Quello di Simone Inzaghi è un nome che evoca diversi collegamenti. Il primo, senza dubbio, è quello che porta alla Lazio, squadra a cui il più giovane dei fratelli Inzaghi ha legato la maggior parte della sua carriera. Il secondo è quello della “nouvelle vague” di giovani allenatori italiani di cui Simone si fa portavoce assieme ai vari Italiano, Dionisi, D’Aversa, Zanetti, Tudor.
Arrivato sulla panchina della Lazio in punta di piedi e quasi “per caso”, Inzaghi ha saputo ritagliarsi con capacità un posto stabile in Serie A, giungendo persino a sostituire un personaggio “ingombrante” come Antonio Conte su una panchina, quella dell’Inter, tra le più scomode del Belpaese calcistico.
Tutto inizia a Piacenza
Nato a Piacenza il 5 aprile 1976, fratello minore di Pippo Inzaghi, dà i primi calci ad un pallone nelle giovanili della squadra della sua città. Compiuti 18 anni, inizia una girandola di prestiti in giro per lo “stivale”. Tra il ’94 e il ’95 veste il biancorosso del Carpi, in C1, dove però trova poco spazio.
Nei due anni successivi, gioca prima una discreta stagione al Novara, in C2, con cui colleziona anche 4 reti, e poi una ancora migliore ai pari categoria del Lumezzane, dove segna 6 gol in 23 presenze. La stagione della svolta, però, è quella successiva: sbarcato al Brescello, nuovamente in C1, gioca con continuità e grazie alle 10 marcature in 21 presenze si guadagna una chance col Piacenza, in Serie A.
Il suo è un debutto da sogno: va in gol alla prima giornata proprio contro quella Lazio che, a fine stagione, lo prenderà con sé dopo 15 reti in 30 presenze totali.
Una vita votata alla Lazio
Il sodalizio sportivo fra Simone Inzaghi e la Lazio si cementa sin dai primi giorni. Conquista subito la Supercoppa UEFA e si gioca il posto da titolare con Marcelo Salas. Le sue prestazioni gli valgono ben presto una maglia da titolare, onorata portando la squadra, nel 2000, alla vittoria di uno Scudetto, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana.
Memorabile il suo poker ai danni dell’Olympique Marsiglia, in Champions League, il 14 marzo 2000. Sfortunatamente, dopo una prima stagione incredibile, inizia a scivolare pian piano ai margini del progetto tecnico biancoceleste. A gennaio 2005 viene ceduto in prestito alla Sampdoria, per poi tornare alla base senza aver messo a segno nemmeno una rete. Dopo sole 12 presenze in due anni, nel 2007 viene girato, sempre in prestito, all’Atalanta: anche in questo caso, ritorna a Roma senza aver ritrovato la via del gol.
Nella stagione successiva, contro il Lecce, segna quella che sarà la sua ultima marcatura in Serie A. Chiude col calcio giocato al termine della stagione 2009-2010, dopo aver aggiunto alla sua bacheca personale un’altra Coppa Italia e una Supercoppa Italiana.
Colleziona anche tre presenze in Nazionale, prima con Dino Zoff e poi con Giovanni Trapattoni, senza mai segnare. In una di queste, l’amichevole contro la Spagna del 29 marzo 2000, scende in campo assieme al fratello Pippo.
Dal campo alla panchina apparentemente per caso
L’avventura da allenatore di Simone Inzaghi inizia il 22 maggio del 2010: dopo aver rescisso il contratto che lo legava alla società biancoceleste come giocatore, rimane a Formello in qualità di allenatore degli Allievi Regionali. Con loro, vincerà a fine stagione la Coppa Regionale, guadagnandosi la panchina degli Allievi Nazionali.
Nel 2014, subentrando ad Alberto Bollini, prende posto sulla panchina della Primavera della Lazio, portandola prima alla vittoria della Coppa Italia di categoria contro la Fiorentina, poi a quella della Supercoppa. I biancocelesti non alzavano un trofeo Primavera da 35 anni.
Nella stagione successiva bissa il successo in Coppa Italia e sfiora la vittoria dello Scudetto Primavera, perdendo ai rigori contro il Torino (squadra contro cui perde anche la Supercoppa, questa volta ai supplementari). I successi della Primavera non passano inosservati ai piani alti della società e il 3 aprile 2016, a seguito dell’esonero di Stefano Pioli, Claudio Lotito decide di affidare la guida della prima squadra a Inzaghi in qualità di allenatore ad interim.
Nelle sette partite successive conquista 12 punti, che valgono alla Lazio l’ottavo posto in classifica.
Prende definitivamente le redini della squadra nella stagione successiva, dopo le dimissioni del neo allenatore Marcelo Bielsa a seguito di alcune divergenze di mercato con Lotito.
Il Campionato 2016/2017, sebbene privo di trofei per la sconfitta in finale di Coppa Italia contro la Juventus, vede la Lazio di Inzaghi conquistare ben due derby contro la Roma (uno in Coppa Italia e uno in Campionato) a distanza di più di quattro anni dall’ultima volta, nonché la conquista del quinto posto in campionato e l’accesso all’Europa League.
La stagione seguente si apre subito con un trofeo: i biancocelesti vincono la Supercoppa Italiana per 2-3 contro la Juventus. Inzaghi diventa, così, il primo nella storia della Lazio a vincere un trofeo sia da giocatore, sia da allenatore. Il resto dell’anno vede la squadra lottare per un posto in Champions, per poi perderlo all’ultima giornata a vantaggio dell’Inter.
2018-2021: il triennio della consacrazione di Inzaghi
La stagione 2018-2019 vede la Lazio stentare in campionato e uscire ai sedicesimi di Europa League contro il Siviglia. Nonostante questo, Inzaghi guida i suoi fino alla vittoria in finale di Coppa Italia per 2-0 contro l’Atalanta.
Il terzo trofeo da allenatore per Inzaghi arriva il 22 dicembre 2019, quando conquista la sua seconda Supercoppa Italiana, per 1-3 ai danni della Juventus. Il cammino in campionato va decisamente meglio: i biancocelesti guidano la classifica per larghi tratti, tanto che il 22 gennaio 2020 conquistano la decima vittoria consecutiva, mai accaduto prima in 120 anni di storia dei capitolini.
Il 24 giugno 2020, invece, viene interrotto dall’Atalanta un filotto di 21 risultati utili consecutivi, sbriciolando il precedente record di 17 della Lazio di Sven-Goran Eriksson datato 1998-1999. In tutto questo, l’1 agosto 2020 Inzaghi diventa l’allenatore con più presenze sulla panchina della Lazio, superando Dino Zoff, e conclude il campionato al quarto posto, valido l’accesso in Champions League.
L’ultima stagione di Inzaghi sulla panchina della Lazio vede il suo debutto nella massima competizione europea. E non poteva esserci miglior esordio: i capitolini battono per 3-1 il Borussia Dortmund. Chiuderanno il girone al secondo posto, qualificandosi agli ottavi per la prima volta dopo 20 anni.
Il 15 gennaio 2021, i biancocelesti di Inzaghi dominano il derby vincendo con un netto 3-0 e concedendo un solo tiro alla Roma. Nonostante un filotto di ben 6 vittorie consecutive tra la 16esima e 21esima giornata, la Lazio chiude il campionato al sesto posto, a ben dieci lunghezze dalla zona Champions. A fine stagione, Inzaghi decide di non proseguire con la squadra e si accasa all’Inter, prendendo il posto lasciato vacante da Antonio Conte, ingaggiato dal Tottenham
Solidità e pragmatismo come chiavi per risultati e bel gioco
Quanto mostrato sulla panchina della Lazio, ha messo in luce diverse caratteristiche di Inzaghi allenatore. Ama schierare i propri giocatori con un solido 3-5-2, modulo che permette di soffrire poco in difesa e che sviluppa il gioco sulle ali.
Non a caso, giocatori come Lazzari e Joaquin Correa hanno brillato sotto la sua gestione. Nelle sue squadre, la manovra parte spesso dal portiere, che rimette basso per i difensori. Il fulcro del gioco è il centrocampo, esaltato dal suo 3-5-2: sotto la sua guida, hanno raggiunto la massima crescita calcistica giocatori come Sergej Milinkovic-Savic e Luis Alberto.
Per non parlare di Ciro Immobile, completamente rivitalizzato e trasformato dopo il suo arrivo a Roma e in grado di diventare il marcatore più prolifico della storia del Club, nonchè vincitore della Scarpa d’Oro nella stagione 2019-2020.
Questo modello tattico, applicato con costanza per anni dalla sua Lazio, si è consolidato e ha permesso l’espressione di un calcio piacevole e frizzante.