…), stacca tutti ad Hautacam, nel primo vero arrivo pirenaico. Poi è tutta una gestione, buona anche per camuffare un po’ di fatica che sulle Alpi lascia trasparire. Ma nessuno può insidiarlo e tantomeno attaccarlo: ci riesce solo Van Aert a giochi fatti, a Montmartre, e questo è tutto dire. Quarto Tour in bacheca, 54 maglie gialle indossate, 21 successi di tappa, sesto podio consecutivo sulle strade di Francia: ha soltanto 27 anni, ma ha già scritto pagine di storia. E non finisce mica qui…
- FLORIAN LIPOWITZ 8,5: bravo, anzi bravissimo, perché in una squadra che si presentava con ambizioni ridotte e un capitano “in pectore” ormai in fase di remissione (leggi Roglic) ha saputo cogliere l’attimo. Una sola giornata di crisi, sulle Alpi, nella quale ha rischiato di mandare all’aria tutto, poi la reazione il giorno successivo a La Plagne e il terzo posto arpionato senza neppure doversi stracciare troppo le vesti. Avrebbe fatto soffrire anche Evenepoel, se non si fosse ritirato. La Germania ha scoperto un talento, lavorandoci potrebbero scaturirne sorprese.
- JONATHAN MILAN 8: debita è la premessa: ci fosse stato Philipsen, prendere la maglia verde sarebbe stato assai più complicato. Il ritiro dell’olandese dopo tre tappe l’ha agevolato, anche se paradossalmente per un po’ Milan ha subito la pressione del dover vincere a tutti i costi, proprio in virtù della dipartita del rivale storico. Una volta che s’è sbloccato, riuscendo a esorcizzare anche l’incubo Merlier, il suo Tour ha preso una piega differente. A quel punto valeva la pena puntare tutto sulla maglia verde, e così è stato. Il Tour di debutto si chiude con due tappe conquistate (e il digiuno italiano interrotto dopo 113 frazioni) e una maglia che comunque peserà tanto. E che ci sta, perché Milan è un signor velocista. Stop.
- OSCAR ONLEY 7,5: da dove è uscito fuori questo scozzese con la passione per la bici da strada? Sconosciuto ai più, Onley ha dimostrato di saperci stare con i migliori. Ha sfiorato il podio, perso nelle ultime due tappe alpine dove la fatica ha presentato il conto, ma è andato forte e ha strappato unanimi consensi. Compirà 23 anni a ottobre: non stupitevi di vederlo presto al centro di tante trattative di mercato.
- JONAS VINGEGAARD 7: il suo voto è un mix tra il 5 netto della prima metà del Tour e un 9 solido nella seconda parte. Dove ha cercato almeno due volte di far saltare il banco muovendo tutte le pedine che la Visma gli ha messo a disposizione (anche se poi la stessa Visma ha finito per combinare pasticci, ma a giochi fatti…). Sui Pirenei ha faticato tanto, a cronometro ha cannato (il Tour l’ha perso lì), poi sulle Alpi s’è ripreso e ha dimostrato con convinzione di poter tenere testa a Pogacar, sebbene lo sloveno è apparso un po’ stanco. Ci riproverà, Vingo: dalla drammatica caduta nell’Itzulia del 4 aprile 2024 qualcosa s’è rotto, e quella alla Parigi-Nizza dello scorso marzo ha condizionato l’anno corrente. Ma a 29 anni padre tempo esige dazi…
- PRIMOZ ROGLIC 5: avrebbe meritato la sufficienza se si fosse deciso ad aiutare Lipowitz ad arpionare il podio. In realtà non è mai sembrato troppo convinto (a parte un paio di episodi) e l’essere andato fuori giri sulle Alpi ha reso il suo Tour decisamente malinconico. E dire che a un certo punto sul podio ha fatto capire che avrebbe potuto salirci lui, ma è tempo di convincersi che i giorni belli e felici di Primoz ormai sono passati e il Tour resterà un sogno irrealizzabile.
- REMCO EVENEPOEL 4,5: ha tutte le attenuanti del mondo, perché si sapeva che questa sarebbe diventata un’annata di transizione dopo l’incidente dello scorso dicembre. Magari proverà a riscattarsi al mondiale di Kigali, visto che rinuncerà alla Vuelta pur di andare a prepararlo (e sarà scontro totale con Pogacar e Vingegaard), ma al Tour Remco ha deluso. Anzi, forse neppure sarebbe dovuto andar: ha fatto sua la cronometro, come da pronostico, ma tre giorni di crisi di fila sono troppi, per sua stessa ammissione. Incidenti e cadute ne stanno minando le potenzialità, specie nei grandi giri: anche per lui, le lancette inesorabili scorrono…
Tour de France: promossi e bocciati
- PROMOSSI: il Tour 2025 ha detto che corridori come Ben Healy (7,5), Felix Gall (7) e Kevin Vauqeulin (7) hanno tutti i requisiti per stare con i primi 10 di un grande giro. Healy è stato bravo perché ha tenuto anche la maglia (primo irlandese 38 anni dopo Roche) e ha vinto una tappa, mostrandosi solido. Gall non s’è fatto vedere troppo ma c’era sempre, Vauquelin s’è esaltato a più riprese. Impossibile non promuovere Mathieu van der Poel (8) che prima del ritiro a causa della polmonite ha pilotato Philipsen (non giudicabile) verso la prima maglia gialla, ha vinto una tappa attaccando da fuoriclasse, ne ha sfiorate un altro paio dopo aver dato comunque spettacolo. Menzione d’obbligo per Thymen Arensman (8) che s’è preso due tappe mettendola nel sacco ai big con due fughe azzeccate al goniometro. E bravo anche a Tobias Johannessen (7,5), che dopo essere stato ingiustamente attaccato per l’incidente che ha prodotto la scivolata di Pogacar a inizio Tour ha dimostrato di essere un signor corridore, chiudendo al sesto posto nella generale.
- BOCCIATI: si potrebbe discutere tanto sulle strategie di corsa di Red Bull Bora Hansgrohe e Visma Lease a Bike, che in una certa misura non raggiungono la sufficienza. Deludente soprattutto Matteo Jorgenson (4,5), che non ha mai supportato a dovere Vingegaard. In casa UAE Team Emirates XRG il ritiro precoce di Almeida non è pesato troppo, ma forse Adam Yates (5,5) avrebbe potuto rendersi più utile alla causa del capitano. Biniam Girmay (4) dopo aver vinto la maglia verde lo scorso anno (contro Philipsen fino a Parigi) è imploso, senza lasciare mai il segno. Wout Van Aert (6) s’è ripreso sul finale, e non soltanto per l’assolo sugli Champs-Elysées, mentre Julian Alaphilippe (5) s’è fatto notare più per l’esultanza “sbagliata” della 15esima tappa (credeva di aver vinto, invece era la volata per il terzo posto) che per motivi squisitamente ciclistici. Al solito, voto zero ad ASO per i percorsi troppo al limite che favoriscono le cadute: davvero troppe, indegne per un palcoscenico tanto altisonante.
Il tour degli italiani
- ITALIANI: il Tour degli italiani era appeso alle speranze di exploit di Milan e Ganna. Ma Pippo è caduto dopo 50 chilometri ed è sceso subito dalla bici, mentre Milan il suo l’ha fatto. Qualche tentativo sporadico di Velasco e Ballerini (ottimo secondo nella passerella finale) per provare a lasciare il segno, bene l’inossidabile Trentin che s’è fatto notare in più di un’occasione, poi poco altro da aggiungere, come si sapeva bene fin dalla partenza di Nizza. Godiamoci la maglia verde conquistata da Milan, ad oggi (probabilmente) il meglio che l’Italia del pedale può offrire al resto del mondo. Troppo poco? Forse si, ma questo passa il convento. Dopotutto Komenda (cittadina natale di Pogacar) è stata “liberata” dagli allenati nel 1943 e riconsegnata ai territori slavi…