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Tennis, Sharapova racconta la sua infanzia lontano dalla mamma: "Due anni senza vederla"

La fuoriclasse russa, oggi 36enne, ha raccontato che quando da bambina si trasferì in Florida non poté vedere la madre Elena per due anni: fan sconvolti ed emozionati.

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

La racchetta l’ha appesa al chiodo ormai da qualche anno, ma Maria Sharapova non smette mai di far parlare di sé. Un po’ perché a 36 anni mostra ancora una bellezza mozzafiato, di quelle da far girare la testa anche a chi giura di non averla mai vista giocare su un campo da tennis. Un po’ perché la sua indole di ragazza cresciuta in fretta la porta sempre a dire ciò che pensa e a non usare troppi filtri, anche quando deve raccontare pezzi del suo passato che non sono facili da mettere in condivisione con il resto del mondo. Maria però non è il tipo da farsi troppi problemi: non ha bisogno di indossare maschere, e quando parla non lo fa mai tanto per dare fiato e aprire bocca.

La bambina prodigio del tennis mondiale

Oggi che è imprenditrice, ma anche mamma (un anno e mezzo fa è nato Theodore), Sharapova sa perfettamente quanto è grande il valore del tempo, soprattutto quello da dedicare ai propri affetti. Quegli affetti che per tanti motivi lei ha dovuto trascurare soprattutto negli anni dell’adolescenza, quando la sua innata qualità nel riuscire a vincere partite l’ha portata a diventare qualcosa più di una semplice bambina prodigio.

Quando vinse Wimbledon, nel 2004, era appena 17enne, e si ritrovò a ballare nel salone dell’All England Club assieme al vincitore del torneo maschile, quel Roger Federer che all’epoca era già 23enne, lanciatissimo alla conquista di tanti trofei e ancora in attesa di vedere scorgere sullo sfondo la sagoma di Rafael Nadal e Novak Djokovic. Ma a 17 anni la vita di Maria aveva già raccontato e condensato cose che i “comuni mortali” possono dire di raccontare dopo un’esistenza intera. E tra i tanti fatti vissuti, ma mai raccontati, ce n’è uno che ha spezzato il cuore a tanti suoi fan.

“Due anni senza poter vedere mia madre”

Sharapova ha raccontato che nel 1993, quando su consiglio di Martina Navratilova venne invitata a emigrare negli Stati Uniti per provare a inseguire il suo sogno di diventare una giocatrice professionista (la stoffa già si cominciava a intravedere), la sua famiglia si trovò di fronte a un bivio: andare dall’altra parte del mondo e rischiare di perdere tutto, inseguendo una prospettiva di successo, o starsene buona in Russia e vedere cosa sarebbe accaduto più avanti nel tempo?

Alla fine papa Juri decise di voler seguire il consiglio dell’ex numero 1 del mondo: fu lui a portare Maria negli Stati Uniti, ma questo comportò per entrambi un doloroso distacco dalla mamma Elena, che per motivi economici e problemi col visto non poté seguire i due dall’altra parte del mondo. Tra l’altro Sharapova all’inizio ebbe problemi ad ambientarsi a una nuova dimensione: all’accademia di Nick Bollettieri venne selezionata solamente due anni dopo il suo arrivo in Florida, anni in cui però la mamma non poté mai andarla a trovare.

La sfida più dura: “Da madre oggi dico che non ce la farei”

Oggi che è diventata a sua volta madre, Maria ha ammesso che un distacco simile non sarebbe capace di sopportarlo, per nessuna ragione al mondo. E per quanto la vita abbia ripagato abbondantemente quella scelta, tenuto conto dei successi ottenuti e della fama che il tennis gli ha dato (che certo l’ha aiutata nel suo percorso di vita anche dopo aver chiuso la carriera da atleta), il ricordo di quei due anni vissuti senza gli abbracci della madre ancora oggi le procura dolore.

“Mia madre ha sempre pensato che quel trasferimento in Florida fosse per me una benedizione, e ha anteposto il bene mio e di mio padre al suo. Non era facile all’epoca ottenere dei visti per poter far entrare tutti i familiari, pertanto non c’era altro modo che sentirsi, se non sporadicamente al telefono o attraverso delle lettere. Ne scrivevo tantissime, quasi una al giorno, raccontando quello che facevo e come mi sentivo. Ci fossero state le videochiamate sarebbe stato differente, ma all’epoca quella fu davvero una grande sfida”.

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