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Tennis, il calvario di Peter Lundgren ex coach di Federer: amputato il piede sinistro dopo un'infezione

Lundgren, 58 anni, ha subito a settembre una frattura alla caviglia sinistra: a complicare il quadro clinico, una brutta infezione curata con un trattamento antibiotico invasivo

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

È un momento un po’ delicato per Roger Federer, che da qualche ora è venuto a conoscenza di una brutta notizia legata al suo primo allenatore, Peter Lundgren.

Il quale ha postato un messaggio sui propri profili social, annunciando di essersi visto costretto ad andare sotto i ferri per l’amputazione del piede sinistro, eredità di un brutto infortunio subito qualche settimana fa che ha obbligato l’equipe medica a intervenire chirurgicamente, rimuovendo l’arto.

La frattura, l’infezione e il dramma

Lundgren, che il prossimo gennaio compirà 59 anni, ha subito lo scorso settembre una frattura alla caviglia sinistra, ma a complicare il quadro clinico ha contribuito piuttosto una brutta infezione che da subito ha richiesto un trattamento antibiotico piuttosto invasivo, che pure non ha impedito all’infezione stessa di progredire.

Lundgren peraltro soffre da tempo di un diabete di tipo 2, e ciò è probabilmente alla base della lenta guarigione che ha anzi favorito l’insorgere delle complicazioni.

Da qui la decisione dei medici di non indugiare oltre, col rischio che il problema potesse estendersi anche altre parti del corpo: all’ex giocatore svedese è stato vivamente consigliato di procedere con l’amputazione del piede sinistro, consiglio che Lundgren ha preso alla lettera.

Stricker lo aspetta

In queste ore l’ex coach di Federer ha rassicurato tutti amici, familiari e colleghi circa le sue condizioni seguite all’operazione. Lundgren ha fatto sapere di essere di buon umore e di aver già iniziato la fase preliminare di riabilitazione, con l’idea di poter tornare presto alle abitudini di sempre.

Anche perché lo svedese da qualche mese ha preso in carico un’altra giovane promessa del tennis elvetico, quel Dominic Stricker che agli US Open s’è spinto fino agli ottavi di finale, battendo Tsitsipas per poi arrendersi a Fritz.

Un giocatore diverso dal solito, di quelli che non passano certo inosservati, con un fisico non propriamente asciutto ma con una forza d’animo e una determinazione difficile da riscontrare in molti altri atleti del circuito ATP.

Stricker, che è stato tra i primi a rivolgere un pensiero per il proprio allenatore, è determinato più che mai a proseguire il rapporto con Lundgren, che non appena si sarà rimesso ricomincerà a collaborare con il giovane tennista svizzero, cercando di svezzare un altro grande talento dopo essere riuscito nell’intento con molti altri atleti professionisti.

L’incontro del destino con Re Roger

Federer, come detto, è stato certamente l’allievo più illustre che sia passato sotto la sua ala. Il connubio nacque nel 2000, quando l’allora 19enne futuro numero 1 del mondo ruppe il sodalizio con Peter Carter, allenatore australiano che aveva avuto per primo il merito di accompagnarlo nel passaggio dai tornei giovanili a quelli ATP (Carter sarebbe poi deceduto in un incidente stradale avvenuto quando era in luna di miele due anni più tardi).

Lundgren venne scelto da Federer perché considerato sufficientemente esperto e navigato per poterlo traghettare nel panorama ATP, dove ormai si era stabilmente affacciato da un paio d’anni.

E fu nel periodo di collaborazione con lo svedese che cominciarono ad arrivare le prime affermazioni: la vittoria nell’ATP di Milano del febbraio 2001, primo torneo conquistato in carriera, fu il trampolino di lancio per un’ascesa che in quell’anno vide Federer arrivare due volte tra i primi 8 negli slam (accadde al Roland Garros e a Wimbledon) e ancora in finale all’ATP 500 di Basilea, chiudendo la stagione alla numero 13 del ranking.

Il trionfo a Wimbledon

Nel 2002 i tornei vinti salirono a tre (Sydney, Amburgo e Vienna, quest’ultimo a poche settimane dalla scomparsa di Carter), con la partecipazione anche al Masters di fine stagione.

Il 2003 fu l’anno della definitiva consacrazione: il trionfo a Wimbledon, primo titolo slam conquistato dall’elvetico, lo consegnò alla storia come il primo atleta svizzero capace di alzare il trofeo più ambito del panorama della racchetta.

E a fine anno, salito alla numero 2 (a un tiro di schioppo da Roddick, che poco dopo avrebbe scavalcato), il binomio con Lundgren venne mandato in soffitta. Tre anni però determinanti nella crescita di Federer, come uomo e come giocatore.

La carriera di Lundgren

Da allora, il coach svedese ha continuato a “bazzicare” l’ambiente ATP proseguendo a lavorare con altri giocatori di primo piano. Tra gli altri si ricordano Marcelo Rios, Marcos Baghdatis, Grigor Dimitrov, Stanislav Wawrinka (col quale ha collaborato nel 2010 e nel 2011 prima di una separazione un po’ “sospetta”, dovuta alle accuse dell’ex compagna del giocatore che parlò di presunte “pressioni” per convincere Wawrinka ad abbandonare il nucleo familiare, concentrandosi soltanto sull’attività sportiva) e Marat Safin.

Stricker, col quale il rapporto è partito a inizio 2023, è soltanto l’ultimo della lista. Lundgren è stato un giocatore professionista dal 1983 al 1995, conquistando in carriera tre titoli ATP (Colonia nel 1985, Rye Brook e San Francisco nel 1987: in quest’ultimo torneo batté in semifinale Ivan Lendl).

Il suo best ranking è stato alla posizione 25, peraltro nel periodo d’oro del tennis svedese che a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 portò ben 7 atleti tra i primi 25 al mondo. L’incontro con Federer in qualche modo gli ha cambiato la vita, ma ora quella stessa vita gli ha presentato una sfida diversa, ma comunque da vincere.

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