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Rugby, ecco il nuovo CT Quesada. "Ho scelto l'Italia perché ha una filosofia simile alla mia"

Il neo commissario tecnico si presenta e spiega perchè ha scelto di guidare la nazionale azzurra. "Squadra con basi importanti e una filosofia di gioco che mi piace".

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Un mediano d’apertura vecchia maniera, argentino ma con addosso la giacca (l’età non è più quella per la maglia) della nazionale italiana. Pensi a Diego Dominguez, e invece ecco Gonzalo Quesada. Che in qualche modo però i fasti del connazionale vorrebbe rinverdirli, eccome.

Perché l’uomo al quale la FIR ha affidato il compito di traghettare il nuovo corso azzurro verso lidi inesplorati (tradotto in soldoni: maggiore competitività e qualche vittoria in più nel Sei Nazioni, conquista dei quarti di finale nella Coppa del Mondo) è uno che in qualche modo sa cosa significhi provare a spingersi oltre i propri limiti.

L’ha fatto allo Stade Francais, portato alla vittoria del campionato francese nel 2015. Ma prima ancora l’aveva fatto da giocatore nei Pumas di inizio millennio, tanto che ancora oggi detiene la seconda piazza assoluta nella classifica dei marcatori di tutti i tempi della nazionale argentina (492 punti, solo Hugo Porta con 592 ne ha messi a referto di più).

Una colonna del rugby sudamericano che in Europa ha trovato la sua dimensione in Francia, da giocatore (tra l’altro passato a Narbonne, Beziers, Stade Francais, Pau e Tolone), quindi da allenatore.

Anche se una panchina di una nazionale rappresenta un unicum assoluto, sebbene l’esperienza ai Jaguares, franchigia di Buenos Aires che partecipa alle più importanti competizioni dell’Emisfero Sud, l’ha visto allenare buona parte della selezione dei Pumas che ha preso parte alle ultime competizioni internazionali. Stavolta però sarà tutto diverso.

Una base solida, una filosofia che piace

Abituato alle sfide, Quesada ha fatto capire di essere elettrizzato all’idea di prendere per mano una delle nazionali (a detta di chi ci capisce: incrociate pure le dita…) più “futuribili” del panorama mondiale. Vero è che l’Italia ammirata alla recente Coppa del Mondo era tra le squadre con l’età media più giovane: mentre molte selezioni si troveranno costrette a forzare un robusto ricambio generazionale, Quesada potrà lavorare con un gruppo che semmai dovrà soltanto essere implementato con nuovi prospetti che sapranno meritare le sue attenzioni.

Ci sono molte cose che hanno funzionato e dalle quali è giusto ripartire. Chiaro che vanno migliorati alcuni aspetti in vista degli impegni del Sei Nazioni di febbraio e marzo, e avere poco tempo a disposizione per farlo non è il massimo. Ho accettato con entusiasmo questo incarico e sono convinto che sia quello che può fare al caso mio in questo momento particolare della mia carriera, dato che cercavo una nuova sfida ma senza l’assillo del dover andare in campo ogni giorno.

Negli ultimi 15 anni non ho avuto un minuto di respiro e allenare una nazionale è un desiderio che covavo da tempo. Perché l’Italia? Perché ha mostrato una filosofia di gioco negli ultimi due anni simile a quella che piace a me.

Lavorare sull’attacco per crescere ancora

Continuità è una parola di cui spesso si fa un uso improprio, ma è quello che Quesada chiede a un gruppo che al netto delle due batoste incassate contro All Blacks e Francia ha mostrato lampi di vitalità sotto la guida di Crowley.

Kieran ha portato un gioco offensivo, una mentalità che porta sempre ad attaccare a discapito anche di qualche rischio di troppo. È una cultura diversa rispetto al passato e penso che continueremo a coltivarla.

Chiaro che ci sono aspetti sui quali dover lavorare con molta attenzione: l’Italia nelle ultime due edizioni del Sei Nazioni è la squadra che ha giocato di più dal proprio campo, ma è quella che ha subito il maggior numero di punti. Cosa significa questo? Che bisogna lavorare sull’attacco per cercare di migliorare l’attitudine a non concedere spazi agli avversari.

L’Italia che ricordo di aver affrontato da giocare era una squadra tosta, con una mischia dura e un cuore che batteva sempre forte. E su queste basi possiamo costruire una nuova identità, andando poi a implementarla con la tecnica e un gioco più spregiudicato e ficcante.

Creare un’identità forte

Quesada, che lavorerà con uno staff tutto nuovo messo a disposizione dalla federazione, ha spiegato di aver visto molte gare di Zebre e Benetton per imparare a conoscere meglio la maggior parte dei giocatori di cui potrà disporre già nel Sei Nazioni 2024. E ha confermato di sentirsi un tecnico molto “anglosassone”, cioè al quale piace pianificare e non tralasciare alcun dettaglio.

Una risposta indiretta a chi, leggendo un nome latino affiancato alla panchina azzurra, poteva pensare di assistere a un cambio di mentalità, col ritorno alla “vecchia scuola” del rugby tricolore, quella che aveva portato la nazionale a competere a partire dagli anni ’90 con le migliori squadre al mondo.

Sarà fondamentale per il neo commissario tecnico lavorare in fretta per unire un gruppo che, complici i tanti impegni all’estero di buona parte di chi lo compone, andrà amalgamato nelle poche finestre annuali a disposizione.

A Parigi ho lavorato per 15 anni con tantissimi elementi di nazionalità differente. Sono abituato a creare un’identità unica, partendo da diverse culture. Avere giocatori che giocano in nazionale, seppur nati fuori dall’Italia, non rappresenterà mai un limite e tantomeno un problema. Tirar fuori i valori di squadra sarà l’unica cosa che conta.

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