Martina Trevisan ha fatto sognare i colori azzurri nel corso dell’ultima edizione del Roland Garros con la semifinale poi persa contro Coco Gauff. L’azzurra ha parlato del suo momento a Sportweek.
“Sinceramente, sono la stessa Martina di prima. Ovviamente avere raggiunto la semifinale al Roland Garros mi ha dato tanta fiducia e nuova consapevolezza delle mie qualità. Ma siccome ritengo il risultato un punto di partenza e non certo di arrivo, credo che lavorerò ancor più duramente; la pressione è un problema che non mi pongo. Il mio è stato un percorso graduale di crescita che non è ancora concluso, sono ambiziosa ma per continuare a inseguire i miei sogni devo rimanere concentrata su quello che faccio. Con una parte del milione e centomila euro guadagnato a Parigi, ho rafforzato il mio staff. Perché senza di loro non sarei mai arrivata fin qui”.
E poi è tornata sui suoi problemi legati all’anoressia: “Avevo perso la visione di cosa volesse dire essere una ragazza di 15 anni con le sue emozioni, la sua sensibilità, i suoi sogni quotidiani fuori dallo sport. Ero diventata un piccolo automa che doveva pensare solo al tennis. Il destino degli atleti spesso è terribile: non ci viene concesso di essere normali, viviamo in una dimensione in cui siamo entità senza un’età e senza sentimenti”.
Infine non manca un commento sul Roland Garros e sulla gestione dei match maschili e femminili: “Parlando del maggior appeal del maschile Amelie si riferiva alla presenza di match femminili nella sessione serale, quella più seguita: del resto, se hai un match tra Nadal e Djokovic, non si tratta di una semplice partita di tennis, ma di qualcosa che va oltre. Stiamo parlando di leggende, qualunque altra partita si scolora, in confronto. Ma nella mia semifinale contro la Gauff, il Centrale era pieno, quindi non vedo contrapposizioni feroci. Il tennis femminile ha un problema di autopromozione, ma è una questione che riguarda le istituzioni del nostro sport. Io mi limito all’aspetto tecnico: si diceva che ormai il gioco si fosse uniformato, che contassero solo il fisico e la potenza, e invece ti esce una Swiatek che ha un formidabile senso dell’anticipo e variazioni di ritmo fenomenali. Forse sarebbe opportuno guardare più ai risultati che al marketing. Le sorelle Williams e la Sharapova sono personaggi inimitabili e leggendari, ma lo sono diventate perché erano fortissime a giocare a tennis”.